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Manifattura hi-tech, con il corporate venture capital può nascere la Silicon Valley italiana

L’investimento delle aziende nel capitale di rischio delle startup è una prassi consolidata in buona parte del mondo, ma in Italia stenta a decollare. Eppure la nostra tradizione manifatturiera è l’ambiente ideale per la diffusione di questo modello di finanziamento. L’orizzonte è una “Mechvalley” italiana. Ma serve un brand forte

Pubblicato il 31 Mag 2016

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Chi segue il mio blog avrà capito come la penso: l’era digitale ha cambiato il mondo del business. Mi rendo conto che possa sembrare un’ovvietà, ma c’è un aspetto di questo tema che resta poco affrontato, e sui cui intendo tornare: il cambiamento non è un dato statico. Il mercato impone un aggiornamento continuo, in termini di processo produttivo, di innovazione tecnologica e di reperimento dei finanziamenti. Ecco il punto: non stiamo ancora facendo abbastanza, soprattutto per quanto riguarda la diffusione di modalità di investimento come il CVC, ovvero la partecipazione, da parte di aziende consolidate, al capitale di rischio delle startup. Queste ultime sono ben presenti nel nostro tessuto economico ed è interesse delle imprese più robuste favorirne lo sviluppo, per beneficiare della loro carica innovativa, con rendimenti spesso elevati. Gli esempi virtuosi, sia sul piano interno che internazionale, non mancano.

Partiamo dai numeri: a livello globale si segnalano più di 1.100 Corporate Venture Capital. Nei soli Stati Uniti il volume degli investimenti dei CVC vale oggi più del 10% degli investimenti Venture Capital complessivi. Una crescita notevole: si può parlare di un vero e proprio trend. Nel nostro Paese, i fondi Venture Capital hanno raccolto, lo scorso anno, circa 300 milioni di euro. Certo, come sostiene il Ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: «In questi anni, sono stati spesi più soldi in startup di quante ne siano nate». Ma questi sono investimenti utili su cui non dubitare, che potrebbero avere un ritorno ben più veloce se nelle operazioni più importanti ci fossero dei partner di natura industriale.

In altre parole, quello che ci dobbiamo chiedere è: perché non assecondare questa tendenza? Le condizioni sono ottimali: il recupero del divario d’innovazione è una priorità del Governo e recenti interventi normativi, come il Patent Box, dimostrano che questa esigenza è chiara anche all’attore pubblico. Sul versante imprenditoriale, posso segnalare che Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza ha organizzato un incontro sul tema, il 5 Maggio. Un’occasione di confronto in sintonia con le parole del neopresidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: «Per crescere, bisogna aprire i capitali delle aziende ai Venture Capital». Affermazioni che non lasciano spazio a dubbi interpretativi e che segnalano l’esperienza maturata alla direzione del Comitato tecnico credito e finanza dell’Associazione, quando si occupò proprio delle linee di finanziamento delle imprese: mi riferisco in particolare al progetto Elite, realizzato in collaborazione con Borsa Italiana. Insomma: l’attenzione è rilevante e questo sta favorendo lo sviluppo di un ecosistema florido di nuove aziende innovative, che aspettano capitali per poter scalare velocemente i propri modelli di business.

Il vero problema è questo: in Italia le aziende hanno un forte bisogno di digitalizzarsi, ma non esistono grandi player di settore. Quindi, tutte le expertise sopra una certa soglia migrano verso la Silicon Valley, dov’è presente la massima concentrazione di talenti e capitali.

Come possiamo ovviare all’inconveniente? Proprio puntando sui Corporate Venture Capital, che permetterebbero di unire la nostra base manifatturiera ai progressi delle startup più dinamiche e tecnologicamente progredite: un sodalizio industriale che fa rima con futuro. In Italia, infatti, abbiamo una forte diffusione di competenze manifatturiere/meccatroniche e sarebbe interessante potenziare il dialogo fra queste ultime e le startup innovative. Penso a una vera e propria “Mechvalley”, in grado di attrarre verso un unico polo risorse umane e capitali. Anche dall’estero. Sono convinto che i CVC siano lo strumento per realizzare un disegno di questo genere.

Ma non basta: serve anche un brand, che faccia da bandiera e renda riconoscibile il progetto e il contesto di riferimento. Potrebbe essere proprio “Mechvalley”, termine che evoca sia le caratteristiche di questa “alleanza produttiva” che il sound del corrispettivo americano.

Troppo ambizioso puntare sul futuro? Non credo. Una volta, ho letto su un manuale di divulgazione economica: «Il miglior investimento è mettere i soldi nel cervello dei figli, nello sviluppo della loro intelligenza, della loro capacità di essere creativi, competenti, adatti al mondo nuovo che si sta aprendo». Io ci credo davvero.

@Alvise_Biffi

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