Il binomio tra arte e scienza è ormai noto: sono moltissimi gli scienziati, tra questi Umberto Veronesi e Alberto Mantovani, che hanno usato quadri e sculture per raccontare enzimi, proteine, processi cellulari e patologie. Perché l’arte, anche quando viene utilizzata come rappresentazione, ha il potere di chiarire e mettere a fuoco. Rendere accessibile la comprensione attraverso il coinvolgimento emotivo. La stessa cosa vale per l’innovazione. Forse la bellezza non salverà il mondo, come sosteneva il principe Myškin di Dostoevskij, ma è sicuramente un modo efficace per comunicare l’innovazione, che il mondo può renderlo senz’altro migliore e più sostenibile.
L’arte come linguaggio universale per tradurre scienza e innovazione
L’arte è un linguaggio universale. Il migliore che abbiamo a disposizione perché non ha bisogno di mediazioni: è istintivo, diretto, libero, inclusivo. La bellezza è l’alfabeto ideale per comunicare il mondo e i suoi cambiamenti: l’arte è un traduttore automatico di idee complesse. Perché, dunque, non utilizzarla di più e meglio? È proprio da questa domanda che può nascere il connubio virtuoso con l’innovazione. Riuscire a sfruttare il linguaggio universale dell’arte per parlare dei grandi cambiamenti di cui l’innovazione è portatrice significa allargare il perimetro dell’inclusione e della partecipazione, fare in modo che – per usare una frase molto vicina ai valori di Cariplo Factory – nessuno resti indietro, neppure di fronte alle profonde trasformazioni economiche e sociali a cui l’innovazione spesso si accompagna.
Può sembra una teoria un po’ naïf, invece no. I neuroscienziati studiano da vent’anni la relazione tra il contatto con la bellezza (per esempio l’osservazione di un’opera d’arte o la visita a un museo) e i processi neuronali del nostro cervello. Non solo. È stato dimostrato che la “terapia dell’arte” giova alla salute fisica e mentale dell’uomo aumentando il livello di cortisolo e di serotonina. Si tratta di chimica, non di suggestioni di fantasia. La bellezza non guarisce nessuna patologia, ma incide, e non poco, sul well-being dell’individuo e sul suo benessere mentale.
Pittura, scultura, teatro: come unire arte e innovazione
In Cariplo Factory crediamo da sempre nella contaminazione dei saperi e delle competenze. E sull’asse arte-innovazione abbiamo sperimentato diverse formule per cogliere il potenziale beneficio della bellezza all’interno dei nostri processi di open innovation. Nel 2018 abbiamo chiesto a 10 giovani artisti della Scuola di pittura dell’Accademia di Brera di interpretare il concetto di innovazione aperta. Da quella iniziativa è nata la mostra Open Innovation Art, che abbiamo ospitato nel nostro hub di innovazione per circa dieci giorni. Poi, cinque di quelle opere sono restate in Cariplo Factory a testimonianza di quella ricerca orientata all’orizzonte contemporaneo in cui, per comprendere e abitare la realtà, bisogna inevitabilmente incontrare la tecnologia digitale.
L’anno seguente, nel 2019, abbiamo invitato Urbansolid, un progetto artistico che ha come intento quello di creare la terza dimensione del writing, a rappresentare quattro grandi innovatori italiani come Margherita Hack, Maria Montessori, Tullio Campagnolo e Adriano Olivetti, che potessero fare da riferimento ai giovani startupper coinvolti nei nostri progetti di innovazione. Infine, il teatro, con Companies Talks, la storia delle dot-com che hanno cambiato la nostra vita: un viaggio alla scoperta delle carismatiche storie di chi, partendo da un sogno, ha saputo trasformare un’idea in un unicorno e poi in un’azienda globale. Un racconto appassionante per raccontare il talento e la determinazione di quelle persone capaci di realizzare (e modificare) grandi intuizioni imprenditoriali.
L’arte nutre la mente: può essere volano di creatività anche nelle aziende
Nutrire, verbo non casuale. Solleticando gli ormoni del benessere, l’arte attiva le nostre sinapsi e diventa mediatrice culturale, capace di tradurre concetti complessi in stimoli visivi ed emotivi più semplici da afferrare e interpretare, diventa volano e attivatore di idee, suggestioni, emozioni. Sfruttando appieno le potenzialità comunicative dell’arte – e per questo una più proficua collaborazione tra startup, aziende tecnologiche e giovani artisti sarebbe auspicabile nel nostro Paese, che non dimentichiamolo vanta il più grande patrimonio artistico del pianeta – potremmo realizzare un’innovazione al quadrato: più comprensibile, più condivisa, capace di arrivare più in fretta. E chissà, forse persino più bella.
