MIPU è una società nata nel 2012 che offre un portfolio di servizi, percorsi di formazione e tecnologie proprietarie in ambito Artificial Intelligence, con know-how nella costruzione di Algoritmi Predittivi. L’offerta si rivolge ai campi dell’Ottimizzazione Energetica, della Manutenzione Predittiva e dell’Ingegneria dell’Affidabilità.
MIPU pratica da sempre il processo di co-creation coi propri clienti e partner sotto forma workshop: “Questa è la maniera nella quale cerchiamo di creare, insieme alle aziende che lavorano con noi, dei prodotti che vengano un po’ rivoluzionati, che siano quasi dei nuovi prodotti, grazie all’intelligenza artificiale”. Giulia Baccarin, Co-founder di MIPU, ha raccontato, in occasione del tavolo di collaborazione dedicato alla Co-Creation e organizzato dall’Osservatorio Startup Intelligence, un esempio di workshop basato sulla co-creation per un cliente che utilizza robot tagliaerba automatici. Il workshop realizzato da MIPU, nato da una richiesta specifica del reparto post-vendita, ha coinvolto vari stakeholders, sia clienti interni, responsabili tecnici, post-vendita e di progettazione, sia clienti intermedi, i dealers, sia clienti finali, gli utilizzatori. Al workshop hanno partecipato circa 15 dipendenti dell’azienda e 5 tra clienti intermedi e finali. “Il workshop è un processo B2B2C dove tutti e tre i livelli, clienti interni, intermedi e finali, vengono coinvolti”, spiega Baccarin.
Il workshop prevede una prima fase di visualizzazione della customer journey, per comprendere e mappare i problemi durante le fasi precedente, durante e post acquisto. I problemi mappati sulla customer journey sono stati raggruppati in tre macroaree: reperire le informazioni necessarie, facilitare il processo di installazione e migliorare efficacia del servizio di assistenza. Successivamente le idee vengono raggruppare e inserite in una matrice di fattibilità e impatto.
Si passa poi alla fase di co-creazione centrale all’interno del workshop: un gioco collettivo per coinvolgere i vari stakeholders è il “disegno” dell’azienda Odioso Spa, “per comprendere le caratteristiche di quel concorrente e di quel prodotto che, se entrassero nel mercato, farebbero chiudere la tua azienda in 5 anni”, spiega Giulia. Tutte le idee proposte vengono valutate sulla base della fattibilità tecnica e dell’impatto sul cliente: “qualcuno ha suggerito un robot che oltre a tagliare l’erba innaffia e taglia anche la siepe piuttosto che un servizio online di giardinieri, piuttosto che un drone taglia erba a chiamata”.
Sulla base della matrice su fattibilità tecnica e impatto sul cliente vengono selezionate le idee “no brain”, con maggiore impatto sul cliente e maggiore fattibilità tecnica, che vengono elaborate per prime. Mentre le idee con alto impatto e bassa fattibilità, le “big bets”, vengono tenute nel cassetto. Infine, le idee con alta fattibilità tecnica e basso impatto possono essere tenute in considerazione come utilities, ovvero servizi secondari per il cliente. Durante il workshop sono state poi scelte collettivamente le due idee più fattibili dal punto di vista tecnico ed alto impatto sul cliente secondo il voto degli utenti: “la prima idea era un robot che potesse auto-apprendere e ottimizzare da solo i cicli di lavoro inserendo delle tematiche di predizione di eventuali inefficienze; la seconda idea riguardava invece un robot che facesse manutenzione predittiva e potesse chiamare l’assistenza da solo”. Il workshop si conclude infine con una proposta di progetto, “trattandosi di un progetto di natura tecnica, si entra nel vivo dell’idea, si cerca di costruire un mockup e di condividerlo con tutti gli utenti in modo da avere un allineamento comune su cosa si possa fare, e quali siano l’impegno previsto, le attività e le milestone”.
Secondo gli ideatori questa metodologia ha l’indubbio vantaggio di dare la possibilità di concretizzare velocemente la soluzione grazie ad un approccio collettivo, ma serve tanto lavoro per poter allineare esigenze e aspettative dei vari stakeholders. Giulia Baccarin ha concluso l’intervento sottolineando l’importanza di equilibrare, nel processo di co-creation, da un lato la voce del cliente finale, dall’altro la fattibilità tecnica: “Un workshop sbilanciato sul cliente finale rischia di raccogliere tantissime idee che poi è difficile scaricare a terra, dall’altro lato un workshop con persone eccessivamente tecniche rischia di avere freni o idee che non corrispondono effettivamente a quello che vuole il cliente”, conclude la manager.