Cloud transformation, Davide Capozzi (Wiit): “Ecco gli elementi mancanti per realizzarla”

Dalla cyber security ai modelli di pricing ai contratti: sono alcuni degli elementi mancanti per attuare la cloud transformation. Parola dell’innovation manager di Wiit, uno dei principali player del settore. Che avvisa: “Bisogna trasformare la diffidenza verso in cloud in opportunità”

Pubblicato il 31 Gen 2020

Davide Capozzi, Director of Corporate Innovation Services di Wiit

Non c’è digital transformation senza cloud transformation. Davide Capozzi, Director of Corporate Innovation Services di Wiit ne è convinto. Anzi, puntualizza: “La cloud transformation è un elemento contenuto nel più ampio contenitore della digital transformation, partita dalla digitalizzazione dei documenti aziendali e arrivata all’industry 4.0. Il cloud ne è l’abilitatore, è l’elemento fondamentale di questo processo di trasformazione” dice il manager dell’azienda milanese, uno dei principali player italiani nel mercato del Cloud Computing e, in particolare, nei settori dell’Hybrid Cloud e dell’Hosted Private Cloud per le imprese.

Capozzi, 37 anni, un passato da startupper e un presente da innovation manager, si definisce un “nativo cloud” perché “mi occupo di cloud in Italia dal 2012 ed in verità non mi sono occupato di molto altro” dice. È un esperto del settore, conosce bene lo scenario italiano e tiene d’occhio i trend del mercato. Per questo ci mette in guardia dagli elementi mancanti per raggiungere la cloud transformation. Partendo dai dati.

Cloud in Italia, i numeri

Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, nel 2019 il mercato del cloud in Italia si aggira attorno ai 2,77 miliardi di euro, registrando una crescita del +18% rispetto all’anno precedente. I primi tre settori per rilevanza si confermano il Manifatturiero (25% del mercato Public & Hybrid Cloud), il settore Bancario (20%) e Telco e Media (15%). Seguono servizi (10%), utility (9%), PA e sanità (8%), Retail e GDO (8%) e Assicurazioni (5%). Questi dati confermano come in Italia il Cloud sia diventato il modello preferibile nello sviluppo di progetti digitali nel 42% delle grandi imprese e addirittura l’unica scelta possibile nel 11% dei casi.

Gli elementi mancanti della cloud transformation

La crescita, dunque c’è, ma è ancora bassa. “I vantaggi in termini di scalabilità, sicurezza, resilienza di un modello cloud sono ormai noti e consolidati, ma per raggiungere la cloud transformation è necessario interrogarsi su quelli che sono gli elementi mancanti che impediscono alle aziende di implementare il modello in modo estensivo”. Secondo Davide Capozzi sono tre: contratti e modelli di pricing, competenze interne e modello di governance, trust da parte del cliente finale verso il provider cloud selezionato (rischio di migrazione e cyber security). Vediamoli nel dettaglio.

Contratti

Dal punto di vista dei contratti forniti dai cloud provider c’è attualmente una certa rigidità soprattutto da parte dei “mega vendor” che, producendo norme standard per beneficiare al meglio delle economie di scala, spesso non incontrano quello che è il modus operandi delle medie aziende, le quali si trovano in difficoltà ad adottare modelli poco tutelanti e con l’impossibilità di far leva su processi negoziali per via dell’impatto economico residuale sui bilanci dei grandi player. Contratti più flessibili permetterebbero alle aziende di rendere più fluida l’adozione di questi paradigmi.

Modelli di pricing

Tutte le aziende, anche quelle che competono nei settori più tradizionali come il manifatturiero, stanno riprogettando i propri modelli business in un’ottica “as a service” in cui non è più il prodotto al centro della vendita, ma il cliente a cui si dà la possibilità di usufruire del prodotto stesso in un’ottica di servizio con delle logiche “pay-per-use”. Tuttavia l’attuale modello di pricing dei cloud provider si basa su variabili tecnologiche (CPU, RAM, Disco, tempi di elaborazione) che rendono complessa la creazione di modelli di business i cui ricavi sono legate a variabili di business (ad esempio, ore di utilizzo di un macchinario, numero di dispositivi IoT in uso).

Competenze interne e modello di governance

Introdurre il cloud in azienda vuol dire cambiare il mestiere delle persone che fanno IT. Le competenze necessarie si spostano da quelle di tecniche di execution sui sistemi IT a quelle di governance e architetturali poiché la parte più tecnica è delegata al cloud provider. Progetti cloud che quindi non includono e considerano un change management, sono progetti che partono con un forte handicap iniziale.

Trust

È la variabile più complessa da misurare poiché non è quantificabile in maniera univoca il livello di “fiducia” che un’azienda ripone in un cloud provider. Tuttavia un buono stimatore può essere “valore / rischio”. Mentre il valore che viene portato alle aziende del paradigma cloud è ormai noto, i cloud provider dovrebbero concentrarsi sulla riduzione dei rischi.

