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A che cosa serve un incubatore in un’assicurazione: Vittoria hub e il lavoro con le startup

Entro il 2022, il suo terzo anno di attività, dal corporate incubator di Vittoria Assicurazioni potrebbero arrivare i primi prodotti e servizi da lanciare sul mercato. “Siamo un rompighiaccio per l’insurtech”, dice il CEO Nicolò Soresina: “La fase più difficile? L’industrializzazione delle soluzioni delle startup”

Pubblicato il 10 Nov 2022

Nicolò Soresina, CEO di Vittoria hub

A che cosa serve un incubatore aziendale di startup per una compagnia di assicurazioni? A portare a prodotti e servizi innovativi da lanciare sul mercato. Entro 2022 Vittoria hub, il corporate incubatore insurtech di Vittoria Assicurazioni, potrebbe già presentare i primi frutti natta dalla contaminazione con le startup selezionate.

Vittoria Hub, entro il 2022 i primi frutti per la Compagnia

Aperto nel 2019 e inaugurato a distanza durante la pandemia, il Vittoria hub si trova al Portello, a Milano, in uno spazio che prima la Compagnia, che ha appena compiuto 100 anni di attività ed è controllata dalla famiglia Acutis, destinava ad altri usi. Qui adesso si lavora per e con le startup per innovare il business, con cartelli sopra i tavoli che segnalano i diversi focus definiti nei piani di innovazione: mobilità, casa, persona.

“Diciamo che questo era l’obiettivo: arrivare alla fine del terzo anno con l’innovazione portata dalle startup alla compagnia. E ci siamo vicini”, dice Nicolò Soresina, CEO di Vittoria hub dalla primavera 2021 ma dentro il progetto sin dall’inizio: ingegnere del Polimi, MBA all’Insead di Fontainebleau, prima è stato consulente ma anche founder di ben cinque startup attive su diverse ambiti.

Nicolò Soresina: Vittoria hub è un “rompighiaccio” per l’insurtech

Siamo andati a trovare Nicolò Soresina in quello che lui chiama il “rompighiaccio” e spiega perché: “Vittoria hub è stato il primo corporate incubator insurtech in Italia e vogliamo continuare a mantenere questa leadership. Vogliamo tirare il carro dell’innovazione nell’insurance in Italia perché se ne parla tanto ma non si sta facendo molto, soprattutto sul fronte degli investimenti. Ecco noi siamo questa cosa qui: un rompighiaccio per l’insurtech”.

E cosa fate per spaccare la banchisa del polo insurance?

Per esempio, nella prossima call faremo un focus sulle assicurazioni parametriche, un segmento in cui l’Italia è quasi vergine. Noi, anche in questo caso, vogliamo essere leader in un’area che è destinata a crescere. Le polizze parametriche si basano su un oracolo, un misuratore di eventualità di danno, che non richiede la verifica e la quantificazione dello stesso. Esistono startup che hanno sviluppato tecnologie in grado di estrapolare informazioni

Le startup nel portfolio di Vittoria hub

Quante sono le startup nel portafoglio di Vittoria hub?

Nelle tre call fatte finora, a partire dal novembre 2020 ne abbiamo valutate oltre 200: e adesso ne abbiamo in portfolio 15, tra quelle che sono state in incubazione nell’hub e quelle che sono subito entrate in contatto diretto con la compagnia.

Perché alcune startup entrano subito in relazione con la compagnia?

Perché abbiamo selezionato startup che erano già pronte a confrontarsi con l’azienda, che non avevano bisogno di incubazione ma di accelerazione. E in questi casi noi non vogliamo fare da tappo, rallentando le opportunità di business sia per la startup sia per la compagnia.

Puoi farci qualche esempio di startup mature che hanno subito cominciato a collaborare con Vittoria Assicurazioni?

Certo. Nel legaltech, per esempio, Truescreen, selezionata con l’ultima call: sono avanti nella certificazione legale delle immagini che è un fattore molto importante nel lavoro assicurativo, basti pensare alle attività peritali. Poi c’è Reefilla, la startup della ricarica on demand per le auto elettriche: c’è un interesse a fare qualcosa insieme ma i tempi non sono ancora definiti. Questa relazione diretta sarà sempre più frequente, perché dopo di noi c’è da lavorare sul lato industriale del prodotto.

La sfida? Portare il lavoro delle startup dentro la compagnia

Quasi tre anni di lavoro per Vittoria hub. Dove avete incontrato le maggiori difficoltà? Nella selezione, nell’incubazione o nel passaggio all’industrializzazione?

Sono fasi completamente diverse. Portare dentro le startup e plasmarle richiede molto rigore nella selezione e grande attenzione nell’incubazione. Ma c’è un metodo. Forse la fase più sfidante, ma proprio per questo più interessante, è portare il lavoro delle startup dentro la compagnia, l’industrializzazione. Non è che ci siano particolari difficoltà, è una questione di tempi, perché devi introdurre qualcosa di nuovo dentro una macchina ben rodata con le sue dinamiche e le sue complessità.

Che cosa avete imparato in questi tre anni?

Che non basta avere una bella idea per fare innovazione, neanche se è stata testata. Diciamo che selezionare le startup, l’inizio del lavoro, è il nostro lavoro. Siamo sul pezzo. La parte centrale del programma, che noi chiamiamo adozione è quella dove subentra la necessità di costruire consenso all’interno dell’organizzazione. Tu hai costruito un MVP ragionevole e insieme alla compagnia devi cominciare a ragionare come farlo rientrare nella sua agenda o nelle agende delle diverse aree di business. Si toccano tanti gangli nervosi dell’organizzazione e li bisogna intervenire: c’è tanto lavoro di accompagnamento da fare. Da una parte hai l’imprenditore che scalpita e che non necessariamente parla la stessa lingua dell’azienda, dall’altra un’organizzazione con i suoi codici, i suoi processi e i suoi equilibri. Il rischio non è non arrivare in fondo ma solo impiegarci più tempo. Questo rischio si può ridurre, così come i tempi. E, infatti, abbiamo visto che rispetto all’inizio adesso procediamo più velocemente. Rispetto al primo giro abbiamo capito con chi parlare e come.

Che cosa vedi nel 2023? Come sta cambiando il mercato dell’innovazione aperta?

La prima cosa che vedo è una crescita di consapevolezza delle startup che mediamente si candidano con idee più chiare di qualche anno fa. Tre anni fa dovevamo spiegarlo noi come fare insurtech. Adesso arrivano più pronte. Poi considero inevitabile l’ampliamento del target: l’insurtech non è un mercato infinito, specie se ci limitiamo all’Italia. Quindi o vai all’estero o esci dal comparto collegato alla nostra industry, vai sulle tecnologie e cerchi startup che stanno producendo innovazione ma non sanno di avere potenzialità per l’insurtech.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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