Il 2021 si è chiuso con risultati incoraggianti per il panorama insurtech italiano, ma ha allo stesso tempo evidenziato un forte ritardo rispetto ad altri ecosistemi europei.
Nonostante una crescita del +460%, con 280 milioni di euro investiti (contro i 50 milioni del 2020), resta particolarmente grave il gap negli investimenti in startup Insurtech, dove a livello mondiale sono stati investiti 15 miliardi di dollari, in Europa intorno ai 3,5 miliardi di dollari, mentre in Italia solo 17 milioni di euro. Per fare un confronto, parliamo di 601 milioni di euro in Francia, 749 in Germania e 882 in Inghilterra.
Non solo: sono state solamente 8 le startup insurtech che hanno chiuso round di investimento, rispetto alle 30, 18 e 16 di Inghilterra, Francia e Germania rispettivamente.
Perché in Italia le startup faticano a prendere il volo? Ecco i 10 fattori che ne frenano lo sviluppo secondo Simone Ranucci Brandimarte, Presidente di Italian Insurtech Association.
Startup insurtech in Italia: quali gli ostacoli?
1. Poca ambizione
Poca ambizione da parte degli imprenditori, che tendono a darsi obiettivi minimi, di sopravvivenza delle società, mentre dovrebbero alzare l’asticella e puntare a traguardi alti, di crescita e sviluppo importanti.
2. Paura di fallire
Paura di fallire, in quanto il fallimento viene visto in maniera negativa e tendenzialmente condannato, anziché essere percepito semplicemente come qualcosa che può accadere lungo il percorso di crescita di un’azienda.
3. L’investitore diventa un capo
Il modello di accesso degli investitori è lungo e complicato, e tende a far diventare l’investitore un capo e non un socio, rendendo di fatto meno attraente la prospettiva di far crescere una società che diverrebbe di qualcun altro.
4. Poche exit
La scarsità delle exit di startup o di PMI innovative, a causa della poca dinamicità delle aziende maggiori ad acquisire assets tecnologiche e un mercato borsistico non ricettivo nei confronti delle aziende ad EBITDA negativo, rende il ritorno sugli investimenti in startup lontano e rischioso, limitandone ulteriormente la disponibilità all’origine.
5. Approccio short term
Approccio generalmente short term che impedisce, alle grandi aziende in particolare, di guardare a 5 anni: questa visione a breve termine, concentrata su risultati immediati, va a scapito di una lungimiranza che potrebbe far decollare l’azienda.
6. Corporate Venture Capital sottosviluppato
Il Corporate Venture Capital è ancora sottosviluppato, a causa di un gap di attitude e mentalità tra startup (dinamiche, in continua evoluzione, altamente digitalizzate) e grandi aziende (tendenzialmente lente, restie al cambiamento).
7. Incapacità di valutare le startup
Il mercato borsistico non è in grado di valutare le startup (contrariamente a Francia e Inghilterra dove la borsa le fa decollare) per una sostanziale incapacità di valutare modelli di business e bid done negative, che sono invece parte del rischio di crescita.
8. Mercato interno limitato
Il nostro mercato interno è limitato e piccolo: di fatto, considerando le differenze tra nord e sud, siamo più simili alla Spagna che alla Francia. Questo impedisce di generare massa critica velocemente, bloccando di fatto lo sviluppo del mercato.
9. Lo startupper è marginalizzato
Lo status dello startupper e dell’imprenditore digitale tecnologico è ancora marginalizzato dal sistema – inclusi i media prevalenti – rispetto ai percorsi di carriera tradizionali che appaiono maggiormente solidi e incasellabili.
10. Carenza di informazione
Nonostante la comparsa di acceleratori e hub c’è carenza di informazione non solo legata alla progettazione, lancio e gestione di startup innovative, ma anche sul reperimento di capitale e sull’accesso agli investimenti.