Questa settimana avrebbe potuto chiudersi con una buona notizia per la tormentata Agenzia per l’Italia Digitale, in codice AGID, il soggetto istituito due anni fa per diffondere l’uso delle tecnologie nella Pubblica amministrazione. Ma si è preferito (o si è dovuto?) prendere ancora tempo per curare ogni dettaglio e mettersi al riparo delle contestazioni prevedibili in una gara a cui hanno chiesto di partecipare in 156. Intanto si avvicina velocemente una scadenza che non può essere ignorata: Digital Venice, 8 e 9 luglio, l’assemblea europea per il digitale che di fatto coincide con l’inizio del semestre italiano alla guida del Consiglio UE. Un segnale della “presa di coscienza” della centralità del digitale da parte della politica. Può quindi presentarsi l’Italia a quell’appuntamento con la casella vuota del direttore generale dell’agenzia digitale?
Come sempre capita in questi casi da giorni girano nomi “preferiti”, si agitano professori, politici e dirigenti ministeriali, circolano storie di manovre, pressioni e annunci di contestazioni in caso di esclusione, destino che toccherà inevitabilmente a 155 candidati. Tanta ansia non si spiega solo con le (legittime ma in molti casi stravaganti) ambizioni personali. C’è probabilmente anche una carica di aspettative eccessive nei confronti di una figura diventata quasi mitologica e a cui si attribuiscono poteri salvifici: un giorno arriverà il DG digitale e guiderà la rivoluzione che tutti aspettano (e molti temono…) ma nessuno sa come fare. Purtroppo, o per fortuna, non sarà così, perché non può essere cosi. Per ragioni…costituzionali.
Il tanto atteso direttore generale avrà meno poteri di Francesco Caio che, nella fase costitutiva dell’Agenzia, era un “commissario” del presidente del Consiglio. Il suo compito nei prossimi tre anni sarà, da Statuto, di stimolo, indirizzo e coordinamento delle attività necessarie per introdurre l’uso delle tecnologie digitali e grazie ad esse ridurre i costi e migliorare la qualità dei servizi. L’Agenzia avrà molto da fare (e da dire) sugli standard, ad esempio, potrà influenzare specie se si muoverà con competenza e velocità ma non potrà imporre nulla. Se riuscirà a diventare operativa, insomma, sarà una stanza di mediazione e di compensazione tra bisogni, interessi e poteri. Non potrà essere molto di più di un potente Centro Culturale per la standardizzazione delle tecnologie e degli strumenti di utilizzo dei dati, visto il sistema di governance tra centro ed enti locali. Vale la pena ricordare che ad avere i soldi sono le Regioni che esprimono con convinzione e passione la loro libertà decisione e di spesa. Insomma, sono, diciamo così, poco disponibili a farsi “indirizzare”. E sarà così fino a quando non si metterà mano alla riforma del titolo V della Costituzione per riportare le competenze strategiche, come quella digitale, al centro. In questo quadro istituzionale, a cui vanno aggiunte alter due pennelate in chiaroscuro (la necessità di mediazione tra i “bisogni” dei diversi Ministeri e le asperità del cammino da progetto a decreto, come si è visto anche con Caio), AGID potrà certamente scrivere il manifesto della rivoluzione digitale. Ma difficilmente potrà farla.