Le tecnologie digitali esistono da oltre mezzo secolo, ma negli ultimi anni si sono concentrate una serie di innovazioni che hanno modificato anche gli stili di vita. E hanno reso i loro effetti dirompenti. Li analizza il professore Umberto Bertelè, autore del libro “Strategia” (Egea), nella prefazione al saggio di Larry Downes e Paul Nunes “Big Bang Disruption”. Gli esempi di disruption riportati sono tantissimi: dalle macchine fotografiche compatte – sempre più “sostituite” dagli smartphone – che vedono le loro vendite precipitare; alle librerie e alle loro catene che chiudono, sotto il duplice assalto dell’e-commerce e dell’e-book; alle edicole che chiudono anch’esse, perché si vendono meno giornali e parte di essi in formato elettronico; alle grandi catene del retail, costrette a ridimensionare la loro rete di negozi anche per l’effetto “showrooming”; agli albergatori e ai tassisti, minacciati i primi dalla crescita di Airbnb e di iniziative consimili, minacciati i secondi – con reazioni spesso pesanti in molte città del mondo – da app quali Uber.
«Today every business is a digital business»: non esiste comparto dell’economia in cui non sia presente qualche componente in formato digitale (o digitalizzabile) su cui costruire business model alternativi, con impatti spesso devastanti per le imprese incumbent. È questo, a mio avviso, il messaggio forte di Downes e Nunes, gli autori del libro, che hanno avuto il merito – con l’introduzione della nozione di Big Bang Disruption – di trovare una spiegazione comune per una serie di fenomeni recenti, apparentemente lontani fra loro, anche perché facenti capo ai settori più diversi, accumunati dalla velocità (quasi da teoria delle catastrofi) con cui si sono verificati e dalla virulenza dei loro effetti.
(dalla prefazione di Big Bang Disruption di Larry Downes e Paul Nunes, Egea)
Innovazione: nelle tecnologie ma negli anche stili di vita
Una domanda che è lecito porsi è perché di digitale si parli ancora adesso, quasi come se si trattasse di una novità. Perché a quasi sei decenni dall’introduzione dei primi grandi calcolatori nelle imprese e nella PA, a quattro dall’entrata sul mercato dei PC e a circa tre dal diffondersi di una serie di innovazioni che hanno cambiato profondamente la nostra vita: i cellulari, con le loro reti e i loro standard; Internet, gonfiatasi sino allo scoppio della celebre «bolla» agli inizi di questo secolo; le fibre ottiche, che hanno permesso la prima forte crescita nella disponibilità di banda.
Perché? Perché negli ultimi anni una nuova ondata di innovazioni tecnologiche nell’ambito dell’ICT, accompagnata e resa effettiva dalla parallela costruzione di nuove infrastrutture tecnologiche, ha provocato un vero e proprio salto di qualità. I punti chiave di questo salto:
► l’enorme diffusione su scala mondiale di smartphone e tablet;
► la loro possibilità di accesso a Internet in mobilità (e non solo dai PC come in precedenza);
► la loro possibilità di offrire attraverso il meccanismo delle app, in connessione con gli altri attori degli ecosistemi costruiti attorno a essi, una varietà elevatissima di funzionalità negli ambiti più diversi;
► il basso investimento necessario per il lancio delle app stesse, legato alla facilità e velocità con cui esse possono essere create: sfruttando da un lato la disponibilità in rete di una molteplicità di «spezzoni» di software utilizzabili gratuitamente e dall’altro la possibilità di procedere con gradualità nella loro messa a punto, testandone direttamente la validità in rete e modificandole (data la facilità di farlo) se necessario;
► la disponibilità di un’infrastruttura sempre più consistente di cloud computing, che permette di memorizzare dati ed eseguire elaborazioni, anche molto complesse, in remoto: attribuendo di fatto alle app un ruolo di comando, senza gravarle della pesantezza dei processi che esse stesse attivano e controllano;
► la disponibilità crescente di banda larga (broadband), per isuoi riflessi sulla qualità dei servizi fatti transitare attraverso Internet;
► l’attitudine delle persone a rimanere sempre connesse e l’estensione crescente di tale attitudine alle cose (dai pneumatici di un veicolo industriale, per controllarne da remoto il grado di usura, al sensore di pressione di chi soffre di disturbi cardiocircolatori, per intervenire prontamente in caso di pericolo) attraverso la cosiddetta Internet of things: con la conseguente possibilità di raccogliere masse enormi di dati (big data) utilizzabili ai fini più diversi.
Non sono state però le innovazioni tecnologiche da sole a generare un fenomeno così imponente di trasformazione dell’economia: un ruolo almeno altrettanto rilevante lo ha giocato la loro rapida trasformazione in innovazioni nelle abitudini e negli stili di vita, con una velocità di penetrazione sino a pochi anni fa impensabile e con una proiezione geo-politica anch’essa inimmaginabile. Sono ad esempio cresciuti dal nulla, nel giro di pochi anni, i social network: nati prima degli smartphone, ma fortemente sviluppatisi con la possibilità di accedere in mobilità a Internet. Si sono verificati fenomeni di diffusione virale assolutamente nuovi nella storia, come nel caso di WhatsApp, la nota startup che in quattro anni è passata da zero a 450 milioni di utenti in tutto il mondo.
* Umberto Bertelè è docente di Strategia e Sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano. Ha appena pubblicato “Strategia” (Egea), libro in cui raccoglie la sua esperienza accademica e quella sul campo (ha partecipato e siede nei consigli di amministrazione di importanti società).