Servono ancora i filosofi? Servono sempre, soprattutto in azienda. Già dall’anno scorso negli Stati Uniti è emerso il trend che vede i laureati in Filosofia assumere posizioni di leadership all’interno delle imprese tecnologiche. A dare il là è stata Google, che ha creato una nuova posizione, quella del Cpo (Chief Philosophy Officer). Altre aziende della Silicon Valley ne hanno seguito l’esempio, assumendo filosofi in pianta stabile. Alcune, invece, preferiscono utilizzare i loro servizi come consulenti per istruire i propri manager. Come al solito il fenomeno potrebbe arrivare anche in Italia: è possibile che il 2019 sia anche per il nostro Paese l’anno del Chief Philosophy Officer. Peraltro uno dei più apprezzati top manager italiani degli ultimi anni, Sergio Marchionne, possedeva anche una laurea in filosofia. Ma come è nato il fenomeno dei Chief Philosophy Officer e come si sta sviluppando?
CHI SONO I FILOSOFI CHE PIACCIONO ALLE AZIENDE
Uno dei più noti in Silicon Valley è Andrew Taggart, un PhD in filosofia, che ha lavorato con dirigenti e aziende come Google, Facebook, Twitter e varie altre società tecnologiche e startup. Quattro mesi fa Taggart ha fondato Askhole, una società per aiutare gli innovatori e gli esperti di nuove tecnologie ad andare oltre la questione della scalabilità e della crescita per rispondere a domande sugli scopi finali e sulle responsabilità relativi alle loro attività. Taggart invita ad andare oltre “la problematizzazione della realtà”. A suo parere non si può ridurre tutta l’attività aziendale a problemi da risolvere. Invece di chiedersi “Come posso fare a ottenere maggiore successo?” bisogna domandarsi: “Perché devo raggiungere il successo?”.
Taggart fa parte di un piccolo gruppo di filosofi definiti “practical philosophers”, ovvero filosofi che hanno a che fare con il mondo imprenditoriale. Diventando una sorta di Chief Philosophy Officer, fanno riferimento agli antichi pensatori per riflettere sulle eterne domande sulla vita e sulla morte, ma cercano anche di prendere in considerazione domande più pratiche quali: “Cosa dovrebbe creare la mia startup?”. Attraverso incontri, pubblicazioni, blog e attività di consulenza, i practical philosopher vengono seguiti ed apprezzati da un gruppo ancora numericamente modesto di persone ma fortemente motivato.
Presidente dell’American Philosophical Practitioners Association, che ha formato circa 400 filosofi con il compito di portare la filosofia nelle aziende, è Lou Marinoff, docente canadese, attualmente al City College di New York. Marinoff sostiene l’importanza di applicare la filosofia al business dal 2000. Ha collaborato con organizzazioni quali il World Economic Forum e la Comisión Federal de Electricidad in Messico ed è autore di “Plato Not Prozac, Therapy for the Sane, The Middle Way, The Power of Dao”: un saggio che punta a dimostrare come si può applicare la filosofia ai problemi di tutti i giorni. “Questa è una generazione di pionieri filosofi, se volete di filosofi imprenditori” dice. Nel suo lavoro, tiene a sottolineare, non offre soluzioni. Formula invece domande che aiutano il cliente a ottenere nuove prospettive. Il focus è sul pensiero critico e sull’esame dei valori per capire cosa è giusto fare. Dei clienti dice: “Sono persone molto intelligenti ma che hanno un carico di lavoro eccessivo, perciò non hanno tempo sufficiente per riflettere. Gran parte della nostra attività è creare uno spazio per la riflessione”.
Nel Regno Unito Joe Garner, Ceo di Nationwide (la più grande società di costruzioni del mondo), già in BT Openreach e HSBC, ha lavorato per diversi anni con Roger Steare, filosofo residente presso la Cass Business School e autore del libro “Ethicability”. Steare è stato anche consulente di multinazionali come BP dopo il disastro petrolifero in Messico. Sua opinione è che i valori, che sono la coscienza collettiva della società, devono essere parte del processo aziendale.
In Italia la filosofia esecutiva di Raffaele Tovazzi
In Italia si è fatto notare Raffaele Tovazzi. Imprenditore, filosofo e comunicatore nato a Rovereto e oggi residente a Londra, è autore di bestseller per Mondadori e ha al suo attivo consulenze per le maggiori realtà d’impresa italiane. Si definisce “il primo filosofo esecutivo italiano” e il movimento da lui creato si chiama proprio così, Filosofia esecutiva.
Il filosofo esecutivo, spiega Raffaele Tovazzi, affianca professionisti, manager e imprenditori che vogliono fare “innovazione”, termine che deriva dal latino in nova agere, che significa “mettere in azione idee nuove”. Due sono i presupposti per fare innovazione in un settore: saper riconoscere i corsi e i ricorsi storici, anticipando le tendenze del mercato; possedere una profonda conoscenza della neurologia umana e di come il linguaggio sia in grado di influenzare il pensiero determinando il comportamento dei singoli individui e delle masse. La complessità di queste competenze, oltre che la solo recentissima diffusione nel mercato del tech, fa sì che non esista (ancora) un percorso unico per diventare filosofo esecutivo. Senza dubbio chiunque voglia affermarsi in questa professione necessita di una cultura classica (meglio una laurea in filosofia), consolidata esperienza nel mondo dell’impresa e competenze in materia di psicologia cognitiva e manipolazione mediatica.
Anche uno dei filosofi contemporanei più prestigiosi, Luciano Floridi, ha collaborato con una multinazionale tecnologica: proprio Google. Laureato a La Sapienza di Roma, master in filosofia e PhD all’università di Warwick, oggi docente di filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford, Floridi è stato scelto nel 2014 tra i membri della commissione istituita da Google per la questione del diritto all’oblio. In seguito il filosofo è stato ospitato a grandi eventi da varie società: da due anni, per esempio, sale sul palco dell’EY Capri Digital Summit per parlare di questioni etiche e filosofiche agli imprenditori.