Klaus Schwab è un ingegnere ed economista tedesco, noto per essere anche il fondatore e presidente del World Economic Forum.
E’ recentemente uscita l’edizione italiana del suo libro La quarta rivoluzione industriale (pp. 216, Franco Angeli 2016), un saggio che è un’analisi sugli elementi di novità di questa rivoluzione e su tutte le aree, dalla manifattura alla biologia, che vengono trasformate radicalmente da questo “tsunami”. Ecco come l’autore ha sintetizzato la sua visione in questa intervista rilasciata a EconomyUp.
Professor Schwab, quali sono i punti chiave della quarta rivoluzione industriale?
È una rivoluzione che cambierà tutto: modelli di business, competitività e modi in cui i governi mettono a punto schemi di riferimento e politiche per assecondare questo progresso e creare vantaggio per i cittadini. Questa rivoluzione è totalmente diversa dalle altre per quattro motivi. Il primo è la velocità dei cambiamenti: la prima rivoluzione industriale ci ha impiegato circa 80 anni per produrre tutti i suoi effetti, la seconda ne ha impiegati 50, la terza 30, questa invece si sta abbattendo sulla realtà come uno tsunami. La seconda differenza è la portata: non si tratta di una rivoluzione che interessa un solo ambito, ma moltissimi. Nel mio libro ho elencato almeno 24 aree diverse in cui sta avvenendo una disruption. La terza diversità risiede nella qualità dell’innovazione: è di sistema, non riguarda solo i prodotti ma tutta la filiera produttiva. Pensiamo ad Airbnb o a Uber: non sono nuovi prodotti, ma nuovi sistemi per rispondere a specifiche esigenze delle persone. Infine, il quarto motivo per cui questa volta siamo di fronte a un cambiamento diverso rispetto agli altri: questa rivoluzione non cambia solo ciò che facciamo, ma anche ciò che siamo, è così pervasiva da riuscire a impattare sulla nostra identità.
Dobbiamo quindi smettere di credere che la quarta rivoluzione industriale sia qualcosa legato soprattutto all’innovazione in ambito manifatturiero.
Assolutamente sì. Ci sono molti imprenditori e manager che ritengono la quarta rivoluzione industriale soltanto un’occasione per migliorare il proprio business. Invece questa rivoluzione ha forti impatti sui business model stessi: introduce modelli basati sulle piattaforme, privilegia lo sviluppo esponenziale a quello lineare, cambia gli stili di leadership imponendo un ricorso maggiore e più intelligente alla collaborazione. Implica un nuovo modo di pensare e di fare: non è solo un’evoluzione di quello che c’è già.
Quali saranno le novità che tra dieci anni vivremo come normali ma che oggi ci sembrano ancora parte di un futuro remoto?
Faccio due esempi. Molto probabilmente non saremo più possessori di automobili, ma le utilizzeremo on demand. Così come
cambiano solo i nostri bisogni, allo stesso modo si trasforma l’ecosistema urbano. L’impatto sulla mobilità sarà enorme. Un’altra innovazione che nel 2025 prevedo diventi comune riguarda il modo in cui ci prendiamo cura della nostra salute. Molti di noi indosseranno dispositivi in grado di misurare immediatamente ogni deviazione dai nostri normali parametri di salute e ci faranno capire in tempo reale che azioni intraprendere per non stare male. Sarà un modo di vivere completamente nuovo.
Quali sono i rischi di questa rivoluzione?
Ne vedo due su tutti. Il primo è il più drammatico e riguarda la distruzione di posti di lavoro. C’è il pericolo che le tecnologie riducano l’occupazione a una velocità maggiore rispetto a quella con cui si crea nuovo impiego. L’altro lato oscuro di questa rivoluzione è la paura che genera nelle persone. Soprattutto contro i leader e contro le élite, che sono ritenute le prime responsabili di questi cambiamenti. Se nel mondo stanno crescendo tante forze di opposizione che demonizzano le élite, sia politiche che economiche, è perché il timore aumenta. È una reazione simile a quello che fu il luddismo nella prima rivoluzione industriale, ovvero la risposta violenta all’introduzione delle macchine. Tuttavia, questa rivoluzione c’è e non si può fermare. Si può solo indirizzare nel modo migliore possibile.
La Brexit, la vittoria di Donald Trump negli Usa e altre situazioni in cui i movimenti conservatori sembrano prevalere sono da leggere come una reazione a questi grandi cambiamenti?
