Riprendono in Italia gli investimenti su banda larga e infrastrutture digitali, quindi cresce l’offerta, ma c’è ancora molto da fare per lo sviluppo della domanda. In questo contesto le imprese digitali ce la possono fare? E come? “Ce la possono fare e ce la stanno già facendo, ma potranno fare ancora meglio quando gradualmente questo tipo di problemi troverà una soluzione”. A dirlo è Stefano Da Empoli, economista e presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, un think tank che promuove analisi sui principali fattori di competitività dell’economia italiana in chiave innovativa. I-Com ha presentato oggi il Rapporto Reti e Servizi di Nuova Generazione (Ores), dal quale si evincono sostanzialmente due dati: l’Italia è tra i Paesi che con maggiore slancio ha imboccato un percorso di diffusione e rafforzamento delle infrastrutture broadband e super HD, ma è anche un Paese dove, rispetto allo sviluppo delle reti, fa da contraltare l’assenza di una domanda matura, sostanzialmente a causa dei livelli di alfabetizzazione digitale ancora molto bassi. Più un dato inaspettato: Calabria e Campania, il profondo Sud dell’Italia, sono in testa per copertura broadband di nuova generazione. Questo perché negli ultimi anni sono stati realizzati investimenti in infrastrutture: la banda larga dunque c’è, anche se poi non è detto che la popolazione la utilizzi (e qui si torna al problema della carenza di domanda).
“Perché un’impresa digitale si sviluppi ci vogliono un’infrastruttura di rete e interlocutori che permettano di lavorare” spiega Da Empoli a EconomyUp. “Lentamente si sta andando in questa direzione ma c’è ancora molto da fare. Guardando al trend dell’ultimo anno, nell’offerta di infrastrutture sono stati fatti sensibili passi in avanti: pur permanendo il divario digitale, si notano segnali positivi. Sul fronte della domanda, che è quella che ci preoccupa di più, questo non succede. La domanda – prosegue l’economista – dipende da fattori strutturali quali l’età anagrafica, il livello di educazione, la partecipazione al lavoro, che difficilmente possono cambiare se non vengono attuati provvedimenti ad hoc. Perciò noi proponiamo interventi di policy che siano in grado di dare la scossa al mercato. Innanzitutto: un switch off verso il digitale per i servizi pubblici, così come è stato fatto per la tv con il passaggio dall’analogico al digitale. Penso anche a cose banali come la prenotazione di visite mediche presso il Servizio sanitario nazionale, o il pagamento delle imposte, esclusivamente e rigorosamente online. Insomma obbligare la popolazione a usare solo il servizio digitale. Questo sarebbe, diciamo, il bastone. Poi c’è la carota: interventi di carattere fiscale o voucher per stimolare la domanda di banda ultralarga. Ovvero, per esempio, dare la possibilità di stipulare abbonamenti alla banda ultralarga godendo di incentivi fiscali o di un voucher”.
Ma vediamo i contenuti del rapporto I-Com sul panorama delle reti di nuova generazione.
I-Com Broadband Index (IBI) 2015 – la classifica europea dello sviluppo della banda larga
Pensato per condensare in un ranking di valori da 0 a 100 il livello di sviluppo broadband nei mercati TLC fissi e mobili europei, l’IBI si presenta quest’anno in una versione più articolata, che per la prima volta affianca alla classifica complessiva due ulteriori indici, spacchettati per Domanda e Offerta.
I dati si riferiscono al 2014. Questi, in sintesi, gli aspetti di maggiore interesse: Nella classifica complessiva, l’Italia si attesta al 25esimo posto, recuperando una posizione rispetto al 2013 grazie all’incremento di penetrazione della rete 4G e alla copertura broadband fissa e mobile. Il Nord Europa occupa per intero il podio con Danimarca, Svezia e Finlandia;
Tra il 2013 e il 2014, l’Italia registra una variazione del 14% del punteggio IBI complessivo, a fronte di una media europea del 5%. In funzione di questa crescita, I-Com posiziona l’Italia tra i paesi fast movers, definiti da una capacità di recupero particolarmente reattiva, a partire da una posizione di ritardo acclarata. Rientrano nella categoria dei fast movers anche paesi come la Spagna e la Grecia.
Ai fini dell’inserimento dell’Italia tra i Paesi che meglio fanno sperare rispetto allo sviluppo delle reti di nuova generazione, molto significativo è stato il contributo dell’offerta digitale, sospinta da un impegno continuo degli operatori sul piano degli investimenti;
Nella classifica IBI dedicata all’offerta, l’Italia si posiziona al 23o posto, recuperando 2 gradini rispetto all’indice generale. La crescita del punteggio IBI Offerta è stata pari ad un +18% rispetto al 2013, a fronte di una media europea del +2%;
Nella classifica IBI dedicata alla Domanda, l’Italia si posiziona al 21o posto (+ 4 posizioni rispetto al ranking complessivo) ma senza incrementi apprezzabili rispetto all’anno precedente.
