Fino a poco più di un paio di anni fa in Italia le aziende del settore food ancora non avevano scoperto le opportunità del crowdfunding, una realtà invece già molto viva in Paesi come il Regno Unito. Lo scenario è poi rapidamente cambiato dalla seconda metà del 2018 quando si è diffuso il “verbo del crowd” in quella che rimane una delle industrie più rappresentative in assoluto del “made in Italy”.
Oggi perfino i business tradizionali ricorrono sempre più spesso a strumenti finanziari innovativi: trovare la liquidità necessaria per portare avanti la propria attività soprattutto per una startup può non essere semplice, dura realtà in tutti i settori, ma ancor più sentita nel campo agroalimentare dove la qualità media è elevatissima e la concorrenza sterminata. Ci sono però alcuni canali alternativi di finanziamento, come il crowdfunding , che possono risultare particolarmente vantaggiosi per un settore tanto esteso quanto variegato e frammentato in una miriade di piccole e piccolissime attività.
Crowdfunding per il food: i numeri in Europa e in Italia
Lo scenario appare florido a livello globale: gli investimenti in venture capital nell’agrifood sono cresciuti costantemente negli ultimi anni, passando da 3,08 miliardi di euro nel 2014 a 14,3 miliardi nel 2018. In tutto il mondo, nell’ultimo decennio, sono nate 35 aziende foodtech con un valore superiore al miliardo di euro, ma nessuna di queste è presente nel Belpaese. In Italia infatti nonostante l’agroalimentare contribuisca al 15% del PIL, continua a occupare un ruolo marginale in termini di investimenti che ammontano a solo l’1% del totale investito in Europa.
Forse il vento potrebbe cambiare prossimamente, visto che proprio a inizio anno ci sono stati due casi che hanno fatto parlare di sé: le campagne di Benvenuto Family (una catena torinese di ristoranti) e Forno Brisa (un “breadbar” bolognese) hanno raccolto oltre un milione di euro a testa sulla piattaforma di equity crowdfunding Mamacrowd.
Crowdfunding per il food: i vari tipi di crowdfunding
Quella dell’equity (i finanziatori diventano parte integrante del progetto assumendone azioni o quote) non è l’unica strada possibile, anche se i crowdfunding donation based (non si riceve nulla in cambio della propria offerta) e lending based (una sorta di prestito con interessi) non sembrano aver preso altrettanto piede. Il settore apparirebbe particolarmente predisposto per le campagne reward based: in questi casi infatti chi sostiene economicamente il progetto riceve una ricompensa, che, trattando di cibo e bevande, può facilmente essere consistere nelle prime edizioni speciali di una birra artigianale o nella fornitura per un certo periodo di pasta fresca.
Equity crowdfunding
Mentre la strada del “reward” potrebbe sembrare più praticabile per molte Pmi, le imprese più grandi e ambiziose tendono a guardare invece all’approccio più tradizionale – e normato dell’equity crowdfunding che non a caso nei primi sei mesi del 2020 ha raccolto il 40% in più rispetto allo stesso periodo del 2019.
Esemplare in questo senso il caso del Queen Makeda Grand Pub di Roma: il locale infatti è stato il primo in assoluto in Italia a ricorrere all’equity crowdfunding per finanziare nel 2018 l’apertura di una sede a Milano, seguendo l’esempio di successo del birrificio scozzese BrewDog , che chiese aiuto ai suoi fan per sbarcare negli USA). La campagna è stata ospitata da WeAreStarting, una piattaforma specializzata nell’equity che annovera diversi progetti nel settore food tra cui i tre round di Pr.ali.na. srl, una storica azienda leccese che ha finanziato le sue creme spalmabili, sughi, zuppe e conserve “totalmente naturali” raccogliendo più di 700 mila euro, e Suqqo, società piemontese dedita alla realizzazione di succhi di frutta e verdura che mantengono le loro proprietà organolettiche, che ha ricevuto 170 mila euro.
Tra tutte spicca però il caso di Alibert, un marchio fondato nel 1967 nel trevigiano, il cui nome è associato a pasta fresca e secca di alta qualità. Dopo un periodo turbolento concluso con un concordato e un piano di rilancio nel 2016, l’azienda è stata rifondata come Alibert 1967 spa e ha chiuso con successo una campagna proprio su WeAreStarting raccogliendo più di 300 mila euro a fronte di un obiettivo di 204 mila. Questa operazione ha rappresentato il primo passo verso la quotazione in borsa ed è stata seguita poco dopo dall’emissione di un minibond di massimo 3 milioni di euro (a tasso misto) quotata alla borsa di Vienna.
L’equity crowdfunding in effetti si sta dimostrando una interessante opportunità sia per le startup che per le Pmi. Da una parte è più facile attirare i piccoli investitori, che compongono il crowdfunding, grazie a dinamiche di business più facili da comprendere, dall’altro l’attuale cambiamento in corso nelle modalità di consumo sta creando spazi e interesse attorno a nuove idee.
A metà 2019 poi è nato Semina, un progetto scaturito dal matrimonio tra la piattaforma di equity crowdfunding 200Crowd ed Emerge, piattaforma B2B del food italiano. L’obiettivo dichiarato è quello di supportare la crescita delle imprese agroalimentari nostrane favorendo l’accesso al mercato dei capitali. Al momento le campagne proposte sul sito non sono molte, ma hanno sempre superato ampiamente i target prefissati: spicca il caso di Alfonsino, società di food delivery pensata per i piccoli centri, che in due round ha raccolto quasi 650 mila euro.
Reward crowdfunding
Nella categoria del reward crowdfunding invece è attiva Eppela, dove trovano tra gli altri spazio anche diversi progetti di food & brewery. In questa nicchia però bisogna citare l’esperienza di Woop Food, la prima piattaforma di crowdfunding italiano totalmente dedicata all’agroalimentare, fondata da due expat tornati in patria con l’obiettivo di supportare le piccole realtà che si differenziano dalla grande produzione in termini di qualità, tutela della biodiversità e sicurezza della tracciabilità. Nonostante le migliori premesse però, l’avventura sembra aver terminato le sue attività nel crowd prima che il settore ne scoprisse le potenzialità. La storia in questo caso non ha un lieto fine e dimostra tutte le difficoltà che il crowdfunding nel settore food incontra ancora oggi in Italia.