L’Insurtech, che prima era considerato un’appendice del fintech, è oggi diventato di interesse centrale per tutti noi, tanto che anche diverse istituzioni se ne occupano: dall’IVASS alle associazioni di categoria alle principali università italiane.
Perché tutta questa attenzione? Semplice: l’industria assicurativa italiana è una delle più antiche del mondo e pesa per un 7% del PIL, con l’Italia che si posiziona come settimo mercato assicurativo mondiale.
Quella dell’insurtech è per il nostro Paese un’opportunità enorme. L’abbiamo visto nel 2000 con il retail, nel 2004 con il turismo, poi con l’automotive e con il luxury: tutte le volte che un settore sperimenta un’ondata di digitalizzazione, aumenta anche la penetrazione del servizio stesso. Pensiamo solo a quanti sms mandavamo rispetto a quanti messaggi WhatsApp mandiamo oggi, o a quanto è aumentata la vendita al dettaglio con l’e-commerce. Il fatto che siamo nel pieno della digitalizzazione di un’industria già strutturale come quella assicurativa pone su questo segmento un’attenzione fondamentale.
Quindi, a che punto siamo in questo percorso? I dati emersi dal confronto tra i leader di filiera della community di Italian Insurtech Association nel corso dell’Italian Insurtech Summit parlano chiaro: nel primo semestre del 2021 sono stati fatti investimenti mondiali Insurtech superiori a tutto il 2020. Parliamo di 7,5 miliardi di euro su circa 350 deal. Ma, in questa dinamica di investimenti, l’Italia è assolutamente un fanalino di coda, con meno di 100 milioni di euro – in cui sono compresi non solo gli investimenti in startup, ma anche quelli in tecnologie fatti dai principali player del mercato.
Bisogna darsi una mossa. La buona notizia è che abbiamo le carte in regola per farlo.
Insurtech: digitalizzazione significa competizione internazionale
La digitalizzazione è un fenomeno intrinsecamente internazionale: quando un’industria passa sul piano del digitale, passa automaticamente sul piano competitivo internazionale.
Si crea quindi un paradigma molto significativo: soggetti estremamente capitalizzati esteri, e un mercato – il nostro – estremamente rilevante con pochissimi investimenti. A questo si aggiunge il tema delle competenze: l’Italia era nel 2020 al terzultimo posto nel DESI, l’indice europeo per le competenze digitali e la digitalizzazione, e ultimo nello specifico per le competenze.
Il nostro è quindi un mercato molto appetibile per soggetti esteri, che hanno la possibilità di mettere a terra un progetto imprenditoriale Insurtech in un ambiente poco competitivo massimizzando le possibilità di successo.
Un bene per mitigare il problema della sottoassicurazione, endemico del nostro Paese, ma anche una questione con cui i player locali devono fare i conti. Stanno arrivando sul mercato tanti attori con capacità di spesa molto maggiori, che assumono talenti e fanno impresa in un settore strategico del tessuto socioeconomico italiano.
L’insieme di questi fenomeni non è un campanello di allarme ma un punto di attenzione del mercato italiano. Abbiamo d’altronde grandi aziende in Italia che fanno parte delle Fortune 500, pronte a competere a livello internazionale.
La trasformazione digitale è un alleato delle assicurazioni tradizionali
È importante sottolineare che il digitale non va a competere con le reti di distribuzione tradizionali, quindi con broker e agenti – e lo dico io stesso da broker – ma è al loro servizio.
Il digitale permette di proporre un’offerta capace di rispondere ai bisogni del nuovo consumatore digitale: estremamente adatta alle sue esigenze, trasparente, competitiva in materia di prezzo e istantanea. Il futuro è nella figura del Bionic Agent, un professionista capace di servire i clienti sempre meglio grazie alla tecnologia: dall’onboarding con SPID, alla modulazione offerta per consumatore digitale, per non parlare di efficientamento delle operations.
Insurtech in Italia: meglio ma ancora in ritardo
Dall’ultimo Summit dell’anno scorso, Italian Insurtech Association ha condiviso il nuovo Insurtech Investment Index, uno strumento creato assieme al Politecnico di Milano per misurare, comprendere e controllare lo sviluppo del settore in Italia. Il risultato è stata una doccia fredda: dai 60 milioni dell’anno scorso a 100 per il primo semestre 2021. Certo un miglioramento, ma siamo ancora estremamente indietro rispetto agli anni passati.
I risultati positivi: coinvolgimento istituzioni, penetrazione e divulgazione
Partiamo dai risultati positivi: bollino verde per le istituzioni, dove è emerso un grandissimo interesse verso questi temi. IVASS ha organizzato un interessante evento a tema Insurtech, e soprattutto importante il progetto di IVASS e Banca d’Italia con il Ministero delle Finanze e Consob per la creazione di una sandbox Insurtech, ovvero un progetto di testing per progetti avanguardistici in ambito assicurativo.
C’è ancora più attenzioni da parte delle istituzioni europee, lo vediamo in EIOPA con i progetti IDD per open insurance ed embedded insurance, e DORA per la resilienza tecnologica, che alzerà l’asticella sul tema cybersecurity.