La visione dell’innovazione in 5 opere d’arte
Nella visione di Cariplo Factory l’innovazione si può condensare in cinque keyword principali: talento, responsabilità, inclusione, contaminazione, generatività. Nel tentativo di continuare a sperimentare sulla frontiera tra arte e innovazione, abbiamo scelto cinque opere, dal Novecento ai nostri giorni, in grado di trasmettere il senso profondo di quei concetti che rappresentano i capisaldi del nostro fare innovazione.
TALENTO – Vincolo d’unione di Escher, 1956
L’olandese Maurits Cornelis Escher (1898-1972) con queste due spirali che confluiscono l’una nell’altra, rappresentando da un lato la testa di una donna e dall’altro la testa di un uomo, ci dice che il talento è “contagioso”, seziona la realtà ma poi si ricompone in qualcosa di nuovo, soprattutto se condiviso. Curioso: Escher, la cui genialità di artista è a tutti nota, celeberrimo nel mondo per le sue costruzioni impossibili, le geniali distorsioni geometriche, le interessanti interpretazioni delle scoperte scientifiche, spesso con esiti paradossali, fu bocciato due volte a scuola. Gli si imputava mancanza di originalità.
RESPONSABILITÀ – Il quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901
Con questo dipinto di quasi tre metri per cinque metri e mezzo, Giuseppe Pellizza da Volpedo ha voluto rappresentare le rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento: vediamo una folla in cammino, determinata e compatta. I volti sono fieri, un anziano, un giovane e una donna, guidano il gruppo, in abiti semplici ma dignitosi. La grande arte si fa chiamare in causa dalla storia: l’artista decise di dare ai lavoratori – e, ancora oggi, il suo quadro è tremendamente attuale – un proprio posto al sole. La potenza dell’opera sta nella verità e nella responsabilità sociale del messaggio: Pellizza scelse la sua gente, quella del piccolo paese di Volpedo, nella campagna piemontese, e al loro fianco, sotto il sole, li ritrasse in quella camminata eternamente rivoluzionaria.
INCLUSIONE – Hundertwasserhaus Vienna di Friedensreich Hundertwasser, 1986
Nato a Vienna nel ‘28 e morto per mare, nel mezzo dell’Oceano Pacifico, nel 2000, Friedensreich Hundertwasser ha viaggiato in Italia, Marocco, Tunisia, Giappone e poi è approdato dall’altra parte del mondo, in Nuova Zelanda. Pittore, sculture, architetto, ecologista, umanista, poliglotta e visionario multiculturale: la sua pratica artistica è innovazione continua e celeberrimi sono ancora oggi i suoi progetti di case che vivono della compenetrazione tra elemento naturale e antropico. Tutto c’entra con tutto, ogni cosa è inclusa. Certi progetti, come quello delle case di Vienna, possono essere partorite solo dalla mente di chi, nella propria esistenza, non si è precluso alcuna esperienza di conoscenza.
CONTAMINAZIONE – Cervino avorio di Alessandro Busci, 2017
Alessandro Busci, pittore e architetto, è artista che ama le contaminazioni: qui si confronta con il simbolo per eccellenza dell’ascesi (esiste forse una montagna più iconica del Cervino?) e lo declina in diverse, non convenzionali, maniere. Prende la tradizione iconografica di casa nostra e la stempera con quella giapponese, sintetizza la pittura materica, gestuale e densa con la leggiadra calligrafia orientale. Si lascia contaminare da diverse culture ed esplora materiali non convenzionali come gli acciai (il corten su tutti), il rame e l’alluminio lavorati con acidi e smalti. L’innovazione del contemporaneo passa anche attraverso lo studio di tecniche nuove, per realizzare una figurazione non convenzionale di qualcosa che, a prima vista, conosciamo bene, fino a che un artista non riesce a mostrarlo in una luce diversa.
GENERATIVITÀ – Le Tre Età della donna di Gustav Klimt, 1905
Più di un secolo fa, Gustav Klimt espresse in questo suo capolavoro che non a caso ha le sembianze di un sarcofago (luogo della morte che diventava vita, per gli Egizi), il senso della generatività quale agire che – secondo il sociologo Mauro Magatti – “ammette l’esistenza di un prima, di un adesso e di un dopo, in relazione a cui si assume la responsabilità del proprio darsi, accettando di essere aperti a ciò che non si conosce”. Proprio come la donna anziana, che si copre gli occhi con la mano, proprio come la donna giovane che tiene in braccio la bambina e ha gli occhi chiusi, immersa in una dimensione irreale. Dai visi di queste due figure s’intuisce un senso di appagamento e felicità profonda.