TECNOLOGIA SOLIDALE

A scuola solo libri di carta? Meglio un cervello bilingue, analogico e digitale

In Svezia si torna ai libri di testo di carta. È vero che gli strumenti digitali riducono le capacità di apprendimento degli studenti? Ne parliamo con Pier Cesare Rivoltella, docente di Didattica e Tecnologie dell’istruzione. Che propone una prospettiva più equilibrata per affrontare la “giungla digitale”

Pubblicato il 15 Set 2023

scuola

L’apertura del nuovo anno scolastico è stata accompagnata dalla notizia che la nuova ministra svedese dell’istruzione, Carlotta Edholm, ha deciso che le scuole svedesi devono tornare a usare libri di testo cartacei e la scrittura manuale e ridurre l’uso di tablet e computer.

Professor Pier Cesare Rivoltella, lei che insegna Didattica e Tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica di Milano, dove dirige il CREMIT Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia, cosa ne pensa di questa decisione?

“A quanto risulta, si tratta di una decisione presa dopo aver visto i risultati della ricerca PIRLS (Progress in International Reading Literacy Study), che ogni cinque anni misura la capacità di lettura dei bambini di nove e dieci anni. Questa ricerca indica un calo dei risultati degli studenti svedesi. Il calo è stato attribuito da diversi esperti proprio all’eccessivo utilizzo di strumenti digitali, che non lascerebbero tempo alla riflessione e alla “lentezza” necessaria per fare propria la conoscenza… Ma naturalmente occorre equilibrio: come suggerisce Maryanne Wolf, occorre educare un cervello bilingue, analogico e digitale”.

Alla Edholm hanno obiettato che questo calo della capacità di lettura sia dovuto al Covid e all’arrivo di molti bambini immigrati che non parlano ancora bene lo svedese. La ministra ha replicato citando la ricerca del Karolinska Institutet, l’università di medicina che seleziona il vincitore del Premio Nobel, secondo cui gli strumenti digitali compromettono l’apprendimento degli studenti e per questo si dovrebbe tornare all’acquisizione di conoscenze attraverso libri di testo stampati e le competenze degli insegnanti, piuttosto che usare fonti digitali non verificate. 

“Il dibattito è aperto e le ricerche sono ancora in corso. In un certo senso siamo ancora tutti neofiti dell’era digitale, però possiamo stabilire alcuni punti fermi. Il ruolo degli insegnanti diventa sempre più importante e non deve essere abdicato agli strumenti digitali. I cosiddetti nativi digitali non devono essere abbandonati a loro stessi, a casa e a scuola. Essere nativi digitali non vuol dire essere competenti del digitale, servono riflessione e pensiero critico proprio a partire dalla capacità di discernere le informazioni reperibili online.”

Pier Cesare Rivoltella, docente di Didattica e Tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica di Milano

Peraltro, questo è il primo anno scolastico che è iniziato con l‘intelligenza artificiale generativa e conversazionale….

“Lei sa bene che a inizio 2023 le scuole di New York bandirono l’uso di ChatGPT perché temevano che i ragazzi si facessero fare i compiti dall’intelligenza artificiale, senza usare la propria di intelligenza. Salvo poi fare marcia indietro pochi mesi dopo e riconoscere che occorre abbracciare con determinazione le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Di fronte alla “giungla digitale” conviene scegliere la speranza invece della paura. Ripiegare su un atteggiamento tecnofobico o quanto meno di scetticismo tecnologico è una scelta che impedisce di cogliere le potenzialità del digitale e dell’intelligenza artificiale, trasformandole in opportunità per l’umanità, a partire dalla scuola.”

Di questo avete ragionato lei e Chiara Panciroli nel vostro libro “Pedagogia algoritmica. Per una riflessione educativa sull’Intelligenza Artificiale”…

“L’obiettivo di Chiara Panciroli e mio è quello di offrire uno sguardo d’insieme sulle questioni aperte dall’Intelligenza artificiale a scuola. Senza pretese di avere, come si suol dire, la verità in tasca ma con la forza che viene da anni di studio e di verifica sul campo, non solo nostra. Vogliamo offrire a studiosi, insegnanti ed educatori uno strumento di riflessione e, quindi, di azione.”.

Che anno scolastico sarà?

