“L’Agenda Digitale è una grande opportunità per il Paese, l’ultimo grande treno per la competitività e la crescita, e oggi siamo in evidente ritardo, troppo lontani da un’attuazione soddisfacente” Così Alessandro Perego, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale, ha delineato il quadro italiano in materia durante il convegno “Agenda Digitale: insieme per una governance informata e partecipata”, che si è tenuto a Roma il 4 novembre e durante il quale è stata presentata la Ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.
“È necessario rilanciare il percorso di Digitalizzazione dell’Italia e per questo serve una governance informata e partecipata – ha continuato Perego – . Le conoscenze, infatti, sono scarse e spesso non condivise, mentre la partecipazione attiva dei decisori, degli esperti e degli stakeholder è complicata dalla frammentazione delle responsabilità e dalla distribuzione di autorità. Proponiamo di creare un ‘Forum sull’Agenda Digitale’: un luogo inclusivo, duraturo, indipendente, apartitico, riconosciuto dalle istituzioni e dal mondo politico in cui sia possibile diffondere conoscenza e permettere la partecipazione dei diversi soggetti. Per costituirlo però servono una precisa volontà politica e una definizione esatta di obiettivi, durata, funzionamento, componenti e modalità di raccordo con altre iniziative, per garantire l’adeguato coinvolgimento di imprese e PA”.
Nonostante l’elevata attenzione mediatica e l’apparente “volontà politica”, dunque, per l’effettiva attuazione dell’Agenda Digitale in Italia è stato fatto ancora troppo poco. Dal 2012 a oggi il Governo italiano ha adottato solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale, e su alcuni di questi si accumulano oltre 600 giorni di ritardo.
Intanto, l’Italia era e resta fanalino di coda in Europa sui maggiori indicatori relativi alla digitalizzazione, con un divario che sembra destinato a crescere. Secondo la Digital Agenda Scoreboard, lo strumento che misura lo stato di digitalizzazione dei diversi Paesi europei, il nostro Paese sconta oggi un pesante gap rispetto alla media UE, in particolare su sviluppo di eCommerce e utilizzo di Internet (-19% rispetto alla Svezia, prima in classifica), eGovernment (-17%) e disponibilità di servizi Internet (16%). Questo produce un pesante impatto sulla competitività della nostra economia: i Paesi con migliori performance nella Digital Agenda Scoreboard sono anche i primi nella classifica Doing Business della Banca Mondiale, che misura la capacità di fare impresa. Esiste, cioè, un “fattore ICT” per la competitività, su cui l’Italia sconta un divario di lunga data: come dimostra uno studio realizzato con Confindustria Digitale, dal 1994 al 2012 la crisi di produttività è dovuta in buona parte alla riduzione degli investimenti in ICT sul totale rispetto agli altri Paesi.
Nei prossimi sette anni sono disponibili 1,7 miliardi di euro l’anno per finanziare l’Agenda Digitale, sommando i contributi dei fondi a gestione diretta e indiretta. Risorse importanti che vanno però abbinate ad altre risorse nazionali e private. Manca però un piano chiaro e organico delle azioni da realizzare e delle risorse a disposizione, una definizione precisa degli obiettivi, una piena chiarezza sugli interlocutori. Si evidenzia soprattutto il problema di una “governance” confusa e frammentata, in cui è difficile rendere coerenti e attuabili decisioni prese a diversi livelli.
A partire dall’analisi della situazione attuale, l’Osservatorio Agenda Digitale ha individuato una serie di roadmap che descrivono percorsi realistici di attuazione nel lungo periodo in cinque ambiti prioritari scelti in collaborazione con il Ministero per la Semplificazione e per la PA: fatturazione elettronica, identità digitale, pagamenti elettronici, sanità digitale e giustizia digitale.
Il Fattore ICT
La mancata percezione dell’importanza del digitale ha prodotto effetti devastanti sulla crescita del nostro Paese. “Fattore ICT”, la ricerca condotta insieme a Confindustria Digitale, dimostra come da metà anni ’90 l’Italia abbia subito una crisi di produttività: dal 1994 al 2012 il PIL italiano per occupato ha perso 15 punti percentuali rispetto a Francia e Germania, 25 rispetto al Regno Unito e 30 rispetto agli Stati Uniti. Su questo risultato ha pesantemente influito una riduzione degli investimenti in ICT, passati da un valore sostanzialmente confrontabile alla quota sostenuta da Svizzera e Germania agli inizi degli anni ’90 (il 12% del totale degli investimenti lordi in impieghi fissi non residenziali), fino a uno dei peggiori posizionamenti relativi di tutta Europa (11,1% nel 2013). Inoltre l’Italia ha dimostrato una minore capacità di estrarre valore dalle tecnologie digitali, dovuta alla mancanza di investimenti complementari in organizzazione, processi, competenze e innovazione che hanno progressivamente creato un vero e proprio spread digitale con gli altri Paesi europei.
