La banca come una piattaforma. Sempre più orientata alla relazione con il cliente (e alla capacità di rispondere alle sue esigenze), e che non limita il proprio campo d’azione ai soli servizi finanziari. È questo il modello d’innovazione che sta perseguendo ING: l’istituto di credito olandese, ambisce a diventare la “WeChat” delle banche. Per farlo, vuole “aprirsi all’ecosistema”. E in parte lo sta già facendo. In che modo? Stringendo relazioni con le fintech, lanciando iniziative di corporate venture capital, aprendo laboratori d’innovazione – dove nascono “idee” e si sviluppano “connessioni” – ma soprattutto mettendo in atto un vero e proprio cambio culturale.
In quest’ottica, i competitor del futuro (e del presente) non sono più gli istituti di credito “tradizionali”, ma i giganti della tecnologia, in grado di portare la “disruption” nel settore, sfruttando la potenza dei dati. «La nostra ambizione è paragonarci alle big del tech». Spiega Benoit Legrand, Chief Innovation Officer di ING. «Ogni giorno ci chiediamo cosa ci manca per essere come Google, Facebook o Amazon. Perché per noi i competitor del futuro sono loro. È per questo che vogliamo operare come una piattaforma, ragionando in ottica di ecosistema, con la possibilità di accedere a una serie di servizi che danno informazioni sul “customer journey” dell’utente. Cosa sta cambiando nel settore bancario? Adesso sono i dati a guidare la strategia di business di una banca, mentre il mercato su cui competere non è quello dei servizi finanziari ma quello della relazione con il cliente».
Il luogo dove prende vita la strategia di innovazione di ING è l’ING Customer Experience Center (ICEC), ad Amsterdam, a due passi dallo storico quartier generale della banca della zucca. Open space, sale riunioni con mega schermi, pareti di vetro, lampade colorate, pavimenti tappezzati di moquette e muri pieni di post-it. Ma anche sale da ping pong, canestri da basket e perfino un camioncino dove rifornirsi di cibo. È il luogo dove il gruppo guidato da Ralph Hamers ha sviluppato partnership con oltre 150 startup, (alcune delle quali incubate all’interno del laboratorio stesso) mettendo in atto progetti innovativi e ponendo le basi per la realizzazione banca del futuro.
IL CENTRO DI INNOVAZIONE ING AD AMSTERDAM
È qui che EconomyUp ha intervistato Benoit Legrand, Chief Innovation Officer di ING e responsabile di ING Ventures, il fondo di corporate venture capital della società che a oggi ha una dotazione di 300 milioni e investe in startup del fintech.
I NOSTRI CONCORRENTI? FACEBOOK E ALIBABA
Legrand, qui sembra di stare nella Silicon Valley. È il vostro modo per lanciare la sfida alle big del tech?
Google, Amazon, Facebook, Alibaba e molti altri sono i nostri veri competitor. E non solo delle banche in realtà. Questi attori stanno cambiando radicalmente il mondo dei servizi, tra cui anche quelli finanziari. La loro forza sta nella creazione di valore per i clienti, a partire dai dati. Non credo siano davvero interessati al settore finanziario, è troppo regolato. E a loro le regole non piacciono. A loro piacciono i dati, è lì che si gioca tutta la partita. Nel banking, ovviamente, di dati ce ne sono tanti.
Ma per una banca cosa significa creare valore?
È qualcosa di simile al concetto di valore che hanno in mente gli OTT (Over The Top, ndr). Il valore riguarda una sorta di aspetto invisibile, basato sulla relazione tra la banca e i clienti, e sulla capacità che la banca stessa ha di essere indispensabile per il cliente. Mi piace utilizzare questa metafora: la banca deve essere per il cliente come l’ossigeno per le persone, non si vede ma è necessario.
CHE COSA FA IL CHIEF INNOVATION OFFICER DI UNA BANCA
Al di là delle metafore, qual è la strategia di innovazione di ING?
