Cosa può nascere dall’incontro tra arte e tecnologia? Forse la cinquantanovesima edizione della Biennale di Venezia può rispondere alla nostra domanda: fino al 20 giugno sarà possibile visitare una mostra d’arte un po’ insolita al Decentral Art Pavilion che vede un incontro tra arte e NFT (Non Fungible Token) tramite l’esposizione Singularity, curata e organizzata da Florencia S.M. Brück, Javier Krasuk, Diego Lijtmaer and Simone Furian che comprenderà opere d’arte in formato NFT.
Gli NFT stanno stimolando un rinascimento all’interno del mondo dell’arte e delle tecnologie decentralizzate, trasformando il mercato dell’arte e cambiandone radicalmente il mondo.
NFT: cosa sono e come possono essere applicati al mercato dell’arte
Un NFT (non-fungible token) è un asset crittografico con un numero di identificazione unico che lo distingue da qualsiasi altro token legato ad una blockchain di riferimento che ne garantisce tracciabilità, copyright e unicità. Diversi dai token fungible, come le criptovalute, sempre legati a una blockchain, ma tutti identici e quindi adatti ad essere un mezzo per transazioni commerciali, gli NFT non possono essere replicati (per approfondire leggere questo nostro contenuto). Questa caratteristica li rende molto versatili e particolarmente interessanti per alcuni mercati, come quello dell’arte, spesso soggetto a frodi, dove la tracciabilità e la replicabilità delle opere viene prima di tutto. La tokenizzazione di un’opera, quindi la suddivisione di un’opera in diversi NFT, ha diversi vantaggi: il mercato è più efficiente, perché gli agenti, intermediari tra artista e pubblico, vengono rimossi; inoltre migliora il processo produttivo dei beni: provenienza, produzione e vendita sono completamente tracciabili, riducendo di molto il rischio di frode.
Metaverso: la chiave per un’arte non elitaria?
La pandemia ha velocizzato il processo di digitalizzazione in ogni ambito, questo è vero anche per il mondo dell’arte: le opere digitalizzate permettono la fruizione virtuale delle stesse evitando lo spostamento fisico effettivo. Questa modernizzazione ha garantito molti altri vantaggi, tra cui la possibilità per i musei e i curatori digitali di non essere “legati” all’opera fisica e alle questioni logistiche; piuttosto, di concentrarsi nel trovare nuovi modi di comunicazione real-time più accessibili e immediati.
Esemplificazione esatta di questa tendenza è la fondazione del Museum of Crypto Art (MoCA) nello spazio Somnium: le opere d’arte in mostra nel museo virtuale sono a portata di click ad una risoluzione altissima. Le immagini sono visibili da chiunque, perché l’accesso è estendibile senza che il valore dell’opera sia drasticamente ridotto proprio grazie alla natura stessa delle NFT, la cui proprietà è validata dalla blockchain. Altro grande vantaggio è l’assenza di uno spazio espositivo fisico che permette ai curatori di esprimersi al meglio.
Ora rimane solo da chiedersi se artisti come Banksy, Cassatt o Frida volessero che le loro opere fossero vendute al miglior offerente nella speranza di entrare nell’Olimpo degli artisti. La risposta è: probabilmente no; ciò non toglie che il metaverso espanda le possibilità: è una porta che conduce gli artisti più vicini al pubblico.
Nft e arte, come ci guadagnano i musei
Suse Anderson, assistant professor di Studi Museali alla George Washington University, rimane scettica riguardo agli NFT: “Rischia di essere un trucco per non farci concentrare sul lavoro stesso. Dovremmo concentrarci nel rendere le risorse più accessibili al pubblico così come possiamo”. Sottolinea comunque la presenza di un mercato attivo per gli NFT nei musei al momento: “Potrebbe non durare a lungo, ma questo è il momento dove c’è la possibilità di raccogliere soldi e guadagnare visibilità”.
Nel mondo dell’arte le idee riguardo agli NFT sono contrastanti, ma non si può negare che siano attualmente fonte di guadagno.
Guido Guerzoni della Bocconi University: “I musei hanno bisogno di una rivoluzione se vogliono sopravvivere. In un anno di pandemia i musei europei hanno perso il 70% dei loro visitatori e tra il 70 e l’80% dei loro introiti. Questi numeri sono impressionanti ma la situazione italiana è stata anche peggio: se consideriamo solamente i musei di cui lo stato è proprietario, i visitatori persi salgono all’85% e il ricavo perso è del 90%.”
Guerzoni ha aggiunto che la strategia di riconnettersi al pubblico locale, usata specialmente durante la pandemia, non è sostenibile per tutti i musei, come ad esempio per gli Uffizi, i cui introiti provengono principalmente dal turismo internazionale. Queste strategie digitali richiedono un grande investimento iniziale, che però viene ricompensato successivamente: le nuove soluzioni imprenditoriali possono costituire la chiave dei problemi che le istituzioni attuali sono costrette ad affrontare.
