Cosimo Accoto, un filosofo hi-tech, e la paura (irrazionale come quasi tutte le paure…) dei robot. Ex uomo di impresa, ora research affiliate al MIT di Boston, Accoto ha scritto due libri sul mondo digitale, dominato e “prodotto” dai dati (Il mondo dato) e sempre più automatizzato grazie ai software di intelligenza artificiale (Il mondo ex machina).
A Cosimo Accoto abbiamo chiesto di ragionare sull’inquietudine diffusa, profonda anche se spesso inconsapevole che segna l’inizio del nuovo decennio: quali effetti avrà la diffusione dei robot? Come dovremo convivere con gli androidi? Le macchine sono pronte a sostituire gli uomini? I temi sono enormi e ne è venuta fuori una lunga conversazione che ho voluto lasciare nella sua forma integrale perché qui non si parla di materia banalizzabile. Il nostro futuro dipenderà molto da noi, non dalle macchine, da come sapremo costruirlo riuscendo a compredere il presente. Ecco l’intervista con Cosimo Accoto
Comincia un nuovo decennio. Cosimo Accoto, quanto manca prima che l’automazione robotica esca dai laboratori per irrompere “industrialmente e massivamente nella società e nell’economia”, come lei scrive nel suo libro più recente?
Le fasi finali di transito verso l’adozione tecnologica diffusa delle innovazioni sono di norma quelle più complesse e difficoltose, ci insegnano gli storici dell’economia. Possiamo pensare di aver fatto la gran parte del lavoro e il grosso, ma è sempre l’ultimo miglio – per così dire – quello più arduo da conquistare. Per gli impatti regolatori nazionali e internazionali, per le richieste di garanzia economico-sociale e di sicurezza tecnologica, per la necessità di domesticazione umana e sociale al nuovo. Intanto il trend sta continuando e si rinforza. Per fare solo tre casi: Google insieme a X, la sua Moonshot Factory, ha rilanciato a novembre il progetto di un suo “everyday robot”, mentre Alibaba sta spingendo sulla robotica logistica con – solo a novembre – 3.3 billion investiti nella società Cainaio. E insieme scienza e ricerca stanno lavorando per il superamento dei limiti attuali del deep learning comeYoshua Bengio, recente Turing Award insieme a LeCun e Hinton, ha spiegato a NeurIPS19, la conferenza mondiale su AI, machine learning e neuroscienze. Dobbiamo però, al di là di date o previsioni e degli aggiustamenti inevitabili nell’adozione, prendere consapevolezza di un elemento chiave.
Il livello di complessità che stiamo introducendo nel mondo e nella società non è gestibile se non anche attraverso l’iniezione di dosi crescenti di automazione
Nella sicurezza informatica, nelle logistiche industriali, nella scoperta scientifica, nelle architetture nuvolo-native, nella robotica sociale e di servizio, nella contrattazione smart su blockchain. Non è solo un tema di macchine come ho cercato di mostrare nel mio ultimo saggio “Il mondo ex machina”. È una questione più ampia ed è quella di un’automazione che si applica e si incarna in macchine, piattaforme e architetture producendo nuovi automatismi economici e sociali. E nelle varie, possibili e non ancora immaginabili combinazioni di questi.
Siamo pronti a reagire all’invasione delle macchine?
La domanda richiama un clima neoluddista che mi sembra spesso emergere tra titoli di giornali, convegni sulla robotica, serie televisive e opere cinematografiche di successo. Tuttavia, l’action movie da invasione robotica non credo sia l’orizzonte speculativo potenzialmente più fecondo e propositivo per guardare all’evoluzione in corso. L’automazione è un fenomeno complesso e articolato quando incrocia l’ominazione e l’evoluzione delle civiltà umane. L’automazione contemporanea sta emergendo all’incrocio di tre stratificazioni ingegneristiche: è meccanica, è algoritmica, è protocologica. O – con altra e parallela qualificazione – è macchinale, è computazionale, è istituzionale. L’ho anche connotata, con un’espressione sintetica e semplice, come l’automazione delle 3 M ovvero: mani, menti e mercati. Insieme queste tre dimensioni sono a fondamento e a movimento dell’emergente economia della macchina. Attraverso l’attivazione dell’operatività fisica degli automi, della capacità cognitiva degli algoritmi, della dinamicità relazionale dei protocolli, l’economia della macchina si sta avviando a creare nuove automabilità.
