L’attivismo di impresa consiste nell’impegno di un’impresa a favore di una o più cause civili, sociali e/o ambientali, che siano di interesse pubblico e in cui l’impegno preso dall’impresa può prevedere anche una posizione “politica” rispetto a quelle cause, se queste la richiedono.
Come funziona l’attivismo d’impresa
Questo impegno si manifesta nella ricerca di modalità attraverso cui influenzare il cambiamento a livello legislativo, politico, economico, culturale, sociale od ambientale, quindi ben al di fuori del raggio di azione tradizionalmente assegnato all’impresa, cioè quello del business. Del fatto che il tema dell’Attivismo possa entrare in gioco del mondo delle imprese, può essere indicativo che se ne sia occupato il guru del marketing Philip Kotler, uno che sbaglia raramente nell’identificare i temi che saranno sul tavolo di quelle più evolute.
Kotler, insieme a Christian Sarkar, ha scritto già nel 2018 un libro sul tema dell’Attivismo, anche se nel suo lavoro il concetto di Attivismo è riferito al Brand e non all’impresa nel suo insieme (una nota: la prefazione al libro scritta da Paolo Iapichino vale già il suo prezzo). Secondo Kotler l’impegno all’Attivismo progressista si può concretizzare nella generazione di un impatto favorevole al bene comune, ammettendo l’esistenza di un Attivismo regressivo, che cerca invece un impatto favorevole all’impresa stessa, come accade con le forme più tradizionali di lobbying. Noi ci concentriamo ovviamente sulla prima prospettiva.
Attivismo d’impresa: i casi “The Body Shop” e “Patagonia”
In questi termini, l’attivismo d’impresa è un fenomeno piuttosto nuovo, di cui pioniere è stata “The Body Shop” (QUI la sua storia) e l’attore più riconosciuto è oggi Patagonia (entrambe le imprese sono B Corp). Nei casi più estremi, come quello di Patagonia, la “causa” diventa lo scopo stesso dell’impresa. Patagonia afferma infatti con orgoglio: “We are in business to save our home planet”. A questa missione si dedica con intensità e in forme diverse, dalla formazione al proprio staff finalizzata ad aumentare le conoscenze sulla crisi climatica, al citare in giudizio il Presidente degli Stati Uniti per avere ristretto le aree protette in un parco nazionale (il presidente era Donald Trump). Sino a donare la proprietà dell’impresa a un’organizzazione ambientalista.
Come si manifesta l’attivismo d’impresa
L’impegno attivista delle imprese si può manifestare attraverso diversi modi, essendo i principali:
– gli annunci pubblici;
– l’advocacy;
– l’attività di lobbying;
– le donazioni a gruppi che perseguono le cause che si vogliono sostenere;
– il volontariato d’impresa;
– la partecipazione a manifestazioni;
– le campagne di comunicazione a sostegno delle cause.
Differenze tra attivismo d’impresa e Cause related marketing
Per capire meglio il concetto vale la pena di soffermarsi su cosa differenzi l’Attivismo d’impresa rispetto alle forme tradizionali di CSR, e al cosiddetto Cause related marketing che pure perseguono buone cause. Le differenze sostanziali sono queste.
- la CSR tradizionale agisce focalizzandosi su ciò che permette di massimizzare il ritorno reputazionale, e tendenzialmente lo fa per periodi limitati se non in modo episodico;
- il Cause related marketing lega la causa ad una o più campagne che prevedono un atto di acquisto da parte del cliente, al quale si affianca l’impegno dell’impresa, riferito più spesso ad alcuni dei suoi prodotti o ad una marca in particolare.