Il problema della sostenibilità: il caso Ethereum
Un problema a cui si deve assolutamente far fronte è quello legato alla sostenibilità: per produrre un NFT il consumo di energia è altissimo. Si è calcolato che il potere computazionale necessario per attivare una NFT sulla blockchain di Ethereum è massiccio. Come ha sottolineato una ricerca condotta da Quartz, le emissioni di CO2 di una transazione NFT è in media di 211 kg, necessari ad una macchina per percorrere 805 chilometri. Mentre l’impronta ecologica di una stampa che viene prodotta, inviata al magazzino più vicino, smistata, inviata e ricevuta è di appena 2,3 kg di CO2. Il processo qui descritto è chiamato Proof of work: il miner deve provare che prima di aver inserito un block nella blockchain è stato effettivamente conseguito un lavoro computazionale. Questa feature è stata aggiunta per evitare transazioni dolose, ma non è una scelta sostenibile.
La critto-arte non si è ancora radicata nella nostra società fino ad un punto di non ritorno, quindi molti esperti hanno suggerito che la soluzione più pratica sia nell’abolirla, ma in realtà c’è un’alternativa meno drastica: la Proof of stake, ad impatto ambientale decisamente più accettabile. Questa tecnologia permette di aggiungere un block alla blockchain non in base a quanto lavoro computazionale è stato eseguito ma in relazione agli stakes. In questo modo l’impronta si riduce notevolmente: le emissioni si abbassano a 2,11 kg di CO2 per ogni transazione, valore molto simile alle emissioni necessarie alla spedizione “fisica” di un’opera d’arte. Piattaforme che sfruttano la Proof of stake esistono ma sono più piccole dei competitori.
Dove vedere gli NFT d’arte
La mostra Eternalizing Art History: Unit London + Cirillo + musei italiani
Alcuni musei italiani (Pinacoteca di Brera, Complesso Monumentale della Pilotta di Parma, Veneranda Biblioteca Ambrosiana e gli Uffizi) hanno avviato una partnership con Unit London, una concessionaria inglese d’arte contemporanea e Cinello, firm italiano di crittografia, per mostrare riproduzioni a LED di alcuni dei dipinti più famosi delle loro collezioni in gallerie estere vendendo NFT.
Così il “Ritratto di musico” e “La Scapiliata” di Leonardo da Vinci, “Canestra di frutta” di Caravaggio, “Il bacio” di Hayez, “Testa di giovane donna” di Modigliani e “Madonna del cardellino” di Raffaello sono stati esposti a Londra su schermi digitali ad altissima risoluzione e venduti come NFT. Alla chiusura della mostra, sono stati raccolti €250,000 da 7 vendite NFT, il 50% dei quali andrà ai musei d’origine delle opere in questione.
Startup LaCollection: una nuova generazione di collezionisti
LaCollection è una startup lanciata l’anno scorso con l’obiettivo di vendere versioni digitali di opere d’arte tramite NFT in modo da creare una nuova generazioni di collezionisti. LaCollection ha collaborato con molti musei del settore: con il British Museum, ad esempio, sono state prodotte due collaborazioni riguardanti “’La grande onda” di Hokusai e “Il naufragio” di Turner. Altra collaborazione avviata è quella con il Leopold Museum di Vienna per 24 opere di Egon Schiele e quella con l’artista calligrafico Yang Jiechang.
LaCollection vende le NFT in modo diverso a seconda del valore artistico e culturale del pezzo. La sigla “comune” indica l’esistenza di 10,000 edizioni di NFT; “limitato” vuol dire che 1,000 NFT sono prodotte; “raro” 100, “super raro” 10, and “ultra-raro,” solo due. Anche i prezzi variano: alcune NFT sono vendute a un prezzo fisso, altre all’asta. Conscia dell’impatto ambientale, LaCollection scrive sul suo sito che “per ogni NFT generato pianteremo un albero”, il che “compensa più del necessario”.
La Whitworth Art Gallery di Manchester: dove l’arte incontra il sociale
La galleria di Manchester ha venduto un’edizione di 50 NFT generate da “The Ancient of Days” di William Blake come prodromo di un’esibizione fisica che si terrà nel 2023.
La galleria ha scelto di generare NFT sulla blockchain Tezos, che ha un’impronta ecologica molto meno elevata rispetto a quella di Ethereum o altre catene. Più di $40,000 sono stati ricavati dalle vendite, il profitto andrà a favore della comunità locale che userà questi soldi per progetti artistici legati a educazione, salute e ambiente.
Ancora più affascinante è la scelta della galleria di non vendere l’esatta riproduzione del lavoro di Blake, bensì una versione alterata del capolavoro realizzata dall’Istituto di Ricerca John Rylands in collaborazione con l’Università di Manchester.
La domanda filosofico-estetica che sorge spontanea è quale valore attribuire alle riproduzioni rispetto agli originali. Joe Kennedy di Unit London è fermo su questo punto: “[Gli NFT] sono solo uno strumento di narrazione che si assicura che questi lavori iconici continuino a vivere per le generazioni future; si limitano ad accrescere l’esperienza magica che è vedere dal vivo l’opera originale”.