A gennaio 2020, il libro in uscita per Harvard Business Press “Competing in the Age of AI” di Iansiti e Lakhani documenterà con casi e storie (la cinese Ant Financial ad esempio) questa prospettiva di creazione e cattura del valore ampiamente automatizzata. E non a caso si comincia a parlare, per l’appunto, di “machine economy”. Per fare un altro esempio recente, al MIT Media Lab a inizio dicembre si è svolta la seconda conferenza pionieristica sugli incroci possibili tra robotica e blockchain. Per immaginare, ad esempio, smart contract che gestiscono droni in forma di “robot-as-a-service”. Anche in modalità swarm robotics e cioè con gruppi numerosi di robot che devono coordinarsi e decidere in autonomia su compiti e task collaborativi. Siamo solo agli inizi, ma le potenzialità (tanto quanto le vulnerabilità) sono significative.
Lei scrive che il mondo è sempre più “automabile” e il futuro sarà “automato” o non sarà. Quali rischi stiamo correndo? Come evitarli?
È anche in questa prospettiva che, credo, vada esplorata e analizzata la nuova condizione umana in emergenza (nel duplice senso di novità e vulnerabilità) per comprendere se e come e perché è una condizione che si dice essere “aumentata” dalla neo-automazione. O piuttosto messa in pericolo o diminuita secondo altri. Di fatto, sono scenari gravidi di opportunità per la costruzione di un nuovo mondo automato e aumentato potenzialmente più prospero, ma anche forieri di reali criticità e rischi nell’amplificare o creare nuove diseguaglianze e sofferenze.
Come è accaduto per altre, passate rivoluzioni tecnologiche dell’automazione siamo preoccupati principalmente per il rischio di disoccupazione tecnologica e, nel caso di questa ultima rivoluzione, anche per i rischi di perdita di controllo sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Più immediatamente anche per i rischi di discriminazione algoritmica sia di natura rappresentativa (come le macchine ci leggono e ci categorizzano?) sia di natura allocativa (come decidono a chi dare un prestito o un lavoro?) su risorse scarse. Ogni rapido cambiamento incute timori e genera preoccupazioni, questo è naturale. E certamente ci sono vulnerabilità concrete che però dobbiamo e possiamo affrontare con la giusta consapevolezza etica e ovviamente anche sociale e politica. Ma in realtà si sta già lavorando su questi aspetti e occorrerebbe far avanzare il dibattito attuale molto fermo e schiacciato su rischi e paure.
Un dibattito fermo solo ai problemi è oggi poco utile ed è lontano dallo stato dell’arte.
Nei laboratori e negli istituti di ricerca si stanno studiando soluzioni anche sperimentali. In generale c’è un grande fermento e una consapevolezza crescente: comitati istituzionali etici, documenti per la regolazione e linee guida, assessment etici per le tecnologie, pratiche per algoritmi aperti e certificati, miglioramento della qualità dei dati in input, verifica degli algoritmi per garantire maggiore equità, nuovi strumenti per rendere esplicabili le AI oltre le black box e così via.
Come affrontare la paura delle macchine, che tolgono il lavoro, che minacciano la nostra sicurezza, che tolgono umanità alle nostre relazioni?
Gli impatti dell’tecnologia sull’economia e la società più in generale si possono bilanciare, correggere e indirizzare se collettivamente ci attiviamo per cogliere le opportunità a beneficio di una prosperità per tutte e tutti (e non per pochi). Certamente, il mondo del lavoro è in trasformazione profonda. Alcuni lavori scompariranno mentre nuovi lavori stanno nascendo e nasceranno. Certo, il tutto con non poche difficoltà almeno sul breve periodo. Una criticità è legata alla velocità accelerata con cui questo sta accadendo, l’altra alla complessità di immaginare ed educare alle nuove professioni da parte di istituzioni scolastiche e formative.