“Sarà inevitabilmente un anno di transizione. Soprattutto in Italia. Dobbiamo tutti prendere le misure con i tre ambiti che secondo noi riguardano l’intelligenza artificiale, soprattutto quella generativa e conversazionale (è il caso di Chat GPT o di Bard): educare con l’intelligenza artificiale, educare l’intelligenza artificiale, educare all’intelligenza artificiale.”

Come farlo, come si vince la sfida e come si può affrontare questa transizione?

“Agendo sui tre livelli che indichiamo nel libro. Educare con l’intelligenza artificiale indica capire come usare le applicazioni di IA nella didattica, nella valutazione, nel tutoraggio, facendo risparmiare tempo al docente per le operazioni di routine, tempo da dedicare alla personalizzazione della didattica. Nel libro ragioniamo sull’uso di robot intelligenti in classe, e di come l’applicazione nella didattica d’ogni giorno di software di intelligenza artificiale possa sostenere la didattica. gli apprendimenti. Naturalmente questo percorso presuppone una adeguata formazione degli insegnanti.”

A questo riguardo, il Piano Scuola 4.0 prevede anche un programma di formazione per il personale scolastico. Ne vedremo gli esiti. Sempre a proposito di educare con l’intelligenza artificiale, essa può essere utile per sviluppare tecnologie assistive…

“Certamente. I sistemi di IA sono utili anche come tecnologie assistive. Ne è un esempio il progetto EngageMe dell’Unione europea, che ha sviluppato un software basato sull’intelligenza artificiale, che consente ai robot di interagire in modo efficace con i bambini autistici durante le sessioni di terapia a guida umana. Oppure penso ad Algor, software che usa l’intelligenza artificiale per generare mappe concettuali. Pensato per gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento è valido sia per gli altri studenti che per gli insegnanti.”

Educare l’intelligenza artificiale invece ha a che fare con l’etica? 

“Ha a che fare con il training cui ogni sistema di intelligenza artificiale viene sottoposto per insegnare al software a interpretare correttamente i dati e come servirsene per svolgere il proprio compito. Ma ha anche a fare con l’algoretica, perché bisogna mettere in grado il software di agire correttamente e questo dipende dal progettista informatico nel momento in cui scrive il codice dell’algoritmo.”

Quindi, la responsabilità è nostra. Perché, alla fine, parliamo di software e di macchine che restituiscono ciò che noi gli “mettiamo dentro” …

“È così. Non abbiamo a che fare, almeno per ora, con macchine senzienti, dotate di un pensiero proprio: è ancora lontana la singolarità, vale a dire il momento in cui una potente superintelligenza potrà superare qualitativamente superi di gran lunga tutta l’intelligenza umana e quindi potrà prendere decisioni autonome, finendo con il dominarci. La partita è e rimane nelle nostre mani.”

Che cosa intende per educare all’intelligenza artificiale?

“Qui si apre tutto il tema della formazione di una cittadinanza attiva e consapevole dell’economia dei dati, di come agire e usare gli strumenti digitali. Un percorso che, naturalmente, non può che iniziare a scuola e in famiglia.”

A tal proposito, nel libro voi siete scettici sulla reale efficacia degli applicativi di parental control…

“Sono strumenti utili. Tuttavia, spesso sono proprio i grandi gruppi economici che gestiscono Internet a promuoverne l’uso. Temo che questo ci distragga dal vero tema: la raccolta e l’uso dei nostri dati personali, con il risultato di opacizzare i processi, ovvero di rendere invisibile (o irrilevante) il fatto che le piattaforme raccolgono i nostri dati e se ne servono.”

Inoltre, ritenete indispensabile un’alfabetizzazione informatica diffusa…

“Apprendere il funzionamento dei codici di programmazione (coding), in particolare, diventa importante quasi come imparare a scrivere. Il codice, infatti, non ha a che fare solo con la generazione e l’uso di applicazioni nei servizi o nel mondo produttivo ma apre alla comprensione del funzionamento del mondo digitale. Per questo noi scriviamo che imparare il codice significa saper smontare il giocattolo, conoscere come funzionano le macchine e questa lezione oggi non può non essere appresa dagli studenti.”

In conclusione, che prospettive vede per il presente e per il futuro?

“Una società complessa come la nostra ha bisogno del supporto degli algoritmi, perché sono troppe le informazioni e i dati da vagliare. Ciò significa che a scuola e in tutti gli altri contesti educativi dobbiamo promuovere una cultura dell’intelligenza artificiale, per metterci in grado di conoscerne le logiche e quindi saperla usare correttamente, in tutte le accezioni di questo termine.”

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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