“Arduino è la Ferrari dell’innovazione italia: va difeso”. È uno dei tanti commenti apparsi sul web nelle ultime settimane a proposito del caso Arduino, la piattaforma hardware open source creata in Italia che consente anche ai meno esperti di programmare ed è usata in tutto il mondo dai makers, la nuova generazione di artigiani digitali. Arduino è al centro di una controversia che vede il co-founder Massimo Banzi, storica anima e volto del progetto nel mondo, contrapposto a un altro co-founder, Gianluca Martino, proprietario dell’azienda di Strambino (Torino) che produce le schede. Questa azienda, che si chiamava Smart Project, si è cambiata nome 5 mesi fa in Arduino srl e ha affidato il timone a Federico Musto, imprenditore noto nel settore ma estraneo al gruppo dei founder, senza il consenso di Arduino SA, che ha sede in Svizzera, di cui Ceo è Banzi. La società di Banzi ha già avviato azioni legali per contraffazione del marchio.
Qui i particolari della spaccatura maturata in Arduino
Una spaccatura che ha causato stupore e scompiglio nel club italiano dell’innovazione tecnologica. Pensieri ed emozioni emersi su Internet e sui social network a colpi di post e tweet, e caratterizzati sostanzialmente da tre leit-motiv: l’imbarazzo per la brutta figura internazionale di un’eccellenza tecnologica Made in Italy, il desiderio di capire meglio la questione dei brevetti e il nodo della produzione.
Se Riccardo Luna, il Digital Champion europeo per l’Italia, ha twittato “Forza Massimo Banzi, Forza Arduino”, Massimo Cavazzini, capo per la Regione Emea di product planning, marketing and user experience di Fiat Chrysler Automobiles ha usato un tono meno entusiasta: “Alla fine Martino e Banzi si stanno facendo la guerra. Come mandare a p*****e un miracolo italiano”.
Pessimismo anche nel commento di Federico della Puppa, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università Iuav di Venezia: “Incapaci di fare squadra, di organizzarsi, di fare strategie insieme… Siamo italiani. Non siamo capaci…”.
È Luca Alagna, consulente su strategie di comunicazione online ed editoria digitale, a definire Arduino “La Ferrari dell’innovazione”. Silvio Malvolti, founder di Buone Notizie, startup editoriale che ha innovato il concetto di rassegna stampa, cinguetta: “Non accade solo a Massimo Banzi: avere successo in Italia attira gente senza scrupoli”.
Altri si soffermano sulle falle nella struttura organizzativa. “Tra soci bisogna stipulare ruoli” suggerisce Luca Corsato, open data specialist. E si ci interroga sulla questione marchio: Musto sostiene che la Arduino srl (ex Smart Project) ne ha la proprietà, Banzi dice che il marchio Arduino è stato registrato negli Usa nel 2009 attraverso Arduino Llc, società creata dal gruppo dei founder negli Stati Uniti. In sostanza non sarebbe mai stato registrato in Italia, almeno non dalla Arduino svizzera di Banzi. “Se le informazioni sono corrette, l’errore fu registrare il trademark Arduino in troppe poche regioni geografiche” commenta Stefano Zacchiroli, free software activist e noto per essere stato a capo del Progetto Debian, sistema operativo per computer composto solo da software libero.
Simili interrogativi affiorano su Facebook. Un utente di un forum composto da appassionati di Arduino si chiede: “Ma veramente Arduino non era un marchio registrato? In tutti i progetti open il marchio è l’unica cosa che si tutela, onde evitare che qualche furbone se ne appropri”.
Ci sono poi, e sono tanti, i fan di Arduino, quei maker smanettoni che considerano Massimo Banzi il loro padre tecnologico (se non spirituale) e che ovviamente sono schierati dalla sua parte. “Onestamente non toccherei una scheda targata Arduino srl nemmeno se me la regalassero” scrive un utente. Peccato che, secondo quanto dichiarato da Musto, la Arduino srl stia continuando a fornire schede alla Arduino SA nel rispetto degli accordi precedentemente stipulati.
C’è chi pone la questione logistica. La scissione tra Banzi e Martino sembra essersi consumata anche perché il primo riteneva utile estendere la produzione all’estero, dove già ci sono diverse fabbriche che realizzano le schede Arduino, mentre il secondo puntava a mantenerla in provincia di Torino. “Se la producono in Italia io toccherò solo le schede di Arduino srl” scrive un utente sul forum. “Sei libero di farlo – gli risponde un altro – ma sono convinto che non aiuteresti né il Made in Italy, né la cultura del lavorare bene (contrapposta al “vender fuffa finchè si riesce”)”.
Qualcuno infine fa notare che la sede dell’Arduino di Banzi non è in Italia, ma in Svizzera. Insomma, un Made in Italy non proprio tutto italiano. In un mondo globalizzato accade anche questo.