Smart contract: cosa c’è dietro l’etichetta?
Pare opportuno iniziare questa riflessione rispondendo ad una domanda basilare ma fondamentale: cosa si intende, esattamente, per smart contract, nel mondo del diritto? La legge n. 12/2019 ha introdotto una definizione legale di smart contract, ovvero “un programma per elaboratori che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”. In sostanza, possiamo pensare agli smart contract come la trascrizione di clausole (contrattuali) in algoritmi o codici che verificano in automatico l’avverarsi di determinate condizioni (controllo di dati di base del contratto) ed eseguono in automatico specifiche azioni nel momento in cui le condizioni determinate tra le parti sono raggiunte e verificate.
Forme di contratto intelligenti erano già presenti fin dalla metà degli anni ’70 quando ad esempio la licenza di determinati software venne di fatto gestita da una chiave digitale che permetteva il funzionamento del software se il cliente aveva pagato la licenza e ne faceva cessare il funzionamento alla data di scadenza del contratto. Ciò che oggi rende questo metodo di formazione del consenso particolarmente interessante è il fatto che, attraverso la tecnologia blockchain, vengono date al contratto garanzie di affidabilità, trasparenza, immutabilità e quindi certezza. Come è stato correttamente osservato, lo smart contract ha bisogno di un supporto legale per la sua stesura, ma non ne ha bisogno per la sua verifica e per la sua attivazione, ed è di fatto un programma che elabora in modo deterministico (con identici risultati a fronte di identiche condizioni) le informazioni che vengono raccolte. Perciò se da una parte questo rappresenta una certezza e una sicurezza in quanto garantisce alle parti un’assoluta “certezza di giudizio oggettivo” escludendo qualsiasi forma di interpretazione, dall’altra sposta sul codice e sulla programmazione, la responsabilità e il potere di decidere (e dunque in sostanza talune questioni connesse alla volontà delle parti).
Ai contraenti spetta il compito di definire condizioni e clausole e modalità e regole di controllo e azione, ma una volta che il loro contratto è diventato codice e dunque smart contract e i contraenti lo accettano, gli effetti e la sua esecuzione non dipendono più dalla loro volontà.
Applicazioni pratiche: da insurance contract a smart insurance contract?
L’industria assicurativa già da tempo guarda con interesse agli smart contract: ci si domanda quindi se sia possibile “costruire” un contratto assicurativo (un “prodotto”) che, una volta concluso, possa eseguirsi da solo, senza ulteriori azioni, interventi o senza ulteriori infrastrutture.
Iniziative in tal senso cominciano in effetti a moltiplicarsi. Un esempio ci viene dato da Etherisk, una polizza che opera sulla piattaforma blockchain Ethereum e copre il rischio di ritardo del volo, sulla base dei meri dati forniti dagli aeroporti di partenza e destinazione. La polizza smart, quindi, verificate che le “istruzioni” si sono avverate (volo XY per Parigi doveva atterrare alle 18 e invece è atterrato alle 21) provvederà, in automatico, a liquidare l’indennizzo. Ancora è stata sperimentata una polizza a copertura del soggiorno rovinato in caso di maltempo (rimborso automatico in caso di maltempo, sulla base della fonte terza di previsioni meteo).
Il tema, come è ovvio, suscita molto interesse ma pone innanzi anche a diversi interrogativi, in ragione di alcune peculiarità che insorgono dal confronto con la disciplina civilistica che regola il contratto di assicurazione. Senza pretesa di esaustività, abbiamo quindi rivolto la nostra attenzione su alcuni temi fondamentali.
Il principio indennitario e la verifica del danno
Come noto, i contratti assicurativi ramo danni si basano sul principio indennitario, per cui tanto l’assicurato è stato danneggiato dall’evento di rischio coperto, tanto l’assicuratore, nei limiti di quanto si è obbligato, liquida l’indennizzo.
Il contratto, quindi, per essere eseguito ha bisogno di due elementi base: (i) l’avveramento del rischio dedotto e (ii) la prova (e quantificazione) del danno, di cui è onerato l’assicurato (non potendo l’indennizzo eccedere tale ammontare).
E’ possibile tradurre tali operazioni in codici/algoritmi, con un guadagno in termini di celerità, trasparenza e certezza dell’indennizzo?
Si può in altri termini liquidare un indennizzo sulla base di una quantificazione forfettariamente individuata dalle parti, sulla base di un’indagine indiretta legata più alla causa (es. l’evento dannoso) che non all’effetto (es. il danno conseguente)?