L’innovazione che abbiamo in mente si articola in tre punti: clienti, cultura, connessioni. Partiamo dai clienti: tutto quello che dobbiamo fare è guardare alle loro esigenze e rendere migliore la customer experience. Vinciamo vinciamo se siamo i migliori su questo aspetto. Non si tratta di realizzare un prodotto nuovo, ma di portare valore al cliente, non necessariamente legato al denaro o con al prezzo di qualcosa. L’esempio migliore in questo senso è la partnership che abbiamo sviluppato con Kabbage, per lanciare in Italia un servizio di prestito istantaneo alle imprese. Siamo partiti da un’esigenza e poi abbiamo creato un servizio. A tutto ciò, poi, si lega il concetto di cultura. Che deve essere di apertura verso il mondo esterno: noi stiamo cominciando ad aprirci all’ecosistema e alle fintech. In prospettiva, per esempio, alcuni servizi utili i nostri clienti potrebbero non essere erogati direttamente da noi. Infine le connessioni, che non possono mancare. In primo luogo tra le varie unità interne all’azienda ma poi anche, come dicevo, verso l’esterno.
È a questo che lavora il CIO (Chief Innovation Officer) di una banca quindi?
Il ruolo del CIO non riguarda solo la capacità di digitalizzare i processi, sviluppare un sito web o un’applicazione. Come spesso si è portati a pensare. Ha a che fare con la capacità di cambiare il modo di pensare delle persone. Io riporto i risultati del mio lavoro direttamente al CEO, e non lo dico per darmi un tono, ma solo per far capire che si tratta di uno dei principali fattori di successo per cambiare una società e innovarla. Il mio ruolo è quello di “strumento” al servizio della trasformazione, di un cambio culturale della mia organizzazione. La differenza all’interno di un’azienda la fanno le persone. E ognuno di noi ha il dovere di chiedersi in che modo può contribuire a cambiare la cultura aziendale. Che poi è la stessa domanda che si è fatta ING 20 anni fa, quando ha pensato a realizzare una banca senza filiali. Oggi sembra normale, ma all’epoca era davvero una rivoluzione.
OPEN INNOVATION, COME ING SCEGLIE LE STARTUP
Anche le startup, e le dinamiche di open innovation, però contribuiscono al cambiamento della banca. Su quali progetti investite?
In genere puntiamo su due tipologie di startup: quelle incubate nel nostro laboratorio, soprattutto quando sono abbastanza mature da sbarcare sul mercato. Oppure altre realtà esterne che però hanno già delle relazioni significative con i clienti. Generalmente investiamo in round Series A o B, per un ammontare che va da 1 a 7 milioni, ma siamo molto flessibili in base al valore della società. Fino ad oggi abbiamo effettuato 20 investimenti, raggiungendo in totale – tra operazioni già concluse e committment – 135 milioni di euro.
Quali sono i vostri criteri di investimento?
A noi interessano le startup in grado di scaricare a terra la nostra strategia, che è quella di dare più potere alle persone. Con Kabbage ci siamo riusciti, per esempio. Più nel dettaglio siamo interessati alle piattaforme di servizi. Ma ci interessano anche startup apparentemente lontane dal nostro business, che operano per esempio nell’ambito dell’housing, dello shopping o del trade finance. È così iniziamo a ragionare come una piattaforma. Tuttavia non abbandoniamo i settori tradizionali come pagamenti, prestiti o la consulenza. Senza dimenticare le tecnologie emergenti: Internet of things, machine learning e blockchain.
Tornando al suo ruolo. Qual è la difficoltà più grande che ha affrontato da quando è CIO?
Far capire alle persone con cui lavoro che non tutto è prioritario. In molti pensano che ciò di cui si occupano abbia la precedenza, in termini di innovazione appunto, rispetto al resto. Ma non è sempre così. Sebbene molte cose all’interno della banca devono cambiare, non tutte possono farlo allo stesso modo.