Già da tempo le banche e le reti bancarie tradizionali sono costrette a ripensare alla propria struttura, all’organizzazione e al proprio ruolo dall’evoluzione delle nuove tecnologie e dallo sviluppo delle fintech.
Questa rivoluzione del sistema bancario “dal 2008 in poi ha portato a ridurre di poco meno del 40% il numero sia degli sportelli sia degli addetti alla rete territoriale”, rimarca la Banca d’Italia nella sua ultima Relazione annuale. Ormai “quasi tutte le banche maggiori e un terzo di quelle più piccole hanno pianificato o avviato progetti per l’innovazione tecnologica applicata all’offerta di servizi finanziari”. E non potrebbe essere diversamente, per restare sul mercato, per restare a galla.
Non a caso, e solo per fare un esempio tra i tanti, il colosso mondiale JP Morgan ha annunciato che nei prossimi anni investirà 12 miliardi di dollari in soluzioni e servizi innovativi. Sarà la mossa giusta?
Fintech: startup e aziende mondiali
Allo stesso tempo, il mondo del Fintech è in grande fermento. Dalle soluzioni per i mercati finanziari, per esempio quelle di FinScience, Moneyfarm, Kellify, Rations, Euclidea, all’austriaca Bitpanda, al comparto lending e soluzioni per il credito, con operatori come Scalapay, Younited, Recrowd, My Credit Service, Soisy. Fino a chi si occupa di equity e crowdfunding, come MamaCrowd, Starteed, Walliance o Build Around.
Fintech: i numeri in Italia
Il Fintech (e Insurtech) italiano è in costante crescita, risulta composto da una galassia di almeno 560 realtà molto dinamiche e agguerrite – il 53% startup, il 24% Pmi innovative, il 21% scaleup, il restante 2% corporate –, capaci di raccogliere complessivamente 2 miliardi di euro di valore. A cui si aggiungono tutti i player stranieri. Insomma, la concorrenza è fortissima e l’obiettivo di togliere quote di mercato e fette di ricavi al mondo bancario tradizionale è dichiarato.
Tutto ciò è la fine delle banche? “È la fine delle banche per come le abbiamo conosciute fino a oggi”, rimarca Rodolfo Pambianco, responsabile Fintech e Insurtech in Barclays Italia, intervenendo alla tavola rotonda intitolata ‘Come il paradigma Open sta trasformando gli ecosistemi finanziari’, organizzata da The European House – Ambrosetti.
Da banca vecchio stile a newbank
Modelli di business e di funzionamento vecchi di decenni e ormai obsoleti, costi elevatissimi – che si riflettono sulla clientela – rispetto a realtà più innovative e più snelle, l’avvento delle App e dei servizi digitali: tutto il corso degli eventi e delle novità nel settore sta sempre più mandando in soffitta la banca tradizionale, che per continuare a essere efficiente e profittevole deve trasformarsi camaleonticamente in una newbank.
Ma a volte anche il re-styling e la riorganizzazione più marcati possono non bastare, la clientela è più fluttuante e meno abitudinaria che in passato, e così la banca tradizionale riscontra la necessità di difendersi in tutti i modi e con tutte le carte a disposizione dall’assalto delle fintech. E ci sono tre strategie principali per farlo. La prima: copiare le fintech. La seconda: allearsi con loro. Oppure, la terza: comprarle. Tutto dipende dalla visione e dalle scelte del management, e dalle risorse a disposizione.
1. “Copiare” le startup fintech: il caso Zelle
Un primo tipo di strategia che le banche possono mettere in campo non è né particolarmente recente né granché innovativa: possono cercare di imitare chi fa bene e magari meglio di loro.
La banca in pratica costruisce al proprio interno un modello di business, un sistema di funzionamento o un prodotto finanziario simili a quelli di una fintech di successo. In modo da poter proporre al cliente la stessa offerta, e quindi evitare di perderlo e che si rivolga altrove.
Al riguardo si può ad esempio vedere cosa è successo negli Stati Uniti: Venmo (ora acquisita da PayPal) è un’applicazione di pagamento peer-to-peer che ha avuto molto successo. Diverse banche americane si sono coalizzate e hanno sviluppato Zelle, un’applicazione del tutto analoga, per poter offrire alla propria clientela ciò che propone la concorrenza più innovativa.
2. Allearsi con chi non si può battere: l’esempio di N26
Come insegna il celebre biologo e antropologo inglese Charles Darwin, “non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”.
Allora, il secondo modello di ‘conservazione della specie’ bancaria prevede di allearsi e collaborare con chi è più forte in certe attività e offerte, e non può essere battuto. Quindi, piuttosto che soccombere, meglio mettersi d’accordo e procedere insieme.
È ciò che hanno fatto, ad esempio, due banche – anche se entrambe newbank, esse stesse ad alto tasso fintech –, la tedesca N26 e la brasiliana Nubank, che si sono accordate rispettivamente con Wise e Remessa Online, fintech specializzate nei cross-border payment. Così il cliente non si sposta altrove per avere un servizio innovativo, ma nel caso di N26, quando si tratta di fare pagamenti internazionali e oltre frontiera, utilizza il servizio fornito da Wise.
Per realizzare un’alleanza di questo tipo – fanno notare gli addetti ai lavori –, la banca deve già essere tecnologicamente evoluta come la fintech, proprio come nel caso di N26 e Nubank, deve condividere lo stesso livello Hi-tech per integrare i servizi, altrimenti le cose non funzionano, e il ‘fidanzamento’ neanche, si rivela un flop.
3. Investire nelle startup fintech: il caso Banca Generali-Conio
C’è una terza via, in genere più costosa delle due precedenti: quella di comprare la fintech che interessa, e i suoi servizi, o di investirci comprandone delle quote o partecipando a un round di finanziamento, e quindi entrando nel capitale e nel board di comando della società.
L’aspetto positivo di questa strategia per la banca sta nel fatto di accorciare i tempi: piuttosto che dover sviluppare internamente una soluzione ‘invidiata’ alla concorrenza, la compra e la fa propria. Può essere un modo per eliminare una concorrenza o anche il metodo per migliorarsi e svilupparsi rafforzandosi e crescendo con l’aggiunta e la spinta di risorse che erano esterne e vengono assorbite.
Per esempio, Banca Generali a fine 2020 ha comprato delle quote ed è così entrata in una nuova partnership societaria e commerciale con Conio, fintech nel settore delle criptovalute. Come fornitore di portafogli, Conio offre servizi di custodia, negoziazione e reporting basati su Bitcoin. In questo modo, Banca Generali ha anche incluso le soluzioni della fintech nell’offerta di servizi digitali ai propri clienti. Mentre tra le neobank anche l’italiana Hype, sempre attraverso una partnership con Conio, ha iniziato a offrire nel 2021 la possibilità di comprare, vendere e scambiare Bitcoin.
In ogni caso, è alle fintech che le banche (soprattutto) vecchio stampo devono guardare, per imparare da loro, per stringere accordi e valorizzare sinergie, o per ‘mangiarle’, come il pesce grosso fa con quello più piccolo. Almeno fino a quando le parti non si invertono.