“Da 7 anni, l’I-Com Broadband Index è il termometro dello sviluppo della banda larga nel nostro paese. Quest’anno abbiamo scelto di potenziarne la capacità di analisi, inserendo uno spaccato dedicato all’Offerta e uno alla Domanda: ci è stato così possibile cogliere meglio un segnale importante: l’evoluzione delle infrastrutture digitali in Italia è in forte espansione. Rispetto al 2013 l’offerta è aumentata del 18%, grazie agli investimenti delle imprese che respirano certamente un’aria di rinnovata fiducia”, commenta Stefano da Empoli, Presidente di I-Com.
Reti di nuova generazione: la copertura territoriale in Italia premia il Sud
A partire da un’analisi basata sui dati forniti dai principali operatori del mercato nazionale (Fastweb, Telecom Italia e Vodafone), I-Com ha realizzato la mappa della diffusione della banda ultralarga in Italia, aggiornata alla fine del primo semestre 2015. Queste le evidenze di maggiore rilievo:
Se guardiamo alle unità immobiliari coperte da banda ultra larga (con velocità pari ad almeno 30 MB), primeggia la Calabria (con percentuali di roll-out pari al 64% del totale complessivo, oltre 26 punti percentuali in più della media nazionale, pari al 37,8%). Seguono Campania (61,3%) e Lazio (57,9%). Al contrario, sorprendono in negativo i risultati del Triveneto e in particolare del Trentino Alto Adige (19,6%) e del Veneto (22,7%). Pressoché in media con il dato nazionale Lombardia (38,9%) ed Emilia Romagna (39,8%);
Sono ben 11 le province con un livello di copertura superiore al 60%, con in testa tre province meridionali (Crotone con l’82%, Napoli con l’81% e Palermo con il 77%);
In 17 delle 20 città più grandi per numero di residenti, i consumatori possono scegliere tra almeno 2 operatori, in 4 almeno 3 (concorrenzialità);
La diffusione della rete 4G si attesta su una media nazionale dell’89,6%. In coda regioni come la Basilicata (71%) e la Sardegna (79%) e, in generale, i territori caratterizzati da molti comuni di piccole dimensioni (es. Piemonte).
“Ci sono stati bandi che hanno riguardato le regioni del Sud – commenta Da Empoli – tutti vinti da Telecom Italia, in parte con contributo pubblico. In zone come Calabria e Campania passare da un’infrastruttura inesistente alla piena connessione certamente aiuta. Ma non è detto che ancora questa infrastruttura venga utilizzata dagli utenti in tutta la sua potenzialità”.
Convergenza Telco-Media e scenari mercato audiovisivo
La possibilità di sinergie tra l’industria dell’audiovisivo e le telecomunicazioni ha cominciato a palesarsi sin dalla prima espansione di Internet, a metà degli anni ’90. Oggi il fenomeno sta entrando in un nuovo e più significativo stadio di avanzamento, come effetto combinato di più tendenze ormai evidenti in tutti i mercati mediatici più maturi:
I servizi OTT, che distribuiscono contenuti video, cinematografici e televisivi attraverso l’open internet, stanno mettendo a segno una crescita esplosiva a livello mondiale: si parla di 26 miliardi di dollari raggiunti entro il 2015 e destinati a raddoppiare nel giro dei prossimi 5 anni. Operatori come Netflix (69 milioni di utenti complessivi) e Amazon (80 milioni di iscritti al servizio premium di eCommerce Prime), hanno alimentato la crescita del fatturato del video on demand ad abbonamento, ponendolo come modello competitivo non solo rispetto all’home entertainment su supporto fisico ma anche rispetto alla pay-tv;
Gli operatori televisivi di cavo, satellite e DTT hanno conosciuto un decisivo rallentamento nella crescita della propria base clienti: il secondo trimestre del 2015 ha visto in particolare un’impennata nel cord cutting, cioè nell’abbandono dei servizi audiovisivi lineari a pagamento, con ben 23 Paesi colpiti dal calo netto di abbonati;
Dagli Stati Uniti all’Europa e all’Italia, i principali operatori di pay-tv stanno stringendo inedite alleanze, se non addirittura fusioni, con le telco per lanciare offerte triple o quad play, in grado di combinare contenuti televisivi e servizi di telefonia, sostenendo così il comparto preso d’assalto dagli OTT. Il mercato italiano è oggetto di forti aspettative rispetto alla crescita della domanda di servizi/contenuti, trainata dai forti investimenti in nuove reti infrastrutturali pubblico-private. In Italia il mercato dell’on demand vale solo 40 milioni € (dato I-Com), contro i 686 di UK e i 249 della Francia (dati GFK). Ci si aspetta, tuttavia, che anche questo settore possa crescere rapidamente, anche grazie all’ingresso di operatori come Netflix.
“L’approdo di Netflix sul mercato italiano è stato salutato con una euforia che crediamo importante ricontestualizzare: la nuova piattaforma darà origine ad una trasformazione percepibile non tanto sul piano numerico degli abbonamenti (I-Com stima saranno pari a 150.000 unità entro la metà del 2016), quanto su quello della concorrenza, contribuendo a rendere ancor più dinamico un mercato ancora sottodimensionato rispetto al suo potenziale” – sottolinea Bruno Zambardino, Direttore Osservatorio Media di I-Com – “Non solo. Netflix avrà un ruolo centrale anche nella riduzione del fenomeno della pirateria e potrà posizionarsi come inedito interlocutore per i produttori di contenuti, agendo cioè come nuove canale di finanziamento rispetto a quelli canonici”.