Quando ho letto il titolo dell’articolo di Stefano Tresca sulle blockchain, gli smart contract e l’imminente estinzione degli avvocati, ammetto che mi è venuto un colpo: conosco Stefano da un bel po’ di anni e so bene che non parla mai a vanvera. Poi però, quando ho letto l’articolo, mi sono tranquillizzato: ci sono parecchie premesse che è difficile non condividere. Però sulle conclusioni, beh, parliamone: secondo me un po’ di margine di manovra per giungere a conclusioni diverse si riesce a trovare. Allora, forse può valere la pena di animare il dibattito. (Qui un approfondimento sul significato di Blockchain)
Dicevo che condivido molte premesse del ragionamento di Stefano: sicuramente noi avvocati siamo una categoria refrattaria al cambiamento. Sicuramente restiamo avvinghiati al business model tempo contro denaro. Sicuramente la categoria è allergica alle nuove tecnologie ed è ostaggio delle abitudini, più di qualunque altra. Aggiungo anche che siamo una categoria che, anacronisticamente, si prende sul serio più del necessario e che di fatto, oggi, conta sempre meno.
Ora, Stefano ci terrorizza (intendo, noi avvocati) con contratti che si scrivono da soli (magia!) e, soprattutto, si eseguono da soli (doppia magia!!). Personalmente convengo sul fatto che indubbiamente molte delle attività che oggi costituiscono un esclusivo appannaggio degli avvocati, in realtà, non richiedano o, con adeguati supporti organizzativi, potrebbero non richiedere necessariamente quell’esercizio di volontà, giudizio e competenze che sono tipiche dell’avvocato, in forza di tradizioni e/o di disposizioni normative.
Il macro tema che troneggia su questa analisi, tuttavia, è sempre il solito. Ossia, dov’è che si colloca il livello decisionale? Il tema dell’esercizio di una capacità di discernimento che fino ad oggi si è ritenuto dogmaticamente riservata all’essere umano: un dogma che l’evoluzione tecnologica, con l’avanzamento delle frontiere dell’intelligenza artificiale, mette sempre più concretamente in dubbio. Roba vecchia, caro Stefano: ci aveva già pensato Isaac Asimov.
E allora, tanto per ricambiare la citazione cinematografica (“cosa fanno quattromila avvocati in fondo al mare? Un buon inizio”), mi viene da evocare una bella frase dell’ultimo James Bond. “M” (il capo dell’Mi5 interpretato da Ralph Fiennes) è di fronte al tecnocrate che vuole smantellare il programma “doppio zero” e mandare in pensione le spie con licenza di uccidere, e siccome è una spia analogica e vecchio stampo, dopo aver chiesto al tecnocrate se abbia mai ucciso, gli dice: “To pull that trigger, you have to be sure. Yes, you can analyze, investigate, assess, target, but then you have to look him in the eye and you make the call. And all the drones, bugs, cameras, transcripts, all the surveillance in the world can’t tell you what to do next. A licence to kill is also a licence not to kill”. Tradotto liberamente: puoi analizzare quanto ti pare, ma quando c’è da premere il grilletto, guardi negli occhi il tuo bersaglio e non c’è drone, programma o microspia che ti dica cosa fare. La licenza di uccidere è anche licenza di non uccidere. La decisione insomma, resta all’uomo.
Ora, tornando agli avvocati, è chiaro che in un mondo in cui la tecnologia realizza contratti che si scrivono da soli e, come si diceva, si eseguono anche da soli, l’avvocato che di mestiere scrive contratti e si occupa della loro esecuzione è spacciato perché è superfluo. È altrettanto chiaro che l’avvocato che si ritrovi ad essere azionista del sistema che genera contratti autocompilati ed autoesecutivi abbia ottime chances di diventare miliardario. Stefano con un sorriso mi dice “è il mercato”.
Ma qui mi vengono una serie di dubbi. Il primo è: nel programma che scrive i contratti da solo, le regole alla base della legittima e sostenibile autocompilazione del contratto, o per meglio dire, tutte le possibili condizioni astrattamente (legittimamente) verificabili o non, di quel contratto (gli “if” e “then”) non le ha scritte un computer. Le ha scritte un’entità umana, che noi chiamiamo “legislatore”. Inoltre, queste stesse regole qualcuno le avrà infilate nella zucca dell’elaboratore.