I margini, a nostro parere, ci sono: in particolare nei casi in cui il rischio dedotto possa essere oggettivamente riscontrabile (es. il ritardo di un aereo o le precipitazioni in una certa area) ed il danno sia immanente nella causa stessa (ad es. in caso di ritardo), o comunque suscettibile di presunzione (nel caso della vacanza rovinata). Il problema sarà, semmai, legato all’affidabilità delle fonti cui ci affida convenzionalmente per accertare il fatto causale (i cosidetti “oracoli”, nel linguaggio blockchain) ed alla tenuta delle clausole che rendono tale clausola vincolante, rispetto alla disciplina consumeristica.
Se l’oracolo può essere in generale una valida soluzione, non è tuttavia sempre detto che esso sia garanzia di rispetto del principio indennitario per tutte le tipologie di coperture assicurative, in particolare quando il danno si riferisca più precisamente alla sfera oggettiva dei danni a beni: si pensi, ad esempio, ad una polizza furto/incendio, in cui è necessario da parte dell’assicurato documentare i beni andati persi ed il loro valore specifico (in ragione del concreto livello d’usura). Facile allora prevedere che rispetto a tali coperture un eventuale smart contract sarà più facilmente applicabile per le coperture di beni con valore di mercato oggetto di quotazione/listino, in deposito presso terzi (es. banche o trader autorizzati) con garanzia di affidabilità. Salvo naturalmente richiedere all’assicurato conferma riguardo all’insussistenza di altre garanzie sullo stesso bene assicurato (o, chissà, un domani trovare conferma direttamente presso gli assicuratori, come in parte avviene già oggi per l’RCA).
Le dichiarazioni dell’assicurato
Altra sfida per l’industria assicurativa degli smart contract è rappresentata dalle dichiarazioni dell’assicurato in fase assuntiva (ovvero nella fase in cui viene calcolato il premio sulla base delle condizioni rappresentate dall’interessato alla copertura).
Come noto, le dichiarazioni inesatte e reticenti dell’assicurato, se sottaciute con dolo o colpa grave, legittimano l’assicuratore a negare l’indennizzo, in particolare tutte le volte in cui le informazioni (omesse) abbiano influito sulla determinazione del rischio. In ambito di polizze sanitarie, ad esempio, il questionario anamnestico è lo strumento principe attraverso cui vengono raccolte le informazioni affinché l’assicuratore possa prestare il proprio consenso e determinare il premio, fino al punto che la giurisprudenza ha ritenuto di poter presumere che ciò che non vi è menzionato non è in realtà rilevante per l’assicuratore (onerato, in quanto professionista, di guidare l’altra parte nell’individuazione delle informazioni da comunicare).
Di qui due timori fondamentali: che i processi assuntivi degli smart contract possano assumere la stessa valenza probatoria dei questionari anamnestici (ponendo gli assicuratori in una posizione di estrema debolezza negoziale); e che una tale rigidità finisca con il limitare l’adozione stessa degli smart contract, tutte le volte che gli assicuratori non si sentano a proprio agio nel chiudere in un insieme chiuso e predeterminato le informazioni precontrattuali di cui necessitano ai fini dell’accettazione della “scommessa” assicurativa.
In conclusione
Come si può notare, le sfide per l’industria assicurativa (e per gli operatori del diritto) sono ancora molteplici. Tuttavia si ritiene positivo ed anzi molto apprezzabile che il mercato stia studiando a fondo il fenomeno e sperimentando soluzioni da proporre, perché laddove ciò porti a celerità e trasparenza negli indennizzi, i primi a beneficiarne sono gli assicurati (innanzitutto in termini di premi richiesti).
Affinché le polizze smart possano realizzarsi con le dovute garanzie della disciplina legale, è necessario però continuare nella ricerca: è evidente che molti sono ancora gli aspetti giuridici da esplorare e le prassi del (secolare) mercato assicurativo da valutare con attenzione; ciò rappresenta sicuramente un grande stimolo per gli studiosi del diritto, per gli informatici e per coloro che studiano i fenomeni sociali.
Un piccolo aneddoto.
Nel 2011 veniva dato alle stampe un romanzo, intitolato “L’indice della paura”, scritto da Robert Harris. Seppur l’autore non sia qui ai suoi massimi livelli, il libro è interessante perché narra, in modo fantasioso e anche inverosimile, le vicende di un professore matematico, proprietario e deus ex machina di una società che gestisce hedge funds. Il protagonista in particolare ha creato un programma assolutamente innovativo e top secret che si basa, per decidere dove spostare gli investimenti, sul vix, (il c.d. indice della paura), che misura le aspettative di volatilità dei mercati. Il problema del geniale professore sorge nel momento in cui il programma, totalmente autonomo e self executing, inizia ad elaborare informazioni sbagliate e su tali premesse scorrette adatta le politiche di investimento…
Verificare che le premesse e gli assunti inziali su cui si basa l’automatismo del programma siano corretti e veritieri avrà sempre la necessità di un controllo “umano”. Così come la valutazione “umana” potrà prendere una decisione basata sull’equità, che trascende da parametri binari basati su “if-then”.