Rischio di migrazione

Raramente le aziende sono disposte a riscrivere o cambiare i propri sistemi IT core per abbracciare un singolo modello cloud, ad esempio quello Public Cloud. I cloud provider dovrebbero offrire ai propri clienti una serie di paradigmi di atterraggio (private, public, hosted private cloud) in modo tale da ridurre i cambiamenti da effettuare sui sistemi esistenti per poter abbracciare un modello cloud.

Cyber Security

Gli attacchi informatici sono la terza causa di down dei sistemi IT dopo l’errore umano ed il fault hardware e l’incidenza è sempre crescente. Difficilmente un’azienda ha la forza di stare al passo con le ultime tecnologie per proteggersi da minacce che diventano più complesse giorno dopo giorno. Un cloud provider dovrebbe avere una strategia di sicurezza chiara e dichiarata e che sia pervasiva di qualsiasi ambiente cloud venga scelto come atterraggio.

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Il problema della cultura aziendale

C’è poi da prendere in considerazione un problema culturale tipicamente italiano che è presente in molte aziende: la diffidenza verso il cloud. “Chi all’interno delle aziende italiane si occupa di tecnologia, molto spesso guarda il cloud come qualcosa che va ad usurpare il proprio territorio e le proprie competenze. Si avverte la necessità di utilizzare lo strumento ma con cautela” spiega l’innovation manager. “Bisogna disinnescare questo meccanismo e trasformare la diffidenza in opportunità. Il cloud, infatti, è una grossa opportunità per figure professionali in azienda vecchie e nuove: consente di ‘convertirsi’ e ricoprire ruoli che sono più vicini al business e alle attività core dell’azienda. Chi negli ultimi venti anni si è occupato di ICT e server con cacciavite in mano, deve diventare un manager che governa un contratto o un project manager che implementa la strategia di digital transformation aziendale” continua Capozzi. Ecco perché un player come Wiit è fondamentale.

Wiit, il player della cloud transformation

Wiit è focalizzata e specializzata in servizi di Hosted Private e Hybrid Cloud per imprese con necessità di gestione di critical application e business continuity e gestisce tutte le principali piattaforme applicative internazionali (SAP, Oracle e Microsoft) con un approccio end-to-end. “Vogliamo rendere accessibile l’innovazione alle aziende del mercato italiano” puntualizza Capozzi. Come? “Innanzitutto favorendo delle competenze specifiche: prevediamo di lanciare tra il 2020 e il 2021 un corso specifico sulle competenze cloud da portare all’interno delle aziende” continua il manager. Un modo, questo, per rispondere in maniera pratica alle esigenze reali del settore. “Wiit non si pone come un innovatore puro che fa ricerca e sviluppo, ma porta prodotti maturi alle aziende per favorire la digital transformation. Ad esempio offriamo tecnologie molto costose a prezzi competitivi; guardiamo con interesse a settori diversi, dal fashion al retail, al manufacturing. Il tutto attraverso il modello dell’open innovation, facendo scouting e raccogliendo idee per creare servizi immediatamente spendibili sul mercato”.

Il modello Usa e la diversificazione del cloud

Se i Paesi europei sono tutti più o meno allo stesso livello nel percorso verso la cloud transformation, “gli Usa sono il Paese a cui guardare per anticipare i trend e capire ciò che accadrà in Italia nei prossimi due anni” dice Capozzi. “Ciò che sta accadendo negli Stati Uniti è una specializzazione dei cloud stessi per business: non c’è il concetto di cloud generico uguale per tutti, ma c’è un cloud per le farmaceutiche, uno per i servizi militari e così via. Si sta affermando la diversificazione. E i player come Wiit, che in Europa è un caso unico, lì si stanno moltiplicando” spiega il manager.

Cloud transformation, una sfida da cogliere: ecco perché

“Nel futuro prossimo sul mercato ci saranno solo le aziende che sapranno competere” dice il manager spiegando perché è importante cogliere la sfida della cloud transformation. “Quello che già oggi vediamo è che vengono premiate le aziende che riescono a innovare anche il proprio modo di vendere un servizio ai clienti.  Pensate al manufacturing e alle aziende che producono mezzi meccanici: in futuro non venderanno solo un prodotto ma un servizio, come ad esempio un abbonamento in cui è compresa anche la manutenzione. E questo puoi farlo solo grazie al cloud”.

Il ruolo dell’innovation manager nella cloud transformation

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In un momento di grande trasformazione, come quello che stiamo vivendo, la figura dell’innovation manager può fare la differenza. “Di innovazione nelle aziende si parla da anni ma ma ogni ramo aziendale se ne occupava per sé, non c’era una visione globale. Oggi il mercato richiede un’unica figura in grado di capire modelli e strategie di business, capace di far leva sulle nuove tecnologie e portare vantaggi competitivi alle aziende” continua Capozzi. Non solo. “Il mio ruolo in Wiit prevede anche la formazione interna e l’accompagnamento del team verso la digital transformation: perché non c’è trasformazione senza le giuste competenze” conclude.

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