La survey “Capgemini Voice of the Customer”, ha evidenziato, per il mercato italiano, dei livelli di customer experience in lieve miglioramento rispetto al 2015.
Tuttavia, questo incremento non è stato sufficiente a effettuare un significativo balzo in avanti nella classifica dei 30 mercati analizzati Worldwide nel WIR.
Ad influire negativamente sulla experience degli italiani, così come per la gran parte degli altri paesi sono in particolar modo i clienti della cosiddetta Y Generation, cioè le persone nate tra il 1981 e il 2000. Questa fascia di popolazione riporta livelli di experience positiva di circa 20 punti percentuali più bassi della media.
Questi clienti hanno aspettative elevate e tendono a confrontare l’esperienza di acquisto e servizio assicurativo con quella di altri settori. Tendono ad interagire molto più frequentemente con le Compagnie rispetto alla media, e inoltre tendono a farlo utilizzando tutti i canali a disposizione, pur preferendo i canali digitali.
Le Compagnie fanno ancora fatica a relazionarsi con queste nuove generazioni di persone. Ogni volta che non prestano la dovuta attenzione ai clienti ‘digitalmente avanzati’ della generazione Y, le Compagnie corrono il rischio di spingerli verso una popolazione sempre crescente di nuovi competitor, non tradizionali e technology-driven.
I clienti della Gen Y utilizzano, come accennato, tutti i canali a loro disposizione. Anzi, questo è proprio uno dei punti più interessanti su cui si focalizza il Report 2016. Se è vero, infatti, che le preferenze della Y generation sono soprattutto rivolte ai canali digitali (fino a 2,5 volte più interazioni sui social media e oltre due volte di più sui dispositivi mobile rispetto al resto della popolazione), allo stesso tempo questi clienti non mancano di utilizzare anche i canali tradizionali (agenti, broker, banche o canale telefonico).
Sono quindi, e nel senso più proprio dell’espressione, dei veri clienti multicanale. Ed è proprio questo tipo di esperienza che chiedono alle Compagnie: la possibilità di “switchare” da un canale all’altro senza soluzione di continuità, in modo naturale e in funzione del ciclo di vita del rapporto e delle esigenze del momento.
Così, ad esempio, questi nuovi clienti potrebbero voler effettuare un preventivo su un canale digitale, chiedere consulenza specifica attraverso un canale fisico, per poi finalizzare l’acquisto nuovamente su un canale digitale.
La maggior parte delle Compagnie intende sfruttare in tempi rapidi le potenzialità dell’IoT, soprattutto relativamente alle “smart car”, alle “smart home” e ai “wearable”. Sono invece meno ottimiste circa la possibilità che si affermino in tempi rapidi le driverless car”, il che contrasta con le opinioni dei clienti assicurativi.
Andiamo incontro a un modello in cui i prodotti-servizi assicurativi saranno sempre più personalizzabili grazie ai dati forniti in tempo reale dai device che lo stesso cliente comunicherà al proprio assicuratore.
Rischi più trasparenti, prodotti più personalizzati, ma non solo. Gli assicuratori, grazie alla conoscenza puntuale e aggiornata di ciò che sta avvenendo sul bene o sulla persona assicurata, saranno in grado di inserire sistemi premianti / penalizzanti, in modo da “spingere” i propri clienti ad assumere comportamenti virtuosi, modificandone il comportamento.
Finalmente gli assicuratori potranno avere un ruolo attivo nella riduzione del rischio, e non solo passivo in una logica tipicamente indennitaria, instaurando un rapporto completamente diverso con i propri clienti.
Il nostro report evidenzia come gli stessi clienti assicurativi intervistati riconoscano alle Compagnie la credibilità necessaria per svolgere un ruolo più ampio nella gestione del rischio.
Ci sono novità anche per quanto riguarda il concetto stesso di “ownership” del rischio: nella “shared economy”, dove l’esempio più noto è quello del “car sharing”, è evidente come la responsabilità di eventuali danni passi dal possessore del bene all’utilizzatore.
Un altro esempio interessante ci porta in un’altra direzione: le “driverless car” trasferiscono il rischio dal proprietario del mezzo alla casa automobilistica produttrice. Ugualmente, un “elettrodomestico intelligente” che prendendo decisioni autonome causi danni chiama in causa il produttore più che il possessore o l’utilizzatore.
Assisteremo a fenomeni per cui alcune linee di business che ora sono “Retail” (personal lines) diventeranno “Corporate” (Commercial lines).
La situazione delle compagnie in Italia è molto variegata. Per quanto riguarda le tecnologie IoT legate all’auto (ad esempio la black box) alcuni player italiani, tra i quali spicca UnipolSai, hanno investito su queste tecnologie già da molti anni, raggiungendo posizioni di leadership in Europa.
Nel business non-auto, invece, il fenomeno è di minore entità. E’ pur vero che stanno aumentando rapidamente sul mercato i prodotti legati alla casa con le cosiddette white-box (dispositivi in grado di rilevare intrusioni, allagamento, presenza fumi e gas) e ai wearables (in particolare braccialetti, in grado di intercettare una caduta oltre a dati vitali quali la frequenza del battito cardiaco).
Iniziano a far capolino progetti di prodotti per aziende operanti nell’edilizia o nell’energy, dove si lega il prezzo del rischio delle attività dei lavoratori all’utilizzo effettivo dei dispositivi di sicurezza previsti (ad esempio caschi o guanti “intelligenti” che comunicano se sono indossati correttamente o no).
In termini di strategie per il futuro, sicuramente c’è molta attenzione da parte delle Compagnie nel rafforzare le competenze su “data&insights”. Ricordiamo che il prerequisito per trarre vantaggio dalle tecnologie IoT è la capacità di elaborare grandissime quantità di dati in tempi brevi.