Big Data, la domanda più difficile: dove sta il valore?

Le aziende sanno che devono raccogliere le informazioni, ma non sanno ancora che cosa farne davvero. Mancano le competenze e soprattutto un approccio deciso alla digital transformation

Pubblicato il 07 Set 2015

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Sapete qual è il piccolo sporco segreto sui BigData? “Nessuno sa realmente che cosa farne”. La risposta, sconcertante e decisamente provocatoria, è di Jason Waxman, Vice Presidente e General Manager del cloud platforms group di Intel. Un pezzo grosso del più grande costruttore mondiale di memoria digitale, quindi, che sa quel che dice, soprattutto se lo fa parlando in occasione di un incontro con gli investitori, com’è accaduto lo scorso 27 agosto.

Come succede tutte le volte che qualcuno grida “il re è nudo”, c’è sempre da domandarsi come va in giro vestito il re e chi lo sta guardando. Le grandi aziende stanno spendendo miliardi in strumenti per analizzare i big dati (13 miliardi di dollari all’anno secondo alcune recenti stime), argomento sul quale c’è d’altro canto grande e apprezzabile fermento, forse persino un po’ di rumore. Ma, per il momento, sono davvero poche le compagnie che sanno che cosa fare di tutti questi numeri, che hanno trovato un modo per avere un ritorno da investimenti che sono comunque destinati a crescere. “Le aziende sanno che devono raccogliere dati e pensano di sapere che cosa farne, ma è difficile ottenere valore dai Big Data”, ha detto ancora il top manager Intel. E non è un problema da poco.

L’essenza della digital transformation è tradurre qualsiasi cosa (dagli ovvi contenuti scritti ai nostri volti e ai nostri comportamenti) in una sequenza di dati. Che sono destinati a diventare sempre di più, sempre più complessi, sempre più difficili da gestire. Sempre più preziosi, però. Anche se non è ancora chiaro come. Di certo non basta raccoglierli, i dati.

E non basta neanche avere buone capacità IT. Serve anche la statistica e soprattutto l’analisi e l’interpretazione. Ed è difficile trovare tutti questi ingredienti in azienda. Mancano quindi le competenze, ma anche la semplicità d’uso e di integrazione dei sistemi di gestione. Anche perché, e qui traballa un altro luogo comune, il cloud non sarà la soluzione prevalente per la gestione dei Big Data, dicono da Intel: le aziende preferiranno tenersi in casa le proprie preziose informazioni.

Il valore dei BigData, quindi, è ancora tutto da scoprire, come conferma anche un recente studio sull’Europa svolto da Forrester Consulting per Xerox. Qui si possono leggere i dettagli, ma quel che si intravvede è un gatto agitato e confuso che si morde la coda: le aziende non sono preparate a gestire la nuova mole di dati e questo non permette di cogliere le opportunità di creazione di nuovo valore offerte dal digitale. Ma questo accade perché la digital transormation procede ancora a rilento. C’è ancora tanto lavoro da fare per accelerare il cambiamento. E non più soltanto appannaggio del reparto tecnologico.

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