Oggi si tratta di un essere umano e presumo che continuerà ad esserlo ancora a lungo, perché, considerato l’attuale livello medio di cripticità delle fonti normative (per carità, tutto è possibile), faccio fatica ad immaginare un software o un computer con una capacità di calcolo tale da riuscire ad analizzare ed interpretare tutto il corpo normativo dell’ordinamento di paese mediamente avanzato. Tanto per raccontare un aneddoto, mi viene banalmente in mente che in Italia c’è una norma del 2003 che disciplina il rilascio di permessi in materia di energia.
Questa norma, in un certo passaggio, nella sua formulazione originaria (perfettamente vigente a quell’epoca) operava un rinvio al comma di un certo altro articolo. Purtroppo, causa errore materiale, questo comma non esisteva. Provate a immaginare la possibile reazione di un computer ad un paradosso del genere.
Se il tema è questo, quindi, non parlerei più di estinzione degli avvocati, ma di una loro migrazione verso una regione concettuale diversa. In questa prospettiva, infatti, il giurista non esaurisce la sua funzione, bensì si colloca su un livello, o su un metalivello, diverso (direi, superiore) della catena alimentare della giungla giuridica.
L’avvocato, cioè, anziché occuparsi di scrivere le raccomandate per contestare l’inadempimento di un contratto (tanto il contratto ci pensa da solo ad attivare un addebito automatico al verificarsi della condizione appositamente contrattualizzata), si occuperà, eventualmente di infilare le regole giuste nella zucca del programma o dell’elaboratore che genererà quel contratto, oppure si occuperà di fare causa a chi non ha infilato le regole giuste nel programma di compilazione dei contratti e che, magari, ha partorito un contratto sbagliato, che ha provocato disastri.
Magari scriverà un codice di autoregolamentazione per i produttori di piattaforme che generano contratti autocompilati, o troverà il modo di cedere il suo know how al processo di produzione delle norme che potrebbero essere adottate dai legislatori per regolamentare questo tipo di piattaforme. Perché c’è un’altra considerazione da fare: la produzione di fonti normative non segue necessariamente i bisogni del mercato, ma pulsioni umane anche di tipo diverso (primo fra tutti, la ricerca di consenso politico, e con esso, la reazione alle pressioni sociali).
Per questa ragione, ad esempio, mi aspetto che il rischio estinzione di alcune categorie di avvocati e di giuristi possa considerarsi a lungo differito: si pensi a tutti quegli avvocati che non si occupano, come core business, di obbligazioni e contratti (dove gli attori coinvolti sono soggetti privati), ma di ambiti nei quali ci si deve rapportare con autorità pubbliche: amministrative, ambientali, di regolazione e vigilanza, fiscali, di polizia, eccetera, eccetera. Tutte queste figure professionali, fino a quando ci sarà la sacrale attribuzione per via legislativa (umana) di un potere e una regola ugualmente legislativa (e quindi di origine umana), cui l’esercizio di tale potere, dovrà essere improntato, avranno una qualche ragion d’essere.
Certo, non posso escludere che, risalendo la piramide dell’esercizio di coscienza e volontà, le maledette macchine un giorno possano giungere ad assediare anche questo sancta sanctorum: già mi ci vedo tra qualche anno a chiacchierare a Level 39 con Stefano Tresca, con qualche capello bianco in più, che mi fa andare di traverso il caffè mentre sorridendo mi racconta di una start up che ha appena finanziato che ha creato l’applicazione iParlament, capace di generarti un testo unico, un codice degli appalti o una direttiva UE in 4 millisecondi. Ma a quel punto, probabilmente, l’elemento umano sarà superfluo nella totalità dei settori e tutto sarà automatizzato o automatizzabile.
E allora forse possiamo chiudere con una domanda: giunti a quel punto, saremo tutti più ricchi o saremo tutti più disperati? I frutti di un mondo in cui è superfluo il lavoro umano saranno equamente distribuiti? O avremo una élite di ricchi e potenti asserragliati nelle loro fortezze dorate, mentre miliardi di altri uomini vagheranno per la terra, spogliati non solo dei loro beni, ma del loro stesso ruolo e della loro identità?
Luciano Quarta è avvocato amministrativista ed esperto di contenzioso tributario in Milano.
Componente della commissione Giustizia Tributaria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano