Tra le modalità in cui si esplica il cyberbullismo (problema contemporaneo di cui abbiamo parlato qui) e che ‘gli’ permettono di rimanere spesso impunito, c’è la diffusione di immagini compromettenti in rete con l’intenzione di mettere in imbarazzo, mortificare, provocare, fare del male alle persone bersaglio degli atti di cyberbullismo; o con la malata intenzione di dare visibilità globale a violenze e altri atti illegali perpetrati e filmati. Oltre alla difficoltà di riuscire a bloccare la viralità nella diffusione dell’immagine, esiste anche il problema che in genere tali immagini sono difficilmente riconducibili ad una persona, perchè innescata la loro circolazione online si perde l’origine dell’immagine stessa.
Questo fino a oggi, perchè dal mondo tech arriva una novità che potrebbe rappresentare un grandissimo aiuto nelle indagini nei casi di cyberbullismo e altre attività criminali. Una startup piemontese, Toothpic, nata da un progetto di ricerca del Politecnico di Torino e attualmente incubata da I3P, ha sviluppato una tecnologia software basata sul riconoscimento del rumore lasciato dal sensore delle fotocamere digitali, che permette di associare univocamente una foto a un preciso (e solo a quello) dispositivo fotografico o smartphone.
L’idea alla base del sistema brevettato da Toothpic parte dall’assunto che ogni fotocamera lascia un pattern unico su ogni fotografia nella forma di rumore digitale: è possibile dunque correlare univocamente ogni foto con il sensore del dispositivo sul quale è stata scattata.
“La nostra soluzione può essere sicuramente uno strumento per affrontare anche il problema del cyberbullismo. – dice il Ceo Giulio Coluccia. – Parlo del nostro software forense, in grado di trovare tra milioni di immagini tutte quelle scattate da un certo dispositivo. Nelle mani delle forze dell’ordine esso rappresenta uno strumento di fondamentale importanza, per tutti quei casi in cui, per esempio, un atto di bullismo è stato immortalato e diffuso a macchia d’olio ad esempio tramite gruppi whatsapp. In questi casi, le forze dell’ordine sequestrano tutti i dispositivi dei soggetti coinvolti. Avendo a disposizione lo smartphone che ha scattato la foto incriminata e la foto stessa, è possibile stabilire univocamente l’origine della foto e quindi assegnarne la responsabilità”.
I campi di applicazione di questa tecnologia sono molto ampi, dal copyright all’autenticazione personale, alla cybersecurity. Toothpic è uno strumento molto potente per le indagini forensi e delle forze dell’ordine, molto più veloce e efficace rispetto ad altri strumenti analoghi e tradizionali. La startup ha già cominciato a collaborare con il Nucleo Investigativo Scientifico e Tecnologico della Polizia di Torino, ma l’ambizione è ovviamente di arrivare a forze dell’ordine e investigative di tutti i livelli.
Nel video qui di seguito il presidente della società, prof. Enrico Magli del Politecnico di Torino, spiega come ogni dispositivo che scatta foto lasci una sua impronta digitale, che deriva dall’imperfezione del processo di fabbricazione dei sensori ottici, imperfezione che rende praticamente “unica” ogni macchina o dispositivo fotografico. Su questo difetto si basa il progetto Toothpic.