Made in Italy

Chianti Classico, 200 milioni per difendere il Gallo Nero

L’ufficio europeo marchi ha decretato, contro la nazionale di rugby, che quando si parla di vino il galletto è esclusivo della produzione toscana. «Un precedente importante», dice il direttore del Consorzio, «ma il vero problema resta il mercato americano, dove tutto è possibile».

Pubblicato il 05 Nov 2013

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Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio del Chianti Classico

«Il fronte più impegnativo resta quello americano. E da lì che arrivano gli attacchi più pericolosi. E poi lì c’è il nostro primo mercato». Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio Chianti Classico, è soddisfatto per una vittoria importante sul versante europeo: l’Ufficio Marchi Comunitario ha decretato che il galletto, quando si parla di vino, è solo del toscanissimo Chianti Classico. Ma sa benissimo che la guerra per difendere il Gallo Nero, un pezzo importante del Made in Italy sia per il valore economico (40mila bottiglie l’anno per un valore che oscilla fra i 250 e i 300 milioni di euro) sia per il prestigio internazionale, continua.

Direttore, perché è importante il pronunciamento dell’Ufficio Marchi?
Intanto perché è definitivo. E’ arrivato dopo l’appello della Nazionale francese di rugby che nel 2007 aveva chiesto la registrazione del suo marchio, un galletto, nella classe 33, quella degli alcolici. Noi ci eravamo subito opposti appellandoci alla confondibilità. In prima istanza la nostra obiezione non era stata presa in considerazione. Adesso l’Ufficio Marchi di Alicante ha tagliato la testa al toro e ha creato un precedente significativo: nella classe alcolici il galletto è esclusiva del Chianti Classico.

Che cosa fate per difendere il marchio del Chianti Classico?
Abbiamo una rete di controllo in 38 paesi e un ufficio brevetti a Firenze che monitora la situazione. Ogni settimana riceviamo dossier da tutto il mondo e svolgiamo un’attività continua e a 360 gradi per la salvaguardia del marchio. E’ un lavoro sul quale investiamo 200mila euro l’anno. Fino a qualche anno qualche c’era qualche aiuto pubblico, a livello italiano ed europeo. Adesso non c’è più nulla e dobbiamo fare da soli. E’ un lavoro difficile ma strategico per il futuro del made in Italy.

Quali sono i tentativi di imitazione più frequenti?
Sono i similmarchi. Chianti è considerato un nome semigenerico, quindi può essere liberamente utilizzato e noi non possiamo farci nulla. Io potrei produrre un Chianti Liberatore, per intenderci. In tante parti del mondo tanti italiani di prima e seconda generazione hanno creato prodotti con nomi che evocano denominazioni celebri del made in Italy. E’ il fenomeno dell’italian sounding, che non si risolverà mai con il contenzioso legale ma solo con accordi bilaterali tra i governi dei diversi Paesi.

Il caso francese dimostra che l’attacco non viene solo da lontano ma anche dall’interno dei confini europei?
Certo, gli attacchi al made in Italy arrivano anche dall’interno della Ue ma ci sono gli strumenti per difendersi. Se in Europa vengono trovate etichette ingannevoli, c’è l’obbligo di intervenire. All’interno del Pacchetto Qualità approvato a fine 2012 è previsto l’ex officio: il governo del territorio dove viene rilevata l’usurpazione di una denominazione procede d’ufficio attraverso le sue strutture, che di solito sono gli enti antifrode. E’ stato un cambiamento importante perché, ad esempio, in passato sul parmesan la Germania non si era mossa e bisogna fare tutto da soli. Con tempi lunghi e costi significativi. Adesso va molto meglio.

E fuori dall’Europa?
C’è qualcosa nel FarEast, Canada e Australia hanno imposto qualche limitazione ma il vero problema delle imitazioni delle denominazioni è negli Stati Uniti. C’è un’azienda in California che ha provato a registrare ClassiChianti e sta facendo la stessa cosa con altri vini come il Bardolino e l’Amarone. Lì c’è un fenomeno eclatante e dirompente, anche per le sue dimensioni economiche. E per i danni che procura.

Perché è così importante quello che succede nel mercato americano?
L’80% della produzione di Chianti Classico viene esportato e il 40% va negli Stati Uniti. Per noi è il mercato più rilevante e quindi le imitazioni sono particolarmente pericolosa. Anche perché non possiamo fare molto. Sappiamo che i tentativi di imitazione continueranno fino a quando non ci saranno accordi di protezione bilaterale fra Unione Europea e Stati Uniti. E questo è un lavoro del governo italiano e di Bruxelles.

Il galletto nero del logo del Consorzio del Chianti Classico

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