Guardando ai i risultati di un sondaggio condotto da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, l’attuale impatto della sharing economy nel vecchio continente è ancora contenuto: il 17% delle persone nell’UE ha prenotato nel 2017 via web o app un alloggio da un altro privato (Airbnb e similari, per intenderci) e solo l’8% dei cittadini UE ha utilizzato tali servizi Peer-to-Peer per la propria mobilità. L’Italia è nella media del 17% per la prenotazione di alloggi, ma crolla al 4% per i servizi di trasporto.
Insomma, da un punto di vista dei numeri in Europa la sharing economy è ancora un business di nicchia e a macchia di leopardo. Cosa sta succedendo nel mercato italiano è stato fotografato recentemente dal quarto rapporto annuale “La Mappatura delle piattaforme collaborative” a cura di Marta Mainieri (Collaboriamo), che evidenzia come il settore viva un momento di trasformazione e di naturale assestamento del mercato, che si mantiene molto dinamico. Per esempio, trenta piattaforme hanno chiuso i battenti, ma 17 nuove sono sorte. Le piattaforme continuano a focalizzarsi prevalentemente sul p2p, cioè sui servizi da privato a privato, ma cominciano ad aprirsi spazi di collaborazione con terze parti profit e non profit.
Obiettivo: generare ulteriori possibilità di crescita attraverso un’offerta diversificata e favorire la costruzione di filiere inedite, fra cui spicca in particolare l’importanza dei servizi assicurativi per la credibilità delle piattaforme.
Le transazioni monetarie rimangono il modello di business prevalente con una particolare attenzione al mercato dei servizi assicurativi che viene ritenuto importante per dare credibilità alle piattaforme e rilanciare gli scambi. Il 77,7% dei soggetti intervistati dichiara infatti che la presenza di un’assicurazione sulle transazioni fra pari è fondamentale per aumentare la fiducia nella piattaforma.
Dalla mappatura emerge la tendenza delle piattaforme ad aprirsi verso nuovi mercati. Nonostante l’offerta p2p rimanga l’attività principale, la ricerca evidenzia la presenza di una maggiore componente orientata al business. I dati raccolti dimostrano infatti che circa 1/3 delle piattaforme ha un’offerta orientata anche al business profit e non profit. Se da un lato l’internazionalizzazione delle piattaforme fatica a crescere perché non è trainata da grandi investimenti, dall’altro aumenta la consapevolezza degli imprenditori che considerano sempre più strategico aprirsi all’estero per aumentare la propria customer-base.
Ciononostante il 67% del mercato delle piattaforme è ancora prevalentemente locale o nazionale e il 35,6% ritiene importante essere presenti anche a livello internazionale ma considera prioritario consolidarsi prima sul mercato nazionale/locale.
Fra i settori di spicco della sharing economy si confermano in crescita i servizi alle persone (pari al 20% delle piattaforme analizzate), dove emergono ambiti nuovi come quello immobiliare; seguono fra gli altri i trasporti (pari al 14,4% ma in calo significativo), i servizi di scambio/affitto/vendita (14,4%), servizi alle imprese (9,6%), turismo(12,8%), cultura (8,8%) ecc. Tema di grande attualità è inoltre quello della regolamentazione dei nuovi rapporti di lavoro scaturiti dalle opportunità della gig economy, ma spesso ancora poco tutelati. Una risposta a queste tematiche arriva dal nuovo modello del platform cooperativism, caratterizzato da piattaforme cooperative fondate sul principio della mutualizzazione dei costi sociali e sulla condivisione collettiva dei rischi del lavoro autonomo.
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