La conversazione sull’innovazione con Riccardo Illy, imprenditore, ex politico, giurato del Premio Marzotto e advisor di LuissEnlabs, comincia da una macchina. Ma non per fare il caffè, bensì il cioccolato, quello buono. È stata appena presentata, ne sono state ancora vendute solo due, in Libano e in Svizzera. Anche perché stiamo parlando di un attrezzo che costa 60mila euro e permette per la prima volta di fare in un piccolo spazio, e non in una fabbrica, la tavoletta partendo dalla fava di cacao.
Personalizzazione, apertura e un po’ di digitalizzazione oltre che la creazione di un nuovo prodotto grazie alla collaborazione con un fornitore. Sono gli ingredienti di innovazione che a Illy piace sottolineare parlando di Domori (il cioccolato, appunto) che è uno dei pregiati brand che fanno parte della galassia extracaffé del gruppo triestino di cui è presidente insieme con Dammann Frères (il the), Agrimontana (le conserve di frutta) e Mastrojanni (il vino a Montalcino). Un business piccolo rispetto a quello tradizionale (circa 15 milioni di euro in totale) ma in costante crescita.
Torniamo alla macchina. Che cos’ha di così speciale? «Finora noi producevamo le tavolette e le vendevamo. Con Techno3, dopo aver rinnovato una linea produttiva nel nostro stabilimento di None (nella città metropolitana di Torino, ndr.) riducendo i tempi concaggio, abbiamo sviluppato un’altra macchina molto più piccola, due metri per uno, e molto semplice da usare. Utilizza la granella di cacao e richiede solo un collegamento elettrico». Bisogna sapere come si produce il cioccolato che tutti mangiamo per comprendere perché è così importante ridurre i tempi di concaggio. Qui si può leggere qualcosa. Illy sintetizza così: «Il 90% della produzione mondiale di cacao è di forastero, una qualità con molte imperfezioni. Per nasconderle bisogna fare concaggi lunghi e ad alte temperature». Che non servono se si usa l’altro 10% di cacao, a partire dal Criollo che è il più pregiato e il più raro (lo 0,001% della produzione). Anzi, meno si lavora più conserva le sue caratteristiche di qualità.
Ma che cosa c’entra l’innovazione? «Abbiamo pensato di portare nel punto vendita l’esperienza della manifattura», risponde Illy. «Siamo stati ispirati anche dal fenomeno del microbrewery. Se nascono così tanti microbirrifici, perché non possiamo pensato a delle microchocolaterie dove puoi avere la tavoletta appena prodotta secondo l’estro del pasticcere? Partendo dalla granella pura, senza zucchero, puoi personalizzare il prodotto come vuoi. Mi piaceva poi l’idea di fare uscire dalla fabbrica il miracolo che c’è nella produzione del cioccolato: parti da una fava solida, che dopo essere stata macinata diventa calda e liquida ma, raffredata a temperatura ambiente, torna solida per poi sciogliersi di nuovo in bocca».
È una modalità talmente nuova che qualcuno ha obiettato al presidente: ma così non facilitiamo la nascita di concorrenti? «Venderemo a loro la granella e soprattutto il know how», risponde lui. «Inoltre con queste macchine vogliamo diffondere la cultura del cacao nobile. Non c’è nulla di meglio di un punto vendita che ti fa vedere come si passa dalla fava al cioccolato, che ti spiega perché criollo è la varietà extrafine e il trinitario un ibrido ma di qualità. Insomma crediamo che anche facendo così si possa evolvere la domanda di buon cioccolato». Il digitale non manca. «In ogni macchina è installato un chip che ci permette di conoscere tutti i parametri di funzionamento ovunque sia installata nel mondo per organizzare preventivamente la manutenzione ma anche per valutare se viene utilizzata in maniera corretta».
Dalla macchina per il cioccolato all’Industria4.0 il passo è breve. Dopo aver concluso la sua lunga esperienza politica (sindaco di Trieste e presidente della Regione Friuli), nel 2009 Riccardo Illy andò a studiare a Stanford per rimettersi al passo. Per fotografare lo stato dell’Italia digitale gli piace cominciare da Machiavelli. «Cinquecento anni fa sosteneva che di fronte al cambiamento ci sono i tiepidi sostenitori fra chi pensa di averne un vantaggio e acerrimi oppositori tutti gli altri. Oggi c’è una certa inerzia, pigrizia, nelle imprese che non stanno sfruttando il potenziale delle tecnologie digitali. Perché cambiare costa fatica. Quindi ben venga un Paese come la Germania che mostra il vantaggio competitivo che si può avere dall’adozione delle tecnologie digitali». Eppure l’industria4.0 dovrebbe essere il naturale approdo della manifattura italiana. «È l’inevitabile punto di arrivo del processo di digitalizzazione con i vantaggi che derivano dalla connessione di persone, organizzazioni e oggetti. I costi sono decrescenti e diventerà sempre più conveniente farlo».
L’Industria4.0 è solo una tappa intermedia, secondo Illy. «Il vero punto di arrivo sarà la Società4.0, quando saranno connesse non solo le imprese e i loro ecosistemi, ma anche il consumatore finale e la pubblica amministrazione. Faccio un esempio in un settore che avevo curato in Regione, la sanità. Vai dal medico, 9 su 10 ti chiede di fare analisi, vai a prenotare, poi a farle, poi a ritirare l’esito che riporti dal medico che ti prescrive un farmaco con una ricetta che devi portare in farmacia. Nella Società4.0 il medico mi prenota l’analisi, io la faccio, torno dal medico che invia ricetta alla farmacia. Da 5 passaggi a 2 e magari c’è qualcuno che mi consegna la medicina a casa. Così migliori la qualità dell’assistenza, perché il medico ha più informazioni in suo possesso, e recuperi tempo. In qualunque settore scopriremo enormi benefici quando la digitalizzazione sarà diffusa».
MARTEDI 21 MARZO, A PARTIRE DALLE 9.30
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“LA VIA ITALIANA ALL’INDUSTRIA 4.0”.
Riccardo Illy è uno dei giurati del premio Marzotto e fa da advisor per LuissEnlabs. Che cosa pensa delle startup? «Ho visto tanti progetti, con tante ingenuità legate alla difendibilità dell’idea, non brevettabile. Se non hai barriere all’ingresso, parti per primo in Italia, magari con poche risorse, e dopo sei mesi arriva l’americano e ti surclassa». E gli startupper come li vede? «Ti parlano di comunicazione con budget di decine migliaia di euro. Vado su Internet, dicono. Ma non basta esserci per ottenere buoni risultati. Devo dire però che fra tanti studenti che ho avuto in un corso di comunicazione aziendale per la laurea magistrale a Trieste ce n’è stato uno che mi ha colpito. Ha fatto uno stage in Illy, poi un master in Belgio, quindi è andato in Cina: mi ha illustrato un’idea di business straordinaria e potrebbe avere una portata mondiale». Ha in mente di fare un investimento? «Al momento no. Abbiamo deciso di concentrarci sul food e dintorni. La nostra road map prevede lo sviluppo dei business the e cioccolato per raggiungere i livelli del caffè, per poi investire nel vino».