L'INTERVISTA

Claudio Vaccaro: sporcatevi le mani e andate a vendere i vostri servizi

Claudio Vaccaro, cofondatore di BizUp, webagency acquisita da Alkemy, racconta la sua esperienza imprenditoriale, dalla startup nel 2011 alla exit. Compreso qualche errore compiuto: “Pensavamo che per far crescere il fatturato bastasse avere più venditori ma non è così”. Come seleziona le startup su cui adesso investe

Pubblicato il 06 Set 2019

Claudio Vaccaro

A Claudio Vaccaro piace raccontare il suo percorso imprenditoriale come la crescita di un individuo: parla di infanzia, adolescenza e di maturità. Lui la maturità l’ha raggiunta alla grande, con la exit di BizUp che si è conclusa poco prima di agosto: il 100% della web agency specializzata in content marketing è adesso di Alkemy, società di consulenza digitale quotata all’AIM, che aveva acquisito la maggioranza di BizUp già nel 2016. Tutto come previsto: un’esperienza cominciata nel 2011 che adesso entra in una nuova fase. Il momento giusto per fare un bilancio e guardare avanti, visto che Claudio Vaccaro, 42 anni, adesso è impegnato anche come business angel, alla scoperta di nuove imprese da sostenere.

Claudio, come sei diventato imprenditore?
Dopo 13 anni da dipendente in importanti aziende italiane come Wind, durante i quali ha sempre covato “sotto la cenere” il mio desiderio imprenditoriale, ho trovato il coraggio di buttarmi appena ho conosciuto i soci e compagni di avventura Matteo Monari e Andrea Serravezza: con loro ho fondato proprio BizUp nel 2011. Questa è stata la mia vera impresa. Prima, e parlo negli anni fra il 2006 e il 2009, avevo fondato il blog Socialware.it, uno dei primi in Italia ad affrontare temi come Social Media Marketing e Marketing 2.0, e avevo progettato da zero insieme ad alcuni amici una piattaforma di crowdfunding, Succodimelone.it, quando in pochissimi parlavano ancora di startup, business angel, VC. Proprio da qui è partita la mia passione per il marketing online.

Raccontaci le tappe di crescita di BizUp, da zero al primo milione di euro…
La prima milestone importante, chiamiamola “l’infanzia”, è stata sicuramente la chiusura del primo anno di esercizio, con tutte le difficoltà non solo commerciali del “trovarsi i clienti” ma anche burocratiche organizzative di chi aveva zero esperienza imprenditoriale. Il 2012 si è chiuso con un fatturato che sfiorava il milione di euro, un risultato incredibile a ripensarci, soprattutto se lo confrontiamo con le valutazioni – a volte fuori dal mondo – di alcune startup che vengono valutate milioni di euro pre-money con un fatturato di poche decine di migliaia di euro

E dopo l’infanzia com’è stata l’adolescenza?
Sì, il secondo step è stata la nostra adolescenza, molto importante. Dal secondo al quarto anno la crescita commerciale e l’aumento del personale sono stati davvero esplosive: siamo passati da 1 a 3 milioni di euro di fatturato e da 10 a 40 persone in organico in 4 anni. Questo ovviamente ha comportato molte complessità a livello organizzativo e gestionale. Ma è affrontando le difficoltà che si cresce così siamo arrivati alla nostra “maturità”: è il periodo dal 2016 ad oggi, quello del nostro ingresso progressivo nel gruppo Alkemy, completatasi quest’anno con la vendita del 100%, durante il quale è cresciuto moltissimo il livello dei progetti seguiti, sempre più integrati, economicamente importanti e per clienti “top”.

In ogni esperienza si compiono errori. Quali sono stati quelli che hai fatto in BizUp?
Abbiamo per un periodo pensato che per incrementare il fatturato bastasse aggiungere persone in grado di vendere. Purtroppo non è così: per vendere servizi di consulenza e di agenzia ci vuole un know how molto specifico e una “scintilla negli occhi” che in pochi hanno. Poi ci siamo spesso lanciati nello sviluppo di soluzioni che sulla carta erano vincenti ma poi si sono rivelate non performanti.

Quali consigli daresti per evitare di compiere questi errori?
Il mio consiglio è quello di sporcarsi le mani e vendere direttamente i propri servizi: è una palestra incredibile e ha sicuramente più efficacia. Per quanto riguarda poi l’entusiasmo che ti porta a sbattere contro un muro, abbiamo capito che qualsiasi idea si voglia sviluppare è necessario una POC, un test che validi modello e performance sul mercato. E poi c’è un tema di psicologia aziendale….

Quale?
L’attendismo non premia. Abbiamo capito che c’è una legge di Murphy ineluttabile per chi fa impresa: se rimandi un problema organizzativo, prima o poi esploderà. Con effetti imprevedibili

Frequenti da oltre due decenni il mondo digitale. Come vedi la situazione in Italia sul fronte dell’innovazione?
Ci troviamo in una fase di maturità del mercato. Il tema nelle aziende ora non è più se applicare il digitale a un processo ma nel come razionalizzare gli investimenti fatti (alcuni dei quali inevitabilmente non andati a buon fine) e da fare: l’esplosione di soluzioni, tecnologie e servizi porta infatti l’urgenza di dover essere costantemente aggiornati e fare un’attenta analisi di costi e opportunità, anche per scremare tutto ciò che è solo “moda”. È il motivo per cui sempre di più il ruolo del consulente sarà centrale, non tanto o non solo nell’execution, ma anche nelle scelte strategiche sull’innovazione digitale.

 Che cosa c’è nel futuro di Claudio Vaccaro dopo BizUp?
Nel mio futuro al momento ci sono tre cose: Alkemy (il gruppo che ci ha acquisito), all’interno del quale mi occuperò dell’acquisizione e gestione di grandi clienti; l’advisor e l’angel investor di startup con le quali posso condividere la mia esperienza ed eventualmente investire; il formatore in diverse business school e università con cui collaboro.

Ecco parliamo della tua attività di business angel, visto che da quest’anno fai parte anche di IAG (Italian Angel for Growth). Quali sono i criteri con cui selezioni le startup su cui investire?
Ho letto una recente intervista a Shaquille O’Neal, milionario ex cestista NBA, nella quale rivela che la sua strategia di investimento gli è stata consigliata da Jeff Bezos in persona ed è molto semplice: si chiede sempre se l’azienda in cui investe cambierà o meno la vita delle persone e investe solo in aziende che fanno cose che “gli piacciono”. Un approccio che condivido. Come corollario aggiungo: non sopravvalutiamo l’idea! Ci sono aziende di successo che non rivoluzionano un mercato ma lo innovano, facendo meglio ciò che altri facevano già. Meglio investire su persone e idea di processo che su un’idea di servizio, che magari viene realizzata male o non risponde a una reale esigenza di mercato.

Quindi non serve cercare la disruption a tutti i costi e contano più le persone che idee…
Per esperienza diretta posso dire che persone straordinarie messe insieme difficilmente non “quagliano”: qualcosa di buono riescono a fare, magari anche cambiando completamente l’idea originaria da cui erano partiti. Riassumendo quindi la mia selezione si basa su un mix di questi tre elementi: 1. Settore a me noto o che amo; 2. Persone straordinarie con know how dimostrabile (track record) e soprattutto capacità di adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato; 3. Idea di una chiara innovazione di processo

Ha già fatto qualche investimento?
Sì, di recente ho investito in Hej!, società che si occupa di ottimizzare la Customer Journey con soluzioni di Conversational Marketing potenziate dall’intelligenza artificiale, dalla generazione delle Lead all’ottimizzazione del Customer Care.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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