“Lo spread digitale tra la nostra e le altre economie europee ha raggiunto ormai i 25 mld di euro l’anno – ha sottolineato Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale – Si tratta di mancati investimenti in innovazione che ancorano l’economia italiana ad assetti e processi obsoleti. Non credo che oggi esista altra possibilità per tornare a crescere se non quella di riprendere a investire in ICT, puntando sulla trasformazione digitale del Paese. Azzerare lo spread in innovazione è un obiettivo che va assunto al rango di urgenza nelle strategie del Governo, delle istituzioni, delle imprese e trattato con gli stessi livelli di attenzione e preoccupazione con cui si è affrontato lo spread dei titoli di Stato. È certamente un compito complesso che, né la parte pubblica, né quella privata, possono affrontare da sole. Occorre una mobilitazione complessiva che interagisca su diversi piani: quello della PA, delle PMI, delle risorse, delle regole. Occorre creare un ambiente normativo incentivante gli investimenti, con particolare attenzione allo sviluppo delle infrastrutture di TLC, alla digitalizzazione delle PMI e alla realizzazione di partenariati pubblico-privati per il co-finanziamento dei grandi progetti di messa in efficienza e razionalizzazione della PA e creazione dei nuovi servizi online”.
Digitalizzazione significa competitività
Considerando gli indicatori dello strumento più utilizzato a livello europeo per misurare l’effettiva attuazione dell’Agenda Digitale, la Digital Agenda Scoreboard, emerge il pesante gap del nostro Paese. Rispetto al best performer, la Svezia, l’Italia risulta particolarmente indietro su eCommerce e Utilizzo di Internet, dove abbiamo uno svantaggio di 19 punti percentuali rispetto all’Italia, eGovernment (-17%), disponibilità di servizi Internet (-16%).
Incrociando il posizionamento dei Paesi europei sulla Digital Agenda Scoreboard con quello sulla classifica Doing Business, poi, si scopre che quelli nelle prime posizioni per Digitalizzazione sono ai primi posti anche nella capacità di fare impresa. E analizzando la correlazione tra le singole aree della Digital Agenda Scoreboard e il posizionamento sulla classifica Doing Business si evidenziano le aree di digitalizzazione più legate alla crescita di competitività: eGovernment, utilizzo di Internet, competenze digitali del Paese e eCommerce. Ad esclusione delle competenze digitali, sono tutte aree su cui l’Italia registra pesanti gap da colmare nei confronti della media europea
Le fonti di finanziamento
Sommando i contributi dei fondi a gestione diretta e indiretta, l’analisi dell’Osservatorio Agenda Digitale realizzata in collaborazione con il Prof. Marco Nicolai e la Dott.ssa Rossella Lehnus, permette di stimare per l’Italia una disponibilità pari a circa 1,7 miliardi di euro all’anno per il prossimo settennio di risorse europee a disposizione per finanziare l’attuazione dell’Agenda Digitale. Nonostante si tratti di una dotazione importante, queste risorse sono ancora insufficienti a completare la rivoluzione digitale prevista.
Le risorse comunitarie devono essere impiegate in abbinamento a quelle nazionali e private, entrambe molto incerte e difficili da quantificare. Di certo è necessario riuscire utilizzarle al meglio, attraverso una pluralità di strumenti finanziari a seconda della specifica area di intervento e stabilendo partnership tra pubblico e privato, che permetterebbero di mutuare competenze e risorse degli operatori coinvolti
Il ritardo nell’attuazione
A partire dal 2012, il Governo italiano ha adottato alcuni importanti atti normativi per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale. L’analisi, realizzata in collaborazione con l’Avv. Ernesto Belisario, mostra come la piena applicazione di queste e altre norme in materia di Agenda Digitale prevedesse l’attuazione di 53 tra regolamenti e regole tecniche. Ma al momento solo 18 di tali provvedimenti sono stati adottati e su alcuni di essi si sono accumulati oltre 600 giorni di ritardo. Le aree che hanno particolare bisogno di una decisa accelerazione sono sanità digitale (6 azioni in ritardo su 7 pianificate), giustizia digitale (4 azioni in ritardo su 4), Smart cities (4 azioni in ritardo su 4), anagrafe, identità e domicilio (4 azioni in ritardo su 5).
“Le ragioni del ritardo in queste e altre aree sono diverse – spiega Alessandro Perego -, dalla scarsa qualità della normazione nazionale alla frammentazione delle competenze tra diversi Ministeri e autorità in sede di attuazione, dall’eccessivo numero di provvedimenti attuativi all’assenza di un monitoraggio periodico. Dove queste cause non si verificano, come ad esempio in UE, la produzione normativa procede con regolarità”. In Europa, infatti, sono state già attuate 55 delle 127 azioni pianificate da qui al 2020 per favorire la digitalizzazione dei singoli Paesi e solamente 4 azioni appaiono in ritardo. “I ritardi nella produzione normativa nazionale non solo impediscono di raggiungere gli obiettivi prefissati dal governo, ma generano anche confusione negli operatori della PA, disincentivano agli investimenti privati nel settore e producono inefficienze per tutto il sistema” – conclude Perego. “È possibile porre rimedio all’attuale situazione di stallo in primo luogo ricorrendo a un monitoraggio permanente dell’impatto delle misure legislative e dei relativi decreti attuativi, in modo da poter predisporre tempestivamente gli opportuni interventi correttivi”.