L'INTERVISTA

Andrea Rangone: c’è un Oceano Blu per tutti, ecco il nostro

L’innovazione è spesso più vicina di quanto si possa pensare. “È l’interpretazione originale del settore in cui stai già operando e di quelli limitrofi”, dice Andrea Rangone, presidente di Digital360. Che racconta come il gruppo ha trovato il suo Oceano Blu nell’intersezione di tre industry: editoria, consulenza e software

Pubblicato il 30 Nov 2020

Andrea Rangone, presidente DIgital360

Un po’ come la lettera rubata di Edgar Allan Poe, spesso l’innovazione è lì sotto gli occhi di tutti ma proprio per questo visibile solo a chi ha lo sguardo giusto per coglierla. L’immagine mi è venuta in mente guardando gli schizzi sulla lavagna magnetica fatti da Andrea Rangone in occasione di un workshop dell’Osservatorio Startup Intelligence sull’Oceano Blu, schizzi che mi hanno molto incuriosito per come rappresentano le apparentemente semplici ma potenti intersezioni fra industry diverse che, se individuate, possono generare valore e innovazione.

Rangone è docente di Digital Business al Politecnico di Milano, co-fondatore degli Osservatori Digital Innovation e di Digital360 (che fra le altre cose edita anche EconomyUp), società quotata all’AIM di cui adesso è presidente. “Blue Ocean Strategy” è un libro pubblicato nel 2005 da due docenti dell’INSEAD per proporre un modo di pensare capace di individuare nuovi mercati dove scorrazzare senza concorrenti. Insomma, mare aperto per il business.

Ho chiesto a Rangone di rivedere insieme quegli schizzi (e qualcuno potete vederlo anche qui) per capire come si può applicare la Blue Ocean Strategy che, soprattutto in questa fase difficile dell’economia, può rappresentare una via per la ripartenza.

Andrea, in uno dei tuoi schizzi hai messo insieme il Cinque du Soleil e Ryanair per rappresentare la potenza dell’Ocean Blu Strategy. Perché?

L’Oceano Blu nasce spesso dall’interpretazione originale del settore in cui stai già operando e di quelli “limitrofi” (a monte, a valle, di prodotti sostitutivi o complementari). Tutto cambia se riesci a vedere le cose con occhiali diversi e soprattutto se riesci a ibridizzare elementi provenienti da industrie differenti, che è la cosa che mi piace di più.

Ho capito: il Cirque ha messo insieme arte circense, musical, opera e balletto creando qualcosa che non c’era prima. Ma cosa c’entra il circo canadese con Ryanair?

Ryanair è un altro esempio di Oceano Blu possibile perché ha ibridizzato settori diversi: partendo da quello dei trasporti aerei, ha preso componenti dal mondo dei trasporti via treno/bus, dal settore dei portali online. E ha creato un nuovo standard.

C’è un Blue Ocean possibile per tutti?

Io credo di sì. Tutte le aziende si muovono sempre di più su territori instabili e dai confini sfumati, dove il valore e l’innovazione possono arrivare dalla capacità di individuare aree tradizionalmente considerate “periferiche” o addirittura “estranee” da valorizzare con il proprio know how e le proprie competenze. Come stiamo già facendo con Digital360.

È quello che sta accadendo per le multiutility con la mobilità o e quel che ci ha raccontato di recente Federico Pozzi Chiesa di Italmondo per la logistica. Qual è il Blue Ocean di Digital360?

Abbiamo trovato il nostro Oceano Blu nell’intersezione di tre industry: editoria digitale (portali online), consulenza e software as-a-service, mettendo a punto una offerta originale e unica sul mercato che chiamiamo “digitala in abbonamento”. E il valore sta già emergendo: nei primi nove mesi del 2020 questo modello ha generato 6,2 milioni di ricavi ricorrenti, con una crescita del 44% rispetto al 2019.

Come funziona la navigazione in questo Oceano Blu?

La prima industry, dicevamo, è quella dell’editoria digitale con i suoi portali, le newsletter, gli eventi. In questa nuova strategia il network dei nostri 50 asset digitali stanno diventando un potentissimo canale di go-to-market per i nostri servizi: sono i prospect stessi che sempre più spesso vengono a cercarci grazie a questa attività.

E nella consulenza che cos’è cambiato?

Stiamo cercando di standardizzare molto alcune practice di consulenza, ingegnerizzando il know-how che ci viene dal lavorare al fianco di tanti clienti grandi e importanti e del mondo universitario. Un esempio? Il servizio di “data protection in abbinamento”: ci prendiamo in carico tutta la gestione dei temi legati al Gdpr, dalla figura professionale del DPO (Data Protection Office as-a-service) fino alla piattaforma necessaria per supportare tutte le attività operative.

Non dimentichiamo la terza industry, ile software…

Abbiamo capito che per rendere il delivery della consulenza più efficace e più efficiente a volte ci serve posarla su uno strato software sottostante, su un applicativo, come è stato fatto con MarTech360 o GRC360: la prima è una nuova piattaforma di marketing automation, che è proprio il frutto dell’esperienza del gruppo nelle attività di lead generation; la seconda è una soluzione informatica che permette a un’azienda di affrontare tutti gli adempimenti connessi alla privacy in modalità software as a service. Lungi da noi voler diventare una software house! Ma usiamo il software per erogare meglio i nostri servizi professionali ai clienti.

Proviamo a estrarre il succo di questo modello?

Partire da un know how molto specifico, ingegnerizzarlo e quindi renderlo più facilmente standardizzabile e replicabile su tanti clienti. In Digital360 siamo partiti dalle metodologie originali, dal know how sviluppato con i progetti custom, il nostro reparto di sartoria su misura. Lo abbiamo ingegnerizzato posandolo su una piattaforma tecnologica e lo proponiamo al mercato con il modello ad abbonamento, veicolandolo anche attraverso i nostri portali online. Un cerchio notevole!

Qual è il principale vantaggio del modello?

Superare il trade off fra costi e qualità, che è una tipica caratteristica del Blue Ocean. Di solito costi e qualità sono in opposizione e invece è possibile dare ai clienti consulenza professionale di altissimo livello a un prezzo ragionevole grazie alla standardizzazione del know-how e al’utilizzo delle piattaforme tecnologiche.

Ecco il nostro Blue Ocean: sfruttiamo al meglio il nostro network di portali online per attrarre nuovi clienti, anche nel mondo delle piccole e medie imprese e amministrazioni, per offrire loro consulenza professionale di elevato livello ma “ingegnerizzata” e basata su piattaforme tecnologiche as-a-service che ne facilitano l’erogazione efficace ed efficiente.

Navigare nei Blue Ocean non mette a rischio l’identità di un’azienda?

No se vision e mission sono chiare. Digital360 non è un advisor company tradizionale, non è un editore digitale tradizionale e non è certo una software house. Che cos’è allora? Siamo un Blue Ocean, siamo un insieme di queste cose con una value proposition molto chiara: supportare le imprese (anche quelle piccole e medie) e le pubbliche amministrazioni nel processo di trasformazione digitale, permettendole di esternalizzare attività e processi tecnologici che, se gestiti all’interno, richiederebbero competenze e professionalità sofisticate, costose e spesso anche difficili da reperire.

Per questo allora il blu è il corporate color di Digital360?

Certo! A dire il vero non è stato scelto per questo motivo ma nel DNA dell’azienda c’è sempre stata una forte spinta all’innovazione e alla scoperta di nuove rotte per il business possibili grazie all’uso della bussola della tecnologia.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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