L'INTERVISTA

Beni culturali, “Le startup possono aiutare a innovare anche i musei. Ecco come”

Il 27% dei 5000 musei italiani non offre alcun servizio digitale per la visita in loco, né altri servizi online. Lo rileva l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano. La direttrice Eleonora Lorenzini: “Attivare sinergie con centri di ricerca e startup”. Gli esempi da seguire

Pubblicato il 18 Lug 2018

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C’è ancora molta strada da fare per introdurre l’innovazione digitale nei beni culturali in Italia e le startup possono giocare un ruolo importante in questo percorso. Ne è convinta Eleonora Lorenzini, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano che nel suo report 2018 segnala un settore ancora poco incline ad accogliere tutti i vantaggi della Digital Transformation. Il 27% dei quasi 5000 musei italiani non offre al pubblico alcun servizio digitale di supporto alla visita in loco, ma neppure un servizio online come un sito web o un account social. “Se per alcuni musei può essere il frutto di una precisa scelta strategica – dice Lorenzini – in molti casi si tratta di un problema di risorse economiche ma anche di mancata consapevolezza dei benefici derivanti dall’innovazione digitale”. Qualche caso di successo nell’applicazione di innovazione alla cultura però c’è. Esempi da prendere in considerazione come stimolo per “iniettare” sempre più imprenditorialità innovativa nel mondo dell’arte e della cultura in Italia. Ma vediamo a grandi linee che cosa emerge dal rapporto degli Osservatori.

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI: LA ROADMAP PER L’INNOVAZIONE DIGITALE 

Un’analisi più approfondita dei dati derivanti dall’ultimo Censimento Istat sui musei da parte dell’Osservatorio restituisce la fotografia di un ecosistema culturale ancora all’alba nel percorso di innovazione (digitale ma non solo). L’investimento nel digitale si concentra soprattutto sugli strumenti online: il 69% dei musei offre almeno un servizio su Internet. Minore è invece la disponibilità di strumenti tecnologici e digitali che possano supportare la visita all’interno della struttura: solo il 35% ne offre almeno uno.

I SERVIZI DIGITALI PREFERITI DAI MUSEI: SITI WEB E BIGLIETTERIA ONLINE 

Ma quali servizi digitali preferiscono i musei? Dai dati provenienti dalla ricerca sulla presenza online di circa 500 musei italiani emerge una leggera crescita del numero di istituzioni culturali con un sito web proprietario (43% rispetto al 42% dello scorso anno). Si registrano passi avanti anche sul fronte dei servizi messi a disposizione: nel 23% dei siti web è evidente già in homepage la possibilità di acquistare il biglietto online (+3 punti percentuali rispetto allo scorso anno), il 67% ha in homepage icone per l’accesso facilitato alle pagine social dell’istituzione (+4 punti) e il 55% consente l’accesso alla collezione virtuale (+3 punti). A crescere con tasso più sostenuto è invece la presenza sui canali non proprietari: il 75% dei musei è presente su Tripadvisor (+20% rispetto a fine 2016) ed è in aumento il numero di account ufficiali dei musei su tutti i maggiori canali social, in particolare su Instagram (la copertura è passata dal 15% all’attuale 23%). Corrispondentemente è anche cresciuto il numero di musei che hanno scelto di utilizzare sia Facebook sia Twitter sia Instagram (dal 13% al 18%) con la percentuale di musei senza un account social che scende dal 46% al 43%.

MUSEI: L’APPREZZAMENTO DEL PUBBLICO PER IL DIGITALE

Se da una parte gli enti culturali faticano a tenere il passo con la Digital Transformation, dall’altra quelli che lo fanno e introducono elementi di digitalizzazione nella loro offerta riscuotono il gradimento del pubblico. All’offerta di servizi digitali nei musei gli utenti danno un buon voto: 5,14 su 6. Dalla ricerca dell’Osservatorio emerge anche che le istituzioni museali sono sempre più attente a creare engagement e mantenere un rapporto duraturo con il pubblico attraverso comunicazione e servizi di CRM (Customer Relationship Management). Le risorse a disposizione, però, spesso sono utilizzate più per le tipiche attività di portierato e vigilanza (25% del totale) che per finalità strategiche come pianificazione dell’innovazione o conservazione di lungo periodo delle collezioni. “Chi gestisce i musei deve capire che il digitale è importante per sostenere il processo di trasformazione. Ma “perché l’adozione di uno strumento digitale non rimanga un’azione isolata, con l’unico scopo di  ‘seguire la moda’ – dice Eleonora Lorenzini – bisogna fare un percorso: darsi degli obiettivi strategici, valutare il proprio stato delle risorse e, in base a questo, definire un piano di innovazione”.