Certo. Questi cambiamenti hanno un grande impatto sulle persone. Creano appunto paura, ma anche rabbia. E portano i cittadini a prendere decisioni seguendo le proprie emozioni, basandosi meno sulla razionalità: la Brexit è un esempio. In questo scenario, i leader populisti vincono perché sanno dare risposte a queste emozioni. Purtroppo, spesso questi leader non hanno veri programmi per il futuro. Questo, ahimé, è uno degli sviluppi più pericolosi della rivoluzione in atto.
Lei dice che l’altro rischio è la distruzione di posti di lavoro. Ma le sembra logico che siano gli stessi esseri umani a costruire macchine in grado di sostituirli?
Credo che la visione più corretta sia quella in base alla quale i robot e l’intelligenza artificiale non sostituiscono gli esseri umani ma li liberano e danno loro più tempo per fare altri lavori, magari più gratificanti. Ricordo l’accusa che Sharan Burrow, la donna che ricopre la carica di Segretario generale dell’International Trade Union Confederation, rivolse al co-founder di Uber durante il WEF 2016 a Davos: cara Uber, disse, stai distruggendo i lavori dei taxi driver. No, fu la risposta. Stiamo liberando le persone dalla schiavitù di lavorare dalle 8 di mattina fino alla sera e di non disporre del proprio tempo liberamente. Se a questi nuovi tipi di lavori venisse garantita la stessa tutela che vige per i lavori permanenti, io sarei del tutto favorevole.
Quali sono quindi i vantaggi di questa rivoluzione?
Dipende da quanto le persone, e i leader, sanno abbracciare o meno il cambiamento. Da quanto si riesce a sposare l’innovazione anziché combatterla. In posti come la Silicon Valley, Shenzen, Nairobi, Berlino e altri assistiamo a una competizione per diventare capofila dell’innovazione tecnologica. Le persone che lavorano in questi luoghi sono quelle che aumenteranno il Pil pro capite dei propri paesi perché li renderanno più competitivi, e allo stesso tempo aumenteranno gli standard qualitativi di vita a livello globale. Ecco dove sta il beneficio: l’innovazione migliora il mondo. Ma questa rivoluzione è così disruptive che chi non accetta il cambiamento rischia di soccombere, di essere lo sconfitto.
Quali sono state a suo parere le innovazioni che hanno avuto il maggiore sviluppo nel 2016?
C’è stata una grande maturazione soprattutto in quattro aree. La prima è la blockchain: tutti stanno capendo il grande ruolo che può giocare questa tecnologia, non solo per i bitcoin ma per tutti i tipi di transazioni, di denaro, dati e così via, perché garantisce trasparenza e sicurezza. La seconda è l’intelligenza artificiale: se ne parla da anni, ma nel 2016, dopo che i computer di Google hanno battuto il campione mondiale del gioco Go, è diventato chiaro a tutti che in questo campo si è avuto un progresso straordinario. Nell’elenco metto anche le auto senza pilota. Ricordo che nel 2014 sono salito a bordo di una Apple Car driverless e pensavo che un’innovazione del genere potesse diventare di uso comune intorno al 2025-2030. Invece, al World Economic Forum ho raccolto le testimonianze della città di Boston, che già adesso sta costruendo un quartiere tutto dedicato al traffico per le driverless car, e dell’Australia, dove è stata realizzata una strada per camion senza pilota. Infine, menzionerei anche CRISPR, la tecnologia che consente di modificare i geni facilmente e a basso prezzo. Non sappiamo però ancora che conseguenze potrà avere quest’invenzione.
Su quali tecnologie scommetterebbe nei prossimi anni?
È difficile rispondere a questa domanda: molte delle tecnologie in circolazione sono disruptive. Per esempio, un’area in cui il progresso è velocissimo è la stampa 3D e, in genere, le tecnologie additive: sono state stampate le prime case in 3D, a breve avremo anche gli organi: il fegato stampato con tecnologie additive arriverà entro dieci anni. E ancora, gli impianti sottopelle: sarà molto più frequente vedere persone che si fanno inserire nel corpo dei chip che sostituiranno alcune funzioni che adesso abbiamo nei nostri smartphone o computer. Una volta mi hanno chiesto: conoscendo tutte queste innovazioni, in quale campo creeresti un’impresa? Io ho risposto che avrei fatto impresa nel settore dei wearable device. Avrei prodotto underwear in grado di rilevare in tempo reale, grazie a specifici sensori, la pressione del sangue e i battiti del cuore. In questo modo, si potrebbero evitare attacchi cardiaci e malattie di vario tipo. Eppure mi hanno fatto notare che tecnologie del genere sono già in commercio. L’innovazione corre troppo veloce: sono arrivato tardi anche io…
– Originariamente pubblicato da EconomyUp