Negli ultimi giorni è stata comunicata da parte del governo Conte la volontà di tradurre in legge un pacchetto normativo che mira da un lato all’incentivazione dei pagamenti elettronici e, dall’altro, alla penalizzazione dei pagamenti tramite contante, con obiettivo ultimo la lotta all’evasione fiscale.
L’evasione fiscale in Italia: un problema culturale
Nel nostro Paese il problema dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale è un problema culturale difficile da scardinare.
Il nero riguarda anche gli acquisti effettuati dai consumatori presso i negozi fisici. Secondo le stime dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, nel 2016 il transato dei consumatori italiani evaso da parte degli esercenti (sul quale quindi non è stata versata l’IVA e tutte le altre tasse) valeva tra i 120 e i 150 miliardi di euro, per un mancato gettito per le casse dello Stato italiano di circa 27 miliardi di euro. L’incidenza del nero è nettamente più alta sui pagamenti effettuati in contanti (30% del transato) rispetto a quelli effettuati con strumenti di pagamento elettronici (12% del transato), quindi tracciabili.
Tale evasione è quindi imputabile principalmente alla quota di transato effettuata in contanti: 24 miliardi di euro per il contante e 3 miliardi di euro per i pagamenti elettronici.
Contante: il problema è la mancanza di tracciabilità
Per il contante, la mancanza di tracciabilità dei flussi e l’anonimato nell’utilizzo rappresentano le principali caratteristiche che rendono il contante lo strumento preferito dagli evasori. Al contrario per i pagamenti elettronici, la registrazione elettronica delle transazioni e la nominalità delle carte di pagamento rendono tali strumenti meno preferibili per gli esercenti che vogliono fare nero. In realtà oggi non c’è alcun effettivo controllo da parte di enti vigilanti (come Agenzia delle Entrate) o banche sugli effettivi flussi di moneta elettronica, tuttavia la possibilità di essere tracciati è un deterrente che frena gli esercenti dal fare il nero con i pagamenti elettronici.
Evasione fiscale 2019: evaso 1 euro su 3 (se il pagamento è in contanti)
Infatti, secondo stime realizzate in collaborazione con Agenzia delle Entrate relativamente allo speso per beni e servizi di consumo da parte degli italiani, 1 euro su 3 viene evaso quando è pagato con carta moneta. Tale valore scende a circa 1 euro su 8 quando il pagamento è saldato con carta di pagamento.
Un aumento dei pagamenti effettuati con strumenti cashless consentirebbe quindi un’emersione di parte del nero ed un conseguente recupero del mancato gettito, con ovvi benefici in termini di modernizzazione del Paese, di finanze pubbliche e di equità sociale, verso chi le imposte e le tasse le paga già.
I pagamenti elettronici sono anche un importante fattore abilitante molteplici servizi innovativi per gli utenti: dall’ecommerce al car sharing e tutti i pagamenti a distanza.
Soluzioni per l’evasione fiscale: il piano del governo
Le possibili iniziative che il governo può attuare possono coinvolgere il consumatore oppure gli esercenti, con obblighi normativi oppure agevolazioni e incentivi: l’ampiezza di soggetti impattati dalla manovra, l’efficacia in termini di aumento effettivo di transato cashless e di conseguente recupero di gettito, la persistenza nel tempo dell’utilizzo preferito di strumenti alternativi al contante e la semplicità di implementazione da parte dello Stato sono tutti elementi di valutazione fondamentali per individuare le migliori opzioni.
Tassare l’uso del contante? Non funzionerà
Se è vero che logiche di incentivo dei pagamenti cashless lato consumatore mostrano un buon livello di efficacia e di persistenza degli effetti nel medio lungo periodo, iniziative penalizzanti, come la tassazione sull’utilizzo del contante, non risultano altrettanto valide. Il disincentivo imposto sul contante non sembra infatti avere un effetto positivo significativo sull’adozione di strumenti alternativi: questo perché l’uso del cash non è sempre una scelta, che comunque rimane legittima per il consumatore, ma può essere una necessità, ad esempio di mancata accettazione da parte delle infrastrutture. L’accettazione dei pagamenti elettronici, da parte della Pubblica Amministrazione in primis e da parte di esercenti e professionisti poi, rappresenta un fattore fondamentale affinché si creino le condizioni necessarie per favorire il cambiamento.
Pagamenti digitali: recuperare il ritardo italiano
Recuperare il ritardo sempre più accentuato nell’utilizzo di pagamenti elettronici rispetto agli altri paesi europei rappresenta dunque una delle sfide che il nostro Paese non può più attendere di affrontare: una strategia decisa, che preveda il coinvolgimento di consumatori, esercenti e rete di accettazione PA è fondamentale affinché si inverta la rotta e, soprattutto, affinché la si mantenga nel lungo periodo.
Il ritardo è dimostrato dai numeri recentemente pubblicati dalla BCE. Nel 2018 le carte sono state utilizzate per effettuare poco più di 55 miliardi di pagamenti in Europa (+13%), per un totale di circa 2,2 trilioni di euro di spesa. Il report della BCE, che è da quest’anno orfano della Gran Bretagna, a causa della imminente Brexit, vede salire la Francia (oltre 13 miliardi di pagamenti) in prima posizione per numero di pagamenti con carta, posizione finora detenuta appunto dal Regno Unito, seguita da Germania (5,3 miliardi) e dal terzetto Olanda-Polonia-Spagna (4,7miliardi).
Pagamenti digitali: il primato scandinavo
Tra i Paesi più sviluppati in termini di pagamenti digitali troviamo, anche quest’anno, gli scandinavi dell’Unione: Danimarca, Svezia e Finlandia. In questi, oltre ad essere molto in auge alcuni servizi di Mobile Payment locali come Swish e MobilePay, la carta è utilizzata quotidianamente, con un numero di transazioni annuali pro-capite che si aggira intorno ai 350 con una crescita rispetto al 2017 del “solo” 4%, che dimostra come i pagamenti digitali siano ormai diventati pervasivi nella vita delle persone.
Dai dati della BCE risulta invece evidente come gli italiani non utilizzino ancora questo strumento di pagamento al livello delle proprie controparti europee, nonostante l’Italia, insieme alla Grecia, abbia la più alta diffusione di terminali POS (circa 52 mila per milione di abitanti).
Il nostro Paese, infatti, seppur con una crescita dei pagamenti con carta pro-capite del 16% rispetto al 2017, risulta ancora uno dei fanalini di coda tra i 27 paesi dell’Unione Europea: si parla di circa 65 pagamenti all’anno a testa, che ci valgono solo il 23° posto (di 27), proprio come lo scorso anno. E la situazione non sembra migliorare se pensiamo che chi ci sta dietro viaggia a tutt’altra velocità: la Romania cresce del 39%, la Grecia del 27% e la Bulgaria del 26%.
L’unica consolazione è quella di rimanere a braccetto della Germania, paese però che ha una grossa fetta di pagamenti effettuati direttamente da home banking e da bonifico, e nel quale il contante è comunque usato molto meno che in Italia.
Oltre alla crescita impressionante dei Paesi che ricoprono le ultime posizioni di questa particolare classifica, bisogna sottolineare le prestazioni di Polonia, Lituania, Repubblica Ceca e Ungheria (rispettivamente all’12°, 13°, 14° e 18° posto), che stanno facendo registrare un aumento dell’utilizzo delle carte superiore al +20%.