Le stime per l’Italia dicono che sono automabili circa 3 milioni di posti di lavoro nei prossimi 15 anni (secondo l’analisi del think tank Ambrosetti), ma con la creazione di quelli nuovi – secondo il Politecnico di Milano- dovremmo avere comunque un saldo positivo di poco più di un 1 milione di posti. Stante che non andrebbe solo temuta una “società senza lavoro” (stanno uscendo un po’ di libri a tema “world without work”), ma che andrebbe valutato se non sia un’ipotesi su cui esercitare in positivo la nostra immaginazione. Come immaginano gli accelerazionisti, il contraltare dei luddisti.
In ogni caso, il suggerimento e l’idea diffusa è quella di rafforzare le competenze e abilità più tipiche dell’umano: il pensiero creativo e critico, la gestione della complessità, il lavoro in team, le capacità empatiche e comunicative.
Oltre naturalmente formarsi alle competenze nuove connesse proprio alle tecnologie (le nuove professioni legate a dati, algoritmi, reti, applicazioni, design, sicurezza e così via). Come dice Topol nel suo “Deep Medicine”, il lavoro del medico è oggi disumanizzante (e non perché ci sono le macchine o perché verranno le macchine), ma in quanto è schiacciato da routine, inefficienze e burocrazia. Le macchine potrebbero liberare il tempo medico da dedicare empaticamente ai pazienti. Ma sta a noi indirizzare verso questo orientamento lo sviluppo dell’automazione.
Gli androidi per il momento non consumano (tranne che energia) e non pagano le tasse: in prospettiva c’è il rischio che il modello di Stato come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. Cosimo Accoto, secondo lei, dovremo trovare il modo di far pagare le tasse ai robot?
Dobbiamo prima partire da una considerazione più generale di filosofia politica e in particolare sui rapporti tra tecnologia e politica. Non possiamo ragionevolmente immaginare che tutto quello che abbiamo raccontato fin qui in termini di evoluzioni tecnologiche, di trasformazioni economiche, di cambiamenti disciplinari, di metamorfosi professionali non abbia e non avrà una qualche ripercussione su quello che siamo soliti definire politica. Sarebbe ingenuo pensarlo, imprudente e, da ultimo, inverosimile.
Di più. Solitamente non si considera la politica come una tecnologia in sé, ma se ci pensiamo la politica è anche informazione e comunicazione. Anzi è proprio istanziata anche in virtù delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione storicamente disponibili in ogni epoca. E se queste ultime cambiano, qualche trasformazione della politica in quanto tale dovremo attendercela e, se possibile, prefigurarla per il meglio. A partire dalla forma e dal senso degli Stati e delle istituzioni. Per fare un esempio semplice, prima il costruire mappe del territorio era una prerogativa degli Stati (perché sapere è potere). Ora mappare è diventata un’attività che fanno aziende tecnologiche private molto note.
Detto ciò, le posizioni degli economisti sulla robot tax non sono unanimi: c’è chi pensa sia un’ipotesi errata, improponibile e deleteria, chi invece la ritiene una misura utile, opportuna e anzi necessaria, chi introdurrebbe una tassazione solo per una fase iniziale, chi la immagina in più fasi evolutive (tassare l’uso dei robot e poi tassare direttamente i robot). Al di là del disegno operativo, ci sono argomenti pro e contro.
Robot tax? La risposta breve è che il discorso è complesso e il dibattito è oggi aperto.
Le diverse posizioni partono da assunti e anche visioni del mondo differenti. In genere, chi vorrebbe tassare è pessimista rispetto alle prosperità attese di un’economia automatizzata e immagina di compensare le nuove diseguaglianze in arrivo con la tassazione, chi non vuole tassare è ottimista sulla crescita economica e viceversa teme che questa venga frenata da politiche fiscali sull’automazione. Poi occorrerebbe convergere su una definizione di robot come “entità tassabile” così come sui domini geografici dell’imposizione fiscale e così via. Come anticipavo è argomento complesso.
Ultima domanda per Cosimo Accoto. Dopo il dato e l’automazione, a che cosa dedicherà il suo prossimo libro?
Dopo la programmabilità del mondo (raccontata ne Il mondo dato) e la sua automabilità (oggetto de Il mondo ex machina), c’è un terzo orizzonte che attende di essere indagato filosoficamente per chiudere la trilogia “philtech”. È in scrittura, ma per ora è notizia riservata. Magari lo sveleremo in una prossima intervista.