Per quanto riguarda invece il KPI per la penetrazione dei prodotti totalmente digitali, non c’è oggi un aumento dal punto di vista quantitativo di premi, ma si tratta di un metro di misura a mio parere errato. La crescita di questo settore andrebbe misurata sul numero di utenti, vista anche la forte presenza di modelli free e freemium. Da questo punto di vista, vediamo un aumento esponenziale, quindi bollino verde.
Bollino verdissimo per la parte di divulgazione: abbiamo visto crescere un grande dibattito pubblico all’interno dell’industry Insurtech che coinvolge tutti gli stakeholders, sia istituzionali che di mercato in ogni parte della value chain. Non c’è evento che non tocchi il tema Insurtech, anche grazie al grande impegno di IIA. Bisogna continuare a parlarne e a studiare business model esteri.
I punti deboli: competenze e diversity
Arriviamo ai tasti dolenti, e cominciamo dalle competenze digitali con un bollino assolutamente rosso.
Questa non è colpa aziende, in quanto parliamo di risorse ancora scarse in confronto a una domanda altissima. Occorre fare molta più formazione e attrarre molti più talenti. Cosa serve per attrarli? Ambienti di lavoro innovativi – e tocchiamo qui un altro bollino rosso, quello della diversity, su cui abbiamo molto da imparare, – salari adeguati al mercato internazionale e non solo locale – torniamo qui al tema della competizione a livello globale – e iniziative di formazione per far crescere i propri team.
Per stimolare la crescita su questo punto, IIA ha lanciato diverse iniziative. Partiamo dalla Tech Education Academy, una soluzione di e-learning gratuita, al Master Isurtech in IIA, un’iniziativa più strutturata e di alto livello che offre una formazione sull’industria Insurtech da tutti i punti di vista, tenuta dai suoi leader. La particolarità del Master, unico nel suo genere in Italia, è un business game che porta alla creazione di una startup Insurtech, all’interno del quale l’anno scorso sono usciti dei bei progetti.
La ricetta di IIA per essere parte della trasformazione digitale
In sintesi, quello di cui abbiamo bisogno sono più startup, più investimenti, più competenze, più diversity e più sperimentazione all’interno della filiera.
Dobbiamo creare dei poli di sperimentazione tecnologica, in collaborazione con i grandi gruppi italiani e i poli universitari. Sarà importante anche spingere sugli spin-off con altre industry, come mobility, automotive, retail e tutto il business digitale nativo online.
Abbiamo inventato le assicurazioni ormai 300 anni fa, abbiamo tutte le carte in regola per contribuire a reinventarle.
Insurtech in Italia, le prospettive per il 2022
Nel corso del prossimo anno ci aspettiamo l’arrivo in Italia di tanti investimenti esteri, e di pari passo una crescita di pressione sul mercato del lavoro per figure con buone competenze digitali, che porterà il nostro mercato a competere con inquadramenti e salari più simili a quelli internazionali. Ci sarà anche un aumento della penetrazione dell’offerta assicurativa digitale in termine di utenti, anche attraverso modelli di embedded insurance.
Continuerà il dibattito sui temi dell’Insurtech, che ci auguriamo si arricchisca di nuovi soggetti e nuove filiere, e che entri nel vocabolario comune di tutti gli attori dell’industria assicurativa.
Il fatto che in questo 2021, e mi aspetto ancor di più nel 2022, tutto il mercato assicurativo sia concentrato nella comprensione e nello sfruttamento da un punto di vista di generazione di valore imprenditoriale del fenomeno Insurtech è già di per sé un grande successo. Ora però bisogna fare un passo in più per colmare i nostri gap: c’è tanto lavoro da fare, e il momento per farlo è oggi.
La rinascita delle assicurazioni per l’evoluzione della specie umana
Il mio auspicio è che parallelamente a questa digitalizzazione vi sia anche una rinascita e riscoperta di assicurazioni nel senso dell’evoluzione della specie umana.
Mi spiego: l’assicurazione nasce ai tempi dei velieri dei mercanti nel 1200. I mercanti si assicuravano tra loro per trasferire sul piano finanziario il rischio reale della barca che affonda e della perdita del carico. Si trattava di un’operazione fatta dai soggetti più all’avanguardia di quella che era l’evoluzione socioeconomica.
In questo momento l’umanità sta vivendo una fase entusiasmante, un vero leap evolutivo che vediamo nella space economy, nel biotech, nelle assicurazioni parametriche, nell’health tech e nella gestione della salute tramite la tecnologia.
Se l’industria assicurativa deve spendere una parte delle sue energie per digitalizzarsi il prima possibile, con l’altra deve riscoprirsi e ampliare il supporto allo sviluppo dell’economia. Questo sviluppo non può che passare da rischi e da fenomeni avversi, e il mercato assicurativo serve proprio per trasferire questi inevitabili rischi e fenomeni avversi sul piano finanziario e accelerare questo processo di trasformazione.