Il risalto mediatico dato alle recenti acquisizioni di startup hi-tech italiane da parte dei colossi Microsoft e Intel mostra – in maniera più o meno esplicita – alcune evidenze relative al nostro ecosistema startup.
1. È importante rilevare come l’acquisto di Solair (startup bolognese fondata nel 2011 operante in ambito Internet of Things e Cloud Computing) da parte di Microsoft e di Yogitech (impresa pisana nata nel 2000 e attiva nell’ambito security eIoT) effettuato da Intel rappresentino casi significativi, ma non unici e neppure i primi ad essere stati registrati. A titolo esemplificativo, già lo scorso anno le operazioni di trade sale che avevano coinvolto startup del “Bel Paese” e grandi gruppi internazionali erano state diverse e interessanti: nel 2015 Tripadvisor ha acquisito due startup italiane, Restopolis e MyTable operanti nel Digital e Food, da cui è nato il nuovo servizio di prenotazione online di ristoranti The Fork; il gruppo tedesco Rocket Internet ha integrato PizzaBo (piattaforma per la consegna a domicilio della pizza) per una cifra superiore ai 50 milioni di euro (come si è letto nella semestrale dell’investitore dello scorso dicembre) anche se poi l’ha rivenduta a JustEat ; Ambarella Inc., società statunitense che offre soluzioni di compressione video HD e processing di immagini, ha acquistato per 27 milioni di euro Vislab, startup parmense specializzata in sistemi di visione computerizzata e percezione ambientale con molteplici applicazioni – prima tra tutte nell’automotive.
2. Le “startup” o presunte tali che diventano oggetto di acquisizione mostrano talvolta cicli di incubazione e crescita anche piuttosto lunghi – dinamica più tipica del comparto Biotech rispetto a quanto avviene di norma nel Digital. Ciò è spiegabile considerando due livelli, uno sostanziale ed uno prevalentemente mediatico. Nella sostanza, la tuttora limitata capacità del ecosistema italiano di iniettare capitali sufficienti ad abilitare crescite rapide tende ad allungare la fase di startup delle nuove imprese hi-tech; a livello di comunicazione di queste operazioni, i media denotano una sorta di “voglia irrefrenabile” di startup – ad oggi una vera e propria “buzzword” – e tendono a far rientrare in questo ambito operazioni che potrebbero ragionevolmente afferire al mondo classico delle “Mergers & Acquisitions” (può essere questo il caso di Yogitech, attiva da oltre 15 anni e in fase ben più consolidata di quella di una startup propriamente detta).
3. Le recenti acquisizioni mostrano come l’ecosistema startup digitali in Italia non sia confinato al – seppur promettente – ambito Food, che richiama in
maniera diretta il tradizionale “made in Italy”, ma compenetri il macro-comparto Digital in senso più ampio, il quale abbraccia fenomeni dirompenti e su larga scala come appunto IoT, Cloud e Security. Peraltro, tali fenomeni e le relative soluzioni rappresentano spesso “oggetti misteriosi” anche per i grandi player internazionali, i quali, per far fronte alla dinamicità e volatilità contestuale e riconoscendo l’impossibilità di generare internamente la necessaria innovazione in uno spettro crescente di aree di business da presidiare, adottano un approccio equiparabile all’open innovation: instaurano un processo di innovazione “poroso”, aperto ad una innovatività che derivi anche da un processo di scouting delle startup più interessanti e creative a livello internazionale. Da questo punto di vista, l’ecosistema italiano rappresenta un ottimo bacino potenziale di conoscenza e soluzioni. Le nostre startup generano idee estremamente valide: ciò che purtroppo manca – come rilevato dall’Osservatorio Startup Hi-tech – sono spesso i capitali per finanziarne crescita e competitività internazionale.
4. Queste operazioni, per quanto indicative di un valore intrinseco del nostro ecosistema e fonte di grandi opportunità, devono fare riflettere sui tempi e soprattutto sul valore delle exit messe a segno dai nostri imprenditori. La relativa scarsità di capitali e finanziamenti domestici può creare condizioni strutturali e culturali a causa delle quali gli startupper italiani siano indotti a percepire qualsiasi cifra offerta da grandi acquirenti come significativa, col duplice rischio di accelerare eccessivamente le operazioni di exit o di sottovalutare la propria startup. Riprendendo il caso Vislab, i 27 milioni di € ricevuti da Ambarella rappresentano una valorizzazione di tutto rispetto, ma fa riflettere come nei mesi successivi una startup statunitense che realizza soluzioni simili, Cruise Automation, sia stata acquisita per un valore di un ordine di grandezza superiore (si parla di 1 miliardo di dollari) da General Motors. A conferma dell’importanza del timing – che influenza la valorizzazione – esistono esempi eclatanti a livello internazionale: basti pensare all’applicazione di instant messaging Snapchat, i cui founder nel 2013 hanno rifiutato di cedere a Facebook per circa 3 miliardi di $; attesa che ha ampiamente ripagato, considerando come la società ora valga oltre sei volte tanto – 19 miliardi di $. Rifiutare opportunità di acquisizione è tutt’altro che semplice per imprenditori che si trovano di fronte a uno shortage strutturale di capitali e a una competizione con startup internazionali che invece possono beneficiare dell’appoggio da parte di ecosistemi più maturi.
Tuttavia, anche in un contesto dinamico e turbolento come quello Digitale, l’attesa può ripagare, eventualmente sopperendo alle carenze domestiche attraverso la ricerca di investimenti e capitali stranieri – come ha fatto nel 2015 Decysion, startup IoT e Business Intelligence fondata nel 2011 a Latina e che ha raccolto buona parte dei suoi 40 milioni di € di finanziamenti da investitori stranieri. Gli imprenditori, soprattutto nel digitale dove spesso esperienza, network embeddedness, massa critica, brand awareness e viralità hanno un peso importante nel determinare il valore di una startup, devono puntare a crescere in fretta, non a uscire in fretta.
* Antonio Ghezzi è direttore dell’Osservatorio Startup del Politecnico di Milano