I wearable sono stati fino a oggi interpretati dai più come gadget: device tecnologici anche sofisticati e di design, ma non si sa bene ancora cosa dobbiamo farci. Mancano ancora quelle killer application che possono portare al boom del settore (ne abbiamo parlato in questo articolo).
I wearable hanno guadagnato tantissima attenzione anche al CES di Las Vegas dei giorni scorsi, dove si sono mostrati i dispositivi indossabili più improbabili e quelli che rappresentano lo stato dell’arte del settore, di cui parleremo a breve, ma non sembra che qualcosa di veramente convincente si sia distinto.
Anche in Italia qualcosa si muove, ed è qualcosa di qualità. E’ notizia di questi giorni l’investimento ricevuto dalla società Horus Technology, una startup tutta italiana, che ha ricevuto 900 mila dollari dal fondo statunitense 5Lions Holdings, che investe in aziende innovative ad alto potenziale di crescita. Un successo arrivato quasi per caso, dicono modestamente, come si racconta in questo articolo, ma certamente tutto meritato, perchè la soluzione appartiene a quella categoria di prodotti tecnologici che possono migliorare la vita di milioni di persone e fare la differenza.
Cosa fa Horus Technology?
La società, fondata da due ingegneri specializzati in robotica e bio-med, ha sviluppato una tecnologia indossabile per persone cieche e ipovedenti, che si indossa sulla testa ed è costituito da un microfono ad archetto che, tramite un sistema di visione stereoscopico, osserva la realtà, la analizza nelle sue tre dimensioni e la descrive all’utente mediante una sintesi vocale a conduzione ossea. In buona sostanza, il wearable funge da assistente personale, con un minimo disturbo per la persona poichè l’indossabilità è pari a quella di una paio di cuffiette per ascoltare musica.
The invisible made audible, dice sul proprio sito la società, sintetizzando perfettamente quello che il dispositivo è in grado di fare, vale a dire trasformare dati immagine in dati sonori, permettendo alle persone di “ascoltare” l’ambiente circostante e di orientarsi in modo molto più autonomo, grazie alla possibilità di “vedere” i segnali stradali, leggere un testo, individuare un ostacolo o una persona. Tra l’altro per trasmettere il messaggio audio il dispositivo, come si è detto, utilizza un sistema detto a conduzione ossea, già utilizzato in ambito sportivo per far sentire ai nuotatori le informazioni sott’acqua, dove non c’è aria. La conduzione ossea permette che il dispositivo possa essere utilizzato anche da tutti coloro che soffrono di problemi riguardanti l’orecchio esterno e che le informazioni vengano udite esclusivamente dalla persona che indossa Horus senza che i rumori ambientali possano disturbare l’audio. Horus dovrebbe arrivare alla fase commerciale entro il 2016: in questi anni di sviluppo Horus ha lavorato alacremente per migliorare costantemente la tecnologia, collaborando anche con associazioni come le sezioni dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, l’Associazione Genitori di Ragazzi Non Vedenti e l’Associazione per la Retinite Pigmentosa.
La strada è ancora lunga.
“Utilizzeremo l’investimento ricevuto per fare ancora ricerca, ultimare il prodotto e lanciarlo sul mercato – ha dichiarato Saverio Murgia, cofounder della startup a EconomyUp – E per allargare il team: abbiamo bisogno di nuove figure a livello di marketing. Contiamo di raddoppiare il personale, passando dagli attuali nove membri a 18. Entro l’anno saremo sul mercato italiano, poi su quello estero. Questi gli obiettivi per il 2016”.
Horus Technology, dunque. Sui wearable l’Italia c’è e fa scuola.