Azioni concrete: il caso Starbucks
L’Attivismo d’impresa si focalizza sull’impatto che si vuole ottenere e lo persegue in tutte le forme in cui è possibile, essendo il ritorno sull’impresa un effetto e non un fine. Per questo l’Attivismo d’impresa persegue cambiamenti a livello sistemico, che toccano interessi ampi di una comunità o della società. Queste azioni corrispondono in alcuni casi all’inazione delle istituzioni pubbliche e ai vuoti che questa crea, in altri a modificare o contrastare l’effetto delle azioni delle istituzioni stesse. Il focus sul cambiamento sistemico non deve però far pensare che l’unico scopo dell’attivismo sia il cambiamento legislativo o che si manifesti solo con l’appoggio alle proteste o alle azioni di piazza. Spesso, infatti, le azioni concrete assumono un valore simbolico e sono tese a favorire il cambiamento culturale propedeutico a quello legislativo, o a contrastarlo. Un esempio di questo tipo di approccio è stata la decisione di Starbucks di assumere 10.000 rifugiati in risposta alla decisione del Presidente degli Stati Uniti (ancora Trump) di sospendere a tempo indefinito l’immigrazione da alcuni paesi arabi.
Alla base dell’Attivismo di impresa c’è prima il prendere una posizione su un tema, e poi assumersi la responsabilità di un’azione politica, sociale o culturale più spesso tipica del terzo settore. Come dice Kotler, l’Attivismo è “mosso da una preoccupazione di fondo per i problemi più gravi ed urgenti che affliggono la società”. Problemi di fronte ai quali l’impresa si mobilita e usa le proprie risorse per dare un contributo alla loro soluzione, senza aspettarsi che questo si rifletta in un impatto positivo sul business, il che pure come conseguenza ci sta visto l’interesse crescente che un segmento sempre più ampio di persone ha nei confronti delle imprese attiviste.
No a iniziative isolate, sì a continuità e profondità
L’importante è non confondere l’Attivismo d’impresa con iniziative isolate che pure hanno un impatto su una problematica di interesse comune. Per intenderci: organizzare due volte l’anno una giornata con il proprio staff per ripulire un parchetto dai rifiuti non è Attivismo d’impresa. Si può partire anche da lì ed un’iniziativa di questo tipo la definirei come una buona operazione di volontariato aziendale, oltre che di team building. Però, per attivare un vero e proprio Attivismo d’impresa sono necessari programmi di vasta portata, che permeino l’impresa e ne caratterizzino con intenzionalità, continuità e profondità l’azione. Va ammesso comunque che fra la pulizia del parco e il cambiamento del purpose dell’impresa vi siano tanti stadi intermedi in cui posizionarsi e nel mondo ideale magari da percorrere in sequenza, per passare dalle forme di attivismo più episodiche a quelle sistematiche.
In ogni caso l’Attivismo d’impresa non è per tutti. Vista la sua portata, imbarcarsi in un percorso di questo tipo richiede una forte volontà da parte dell’imprenditore e del management, senza escludere che la spinta venga dalle persone che lavorano per l’impresa e che debba quindi essere bene gestita, come ci racconta in questo istruttivo TED talk Megan Reitz.
Un approccio Attivista comporta prima di tutto il guardarsi bene in casa propria e capire se rispetto a quella causa, o ad altre della stessa “famiglia”, si stia già facendo tutto il possibile per essere esemplari. Sposare una causa può infatti essere persino pericoloso se la stessa coinvolge valori e attenzioni che non sono riscontrabili nei comportamenti dell’impresa. Potrebbe un’impresa essere credibile come paladina della lotta al cambiamento climatico se non avesse già lavorato a fondo per ridurre la propria impronta carbonica? Oppure potrebbe sostenere la causa della parità di genere se le retribuzioni delle sue persone di un genere, chissà quale …, fossero a parità di ruolo superiori a quelle degli altri? Questa prova di credibilità peraltro non richiede di essere già arrivati all’esemplarità, ma di essersi misurati, di avere identificato i gap, di averli resi pubblici con un adeguato impegno alla Trasparenza, e di avere messo in pista dei solidi programmi di miglioramento, a loro volta pubblicati e finalizzati ad eliminare i gap secondo una chiara road map. Questi prerequisiti rendono legittimo, e quindi credibile, lo spendersi per una causa. Quando non ci sono, ci troviamo di fronte nel migliore dei casi a compiti per casa fatti male, mentre nel peggiore ad una manipolazione vera e propria.
Date queste premesse, le ragioni per attivarsi sono davvero tante e magari ne parleremo nei prossimi articoli!