Spazio sì, ufficio in condivisione sì, ma anche e soprattuto nuovo approccio al lavoro, che comprenda il fare rete e il creare nuove e impreviste sinergie: il coworking è una formula di condivisione del lavoro che ha rapidamente preso piede negli ultimi anni (grossomodo dalla metà degli anni 2000 in poi) con il diffondersi delle formule di telelavoro e del lavoro come freelance.
La trasformazione del lavoro ha portato con sé anche la trasformazione dei luoghi di lavoro, rendendo in parte obsoleti gli uffici e il lavoro in sede, e consentendo a chiunque di lavorare da ogni luogo. Per questo sono nati questi uffici diffusi, che con un costo molto contenuto (si parla di prezzi che partono da 2/300 euro ma che raramente superano i 500 euro al mese) consentono di affittare una postazione e, bene molto più prezioso, di intessere relazioni con altri professionisti.
Il primo coworking registrato come tale nasce a San Francisco nel 2005, quando lo startupper (termine che all’epoca non esisteva ancora) Brad Neuberg fonda la Hat Factory, usando gli spazi di un soft abbandonato. Da allora i coworking hanno avuto una diffusione inarrestabile specie in Europa: a Londra si contano 816 coworking, seguita da New York (circa 600), Berlino, Hong Kong e Shanghai.
In seguito alla pandemia coronavirus, gli esperti stimano che lo spazio di lavoro flessibile rappresenterà il 30% di tutti gli immobili per uffici entro il 2030.