BENI CULTURALI, LE PRATICHE DI INNOVAZIONE A CUI ISPIRARSI

Ci sono buone pratiche a cui ispirarsi? 

Noi ne abbiamo individuate alcune attraverso il Premio Innovazione digitale nei Beni e Attività Culturali. Il riconoscimento, istituito dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano, è appunto dedicato alle organizzazioni culturali che hanno dato prova di eccellenza nel processo di digitalizzazione e innovazione delle proprie strutture. Nella prima edizione, che si è svolta lo scorso maggio, sono stati indicati sei progetti finalisti. Ha vinto il progetto “Digital Museum. L’innovazione digitale come strategia di brand” del Museo Nazionale del Cinema di Torino. In finale sono arrivati anche i progetti “Innovare per cambiare – La nuova gestione informatizzata” dei Musei Civici di Vicenza e “Chatbot game per le Case Museo di Milano”, presentato dal Museo Poldi Pezzoli. Ma obiettivamente sono ancora pochi i musei e le istituzioni che hanno iniziato a lavorare per introdurre l’innovazione digitale.

COME LE STARTUP POSSONO AIUTARE I MUSEI A INNOVARE

Le giovani startup innovative possono aiutare i musei e, se sì, come? 

Possono essere attivate forti sinergie con le startup. Ce sono molte che operano in questo ambito: per esempio il chatbot game per le Case Museo di Milano è stato sviluppato da una startup, Invisible Studio, basata a Londra ma costituita da italiani, che consente di utilizzare Facebook Messenger per una sorta di caccia al tesoro. In pratica i ragazzi giocano mentre visitano il museo. È edutainment, l’educazione attraverso l’intrattenimento, ed è rivolta soprattutto agli adolescenti, il target più difficile da attrarre in questo settore. Il problema riscontrato con le startup in generale è che poi è difficile che riescano a fare il salto. È la solita questione della scalabilità, cruciale per le startup, ma nel settore del beni culturali è ancora più avvertito. Le applicazioni sviluppate da queste giovani società sono spesso molto customizzate sulla singola istituzione culturale che richiede un prodotto ad hoc. Il rischio è che le startup che non riescono a scalare rimangano micro-aziende. Per questo trovo molto interessante Idee Vincenti, la call di Lottomatica: è un tentativo di selezionare e aiutare a crescere le startup. Penso sia cruciale in questo ambito e per tutto l’ecosistema culturale.

3 RICETTE PER PORTARE IL DIGITALE NEI BENI CULTURALI

Esiste un problema di competenze digitali nei beni culturali?

Sì ed è serio. Ne tratteremo nella prossima edizione dell’Osservatorio che parte a ottobre. Estenderemo a livello nazionale il lavoro fatto quest’anno con la community per avere un campione più esaustivo e rappresentativo possibile, con focus sui musei. Siamo partiti dai musei perché, insieme ai teatri, sono degli ottimi laboratori su cui lavorare, per i tanti processi su cui il digitale può agire e per il legame con i territorio di appartenenza. E, appunto, abbiamo constatato il problema della carenza di competenze digitali. In particolare abbiamo realizzato come sia inutile inserire progetti e soluzioni digitali in organizzazioni non allenate a coglierne i valori.

In sintesi: tre ricette per portare la digitalizzazione nei beni culturali 

Un modo è far lavorare le istituzioni culturali con centri di ricerca, come può essere il nostro, che li aiutino ad assimilare cultura digitale. Un altro modo è mettere in contatto le organizzazioni con aziende esterne, per esempio con le startup o altre aziende fornitrici, le quali oltre ad offrire la soluzione tecnologica sappiano anche trasmettere le competenze. Ma spesso c’è bisogno di una mediazione che aiuti le startup a parlare il linguaggio delle istituzioni culturali e viceversa.  A monte di tutto deve esserci un forte committment da parte di chi guida l’organizzazione per indurre anche chi non è abituato a lavorare con la tecnologia a comprenderne l’utilità. Una dimostrazione ce l’hanno data i Musei Civici di Vicenza. Il personale non era abituato a lavorare con la tecnologia, ma la direzione ha fatto loro capire come cambiare fosse un beneficio per tutti. I risultati raggiunti lo confermano.

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