Tutti i volti (e le startup) della sharing economy

P2P Lending, Pseudo-Sharing, Gig Economy, Professional Services, Pooling Economy: sono tutte declinazioni dell’economia della condivisione proposte dell’Osservatorio Startup Intelligence del Politecnico di Milano. Ecco le caratteristiche e le startup di ogni cluster

Pubblicato il 11 Apr 2018

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Si fa presto a dire sharing economy. Questo nuovo modello economico, tra alti e bassi, tra scettici e sostenitori, sembra essersi definitivamente imposto, spinto dallo sviluppo di piattaforme tecnologiche in grado di far incontrare domanda e offerta in modo veloce ed efficace, dalla crescente attenzione alla sostenibilità ambientale, dall’opportunità di vantaggi economici, dalla predilezione per sistemi che garantiscano l’accesso alle risorse senza i vincoli del possesso. In tutto il mondo e anche in Italia l’economia della condivisione, che coinvolge incumbent, pubbliche amministrazioni, ma soprattutto startup, continua a evolversi, declinandosi ormai in differenti forme.

Un nuovo lavoro dell’Osservatorio Startup Intelligence del Politecnico di Milano, ha permesso di strutturare questi differenti forme di sharing economy e individuare le società/startup che sono attive nel settore. Il risultato è di 195 startup censite a livello internazionale negli ambiti P2P Lending, Pseudo-Sharing, Gig Economy, Professional Services, Pooling Economy, per una raccolta d’investimenti complessiva di 4 miliardi di dollarii; 26 le startup censite anche in Italia, per un complessivo ammontare investito di 23 milioni, tra cui Supermercato24, ProntoPro e Moovenda spiccano come le più finanziate.

Supermercato24, piattaforma per fare la spesa online con consegna a domicilio anche in un’ora realizzata da ‘shopper’ (chiunque lo può diventare) ha raccolto fino a oggi circa 5 milioni di dollari; 3,7 milioni di dollari sono stati raccolti da ProntoPro, marketplace di professionisti per servizi o prestazioni occasionali; e 2,2 milioni di dollari da Moovenda, la piattaforma per la consegna di cibo a domicilio.

L’indagine ha preso in esame solo startup fondate negli ultimi cinque anni, che abbiano ottenuto investimenti negli ultimi due e in cui la compenente di ‘sharing’ sia centrale nel modello di business.

Qui di seguito una definizione dei cluster e l’indicazione di alcuni degli operatori del settore. Il tratto dominante, e che possiamo considerare la base abilitante di ogni forma di sharing, è la piattaforma tecnologica.

P2P Lending

E’ caratterizzato da iniziative dove l’oggetto della condivisione è un bene tangibile e lo scambio avviene tra pari (modelli C2C e B2B). La piattaforma agisce come un match-maker, mettendo in comunicazioni domanda e offerta. Chi offre riesce ad ammortizzare il costo del bene fornendolo ad altri quando non è utilizzato, in cambio di un compenso in denaro; chi riceve può beneficiare del bene senza incorrere nell’onerosità economica del possesso.

Startup: Paladin, Liquidspace.

Pseudo-sharing

Raggruppa iniziative B2C in cui un’azienda, proprietaria della piattaforma, la utilizza per veicolare l’accesso ad una flotta di beni tangibili. Le iniziative all’interno di questo cluster si differenziano dal noleggio tradizionale grazie alle piattaforme che le caratterizzano, che permettono operazioni real-time ad elevato livello di automazione.

Startup: Mobike, Enjoy

Pooling Economy

Riguarda principalmente iniziative C2C dove ciò che è condiviso è una combinazione di prodotto e servizio. Beni insaturi vengono messi a disposizione di altri utenti, fornendo un servizio tramite l’utilizzo di tali risorse. Anche in questo caso, la piattaforma agisce come match-maker.

Startup: BlaBlaCar, Couchsurfing, Airbnb

Gig Economy

Si tratta principalmente da iniziative C2C. La piattaforma agisce come un match-maker e i ruoli sono generalmente intercambiabili. Ciò che è oggetto della condivisione sono servizi eseguiti da “pari” sotto forma di prestazione occasionali di breve durata.

Startup: Supermercato24, Taskrabbit

Professional Services

Riunisce iniziative molto simili a quelle del cluster Gig Economy. Anche qui si scambiano servizi e la piattaforma agisce da match-maker. La differenza principale risiede nelle caratteristiche degli attori convolti, i quali per loro natura non possono agire indifferenziatamente da entrambi i lati della relazione.

Startup: ProntoPro, Mathesia

La sharing economy nel settore assicurativo

Da parte del mondo assicurativo c’è oggi molto interesse per la sharing economy, sebbene non vi siano ancora startup insurtech che possano rientrare nei paletti dei cluster proposti dall’Osservatorio Startup Intelligence, che segnala nel suo report solo una startup US che si occupa di insurance, Eusoh.

Molte startup insurtech fanno in effetti leva sui concetti della sharing economy, magari per caratterizzare un aspetto secondario del proprio modello assicurativo o per creare dei ‘gruppi di acquisto’ in cui in effetti esiste uno sharing, ma solo del rischio, gli esempi sono Lemonade, Friendsurance, Guevara, Inspeer, TongJuBao, o le italiane Axieme e Darwinsurance, ne abbiamo parlato qui.

Il punto vero, però, è che la sharing economy pone nuove sfide perché crea nuovi bisogni assicurativi a cui rispondere.

Come ha scritto Ian Campos – Executive Vice President all’interno della Global Business Unit di Global Financial Services di Capgemini e a capo del team di Global Insurance Services – di cui si può leggere il testo originale in inglese a questo indirizzo, la sharing economy apre nuove opportunità, ma anche un insieme di rischi che le polizze assicurative ancora non coprono. Per esempio, le polizze tradizionali, per case, auto, beni personali, non offrono coperture per le occasioni di ‘sharing’.

Non sorprende che siano proprio le startup a essersi fatte ‘carico’ fino a questo momento di offrire polizze pensate per l’economia della condivisione. Un esempio di rilievo è Slice, New York, che offre ai proprietari di case in 20 Stati una soluzione assicurativa on-demand per le loro proprietà in affitto su piattaforme peer-to-peer (P2P). Recentemente, Slice ha iniziato a testare il suo prodotto pay-per-use destinato ai conducenti privati in servizi come Uber e Lyft. SafeShare, con sede nel Regno Unito, ha sviluppato un prodotto assicurativo basato sulla blockchain pensato per le piattaforme di condivisione. Ha collaborato con Vrumi, una startup per lo scambio di uffici P2P. Insieme forniscono copertura ai proprietari che si trovano ad affrontare perdite legate a danni e furti da parte degli affittuari; Zego, una startup londinese che assicura in modalità ‘pay-as-you-go’ i lavoratori dei servizi di delivery.

Ma non mancano certo i casi di collaborazione tra piattaforme P2P (quelle grandi) con le compagnie tradizionali. Ad esempio, Airbnb ha stretto una partnership con Lloyd’s di Londra per fornire una polizza ‘Protezione assicurativa Host’ a protezione dei proprietari di Airbnb.

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