Un sindaco che dice di poter contare sul sostegno del governo, il numero uno della prima banca italiana e perfino un cardinale: sono gli attori scesi in campo a Milano nel giro di poche ore, molto probabilmente con un’azione concordata da tempo avendo valutato tutti i possibili scenari, per proporre – ognuno con la propria voce, che però finisce per diventare una voce sola – una risposta italiana alla Brexit, il referendum del 23 giugno con il quale la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall’Unione europea. E la proposta è sostanzialmente: “Milano capitale finanziaria dell’Europa”. Obiettivo eccessivamente ambizioso? O mossa annunciata con eccellente tempismo e tutto sommato fattibile? Questo è ancora da vedere. Ma il disegno c’è e il primo a mostrarlo è stato Giuseppe Sala, sindaco di Milano, con un tweet diffuso all’indomani dell’esito referendario, il 24 giugno: “#Brexit è una cattiva notizia per #UE ma forse una opportunità per Milano che potrebbe accogliere le realtà economiche in fuga da Londra”.
La necessità di restare dentro i fatidici 140 caratteri, e quindi di elaborare una sintesi rozza, non ha giovato al primo cittadino, che sui social ha raccolto consensi ma anche molta ironia su quella che è sembrata una proposta per alcuni versi un po’ azzardata. Ma i dettagli – e dunque il ragionamento che era dietro al tweet – sono arrivati il giorno successivo, in una lettera di Sala pubblicata dal Corriere della Sera. Dopo aver premesso che “da europeista convinto penso che questa scelta inglese sia un errore”, il sindaco è prontamente passato dalle critiche alle proposte: “Si apre – ha scritto – anche una stagione di forte concorrenza tra alcune città, Parigi, Francoforte e Milano in particolare, per diventare la prima piazza finanziaria d’Europa. Non dobbiamo banalizzare questo punto: pensare a un esodo di massa da Londra di capitali e cervelli è semplicemente ridicolo. La posta in gioco riguarda la possibilità di attrarre a Milano le istituzioni finanziarie che potrebbero migrare dalla City per servire meglio i loro clienti europei. E lo stesso vale per gli headquarter di importanti multinazionali che hanno scelto Londra come loro base negli ultimi anni”.
Quindi? Quindi due idee: fare dell’area Expo “una zona franca fiscale per le imprese che vi si insedieranno” e “candidare Milano a ospitare l’Autorità bancaria europea (Abe), oggi peraltro brillantemente guidata da un italiano, Andrea Enria”.
“È vero che in Italia – ha proseguito il sindaco – resta alta la pressione fiscale, ma è vero anche che i nuovi strumenti a disposizione degli operatori potranno essere utili proprio sul fronte che ora stiamo iniziando a considerare. Mi riferisco al Patent Box e al credito d’imposta a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo. Dobbiamo però andare molto oltre gli aspetti legati alla fiscalità e guardare con energia alle soft issue che possono davvero fare la differenza: qualità della vita, mercato immobiliare abbordabile e con capacità di assorbire domanda di qualità, trasporti pubblici di efficienza assoluta e scuole d’eccellenza, fino a curare nel dettaglio un’offerta culturale ancora più robusta”. Lo stesso Sala ha spiegato che sull’Expo ha già “svolto un primo esame della situazione con il presidente del Consiglio”. Mossa concordata con il premier, dunque.
Alla proposta di Sala è arrivata, 24 ore dopo, la sponda, diciamo così, “bancaria”. Sul Sole 24 Ore, in un’intervista rilasciata domenica 26 giugno al direttore Roberto Napoletano, Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo, non ha esitato ad affermare: “Sono questi i momenti in cui si deve reagire per diventare leader europei. Sono fasi nella vita di un Paese in cui è necessario giocare all’attacco non in difesa, diciamo che si è obbligati a essere vincente non perdente”. Per poi specificare in fondo all’intervista: “Abbiamo davvero un’occasione unica. Mi dice che cosa impedisce di decidere di trasferire l’Eba da Londra a Milano, esattamente come la Bce sta a Francoforte e l’ESMA a Parigi, e cominciare così a valorizzare l’area cablata dell’Expo non solo per la ricerca e l’innovazione, cose giustissime, ma anche come polo di attrazione per la finanza e l’Università?”. Piena armonia con i concetti già espressi da Sala. Con l’aggiunta di alcuni possibili, futuri player. “Abbiamo la Bocconi a Milano e la Luiss a Roma, i Politecnici di Milano e di Torino, abbiamo una rete straordinaria di eccellenze. Milano per la qualità dei suoi servizi, a un’ora dal lago di Garda e dal mare, può competere e vincere su Francoforte e Parigi. Dobbiamo pensare e fare in grande”.
“L’Italia è in prima fila per cambiare l’Europa” ha ribadito, in una delle sue varie dichiarazioni sul tema, il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Intanto l’Unità, quotidiano del Pd, ha rilanciato uno studio elaborato dalla società di consulenza Pwc per conto del Comune di Londra nella primavera scorsa, secondo il quale la Brexit potrebbe costare al Regno Unito una perdita complessiva di Pil (prodotto interno lordo) tra i 55 e i 100 miliardi di sterline entro il 2020. Una ricchezza che, secondo il piano lanciato da Sala, potrebbe essere almeno in parte trasferita da Londra a Milano nei prossimi 5 anni a seguito della Brexit.
In realtà la concorrenza per aggiudicarsi il titolo di nuova City europea (sempre se qualcuno riuscirà a conquistarlo) è agguerrita: sono già in pista Dublino, Paese anglofono con uno sviluppato hub finanziario che già ospita le sedi europee di alcuni colossi statunitensi dell’Internet economy, ma anche Francoforte e Parigi.
Nel frattempo la proposta di Beppe Sala ha incassato anche il consenso di un alto esponente della Chiesa cattolica. “Dobbiamo tutti lavorare insieme per la città perché in questo momento ha un grande ruolo da svolgere, soprattutto dopo la Brexit” ha detto l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, al termine dell’incontro di domenica scorsa con Sala. “La città – ha aggiunto – deve, non sembri un eccesso di orgoglio, trainare il Paese verso la rigenerazione dell’Europa. Milano ha le carte in regola per fare questo”.
Un fronte compatto – quello di Milano che coglie al volo le opportunità generate dalla Brexit – al quale non aderisce, o meglio, aderisce ma con una sua proposta alternativa, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Il politico suggerisce di portare a Milano l’Agenzia Europea del Farmaco, attualmente con sede a Londra. “Mi auguro – ha dichiarato Maroni – che il governo tenga conto di questa richiesta, facendo del nostro capoluogo il punto di riferimento europeo per le biotecnologie e per la salute”.