Presidente, come si sente nei panni dello startupper? “Mi sto divertendo tanto, ogni tanto nella vita bisogna cambiare e guardare l’altra faccia della medaglia”. Giuseppe Vegas l’ha fatto a quasi 70 anni (li ha appena compiuti) unendosi al team di ARISK, impresa fondata nel 2017 da Valeria Lazzaroli, Beppe di Sisto, Vittorio Pizzorno, al quale lui ha portato le sue competenze e il suo network di relazioni facendola diventare il salotto buono del risk management.
Giurista diventato politico (senatore del Polo delle Libertà negli anni Novanta e viceministro dell’Economia e delle Finanza con Berlusconi premier), Giuseppe Vegas è stato presidente della Consob dal 2010 al 2017. E in quel ruolo sosteneva già che il fintech è il futuro, alla cui costruzione ha deciso di dare il suo contributo: è presidente dell’Advisory Board di Assofintech e di ARISK, che ha tra i suoi investitori nomi eccellenti della finanza come Roberto Nicastro, ex top banker e co-founder di AIDEXA; Fausto Galmarini, Presidente di Assifact, Consigliere in ABI e CREVAL e responsabile rapporti istituzionali di Banca Sistema; Andrea Viganò, già Executive Chairman di BlackRock Italy; Roberto Lancellotti, Consigliere INPS, CATTOLICA Assicurazioni, già McKinsey.
“Il fintech non deve essere considerato qualcosa che riguarda le startup”, dice Giuseppe Vegas in questa intervista a EconomyUp, in cui racconta che cosa fa ARISK e le sue prospettive di sviluppo, che prevedono anche il collocamento in Borsa.
Presidente Giuseppe Vegas, da tempi non sospetti lei guarda con interesse al fintech. Perché
“Il fintech non deve essere solo considerato un fenomeno di moda che riguarda il mondo delle startup. È molto di più e deve essere utilizzato dalle banche, dagli intermediari e più in generale da tutti coloro che lavorano nell’industria finanziaria per creare valore ed efficienza nelle loro attività”
A che cosa serve il fintech?
Il mondo bancario ha modelli organizzativi che hanno origine nel passato. Le banche pagano per avere informazioni sull’affidabilità dei clienti, le big tech company hanno invece una gran quantità di informazioni che non pagano. C’è un’asimmetria che mina la competitività del tradizionale sistema finanziario e ne mette a rischio la sopravvivenza. Andare avanti così significa perdere competitività anche come continente.
L’Italia però è ancora indietro, perché?
Se siamo in questa situazione non è per una mancanza di risorse finanziarie. Noi con ARISK siamo partiti con poco, ma le banche sono ancora organizzazioni molto costose che non possono però ridurre i costi da un giorno all’altro, non possono certo procedere con licenziamenti selvaggi. D’altro canto, mantenere questa struttura di costi significherebbe competere con la zavorra ai piedi, con lo sguardo rivolto all’indietro. Devono quindi modernizzarsi, usare le nuove tecnologie. Molte banche lo fanno rivolgendosi a società esterne. E qui sta il senso di ARISK: offrire l’opportunità al sistema bancario di ridurre i costi e restare competitivi”
Quanto l’innovazione del sistema è stata bloccata dalle regole?
Qualche ondeggiamento rispetto alla tecnologia e all’innovazione nelle autorità di vigilanza e nelle istituzioni finanziarie c’è stato. Giustamente il presidente dell’ABI Antonio Patuelli invita a tenere d’occhio la solidità e la stabilità del sistema ma non si possono valutare gli effetti secondari di un sistema rigido. Il rischio è di intervenire quando è troppo tardi. Bankitalia e Consob hanno avviato la sandbox italiana per le fintech: uno strumento indispensabile. In genere chi si trova in una situazione meno elastica rispetto alle piccole ma aggressive imprese tecnologiche, come le startup, tende a difendere l’esistente. La domanda è: se non crescono questi nuovi soggetti, quale sarà il quadro del mercato finanziario fra 10 anni? Il rischio per l’Italia è di diventare terreno di conquista delle scaleup europee.
Come nasce ARISK e che cosa fa?
ARISK nasce da un’idea di alcuni imprenditori, che si occupavano di engineering. Quando sono entrato io nella compagine azionaria l’idea era di creare un algoritmo e di farlo certificare da un ente terzo. Adesso l’algoritmo c’è e stiamo lavorando con il Politecnico di Torino per la creazione di un centro sull’Intelligenza Artificiale che studi quali dati utilizzare e come per costruire nuovi parametri di valutazione del rischio in base all’evoluzione della realtà. Ovviamente sono arrivati anche investitori di un certo livello. Attualmente in ARISK lavora un team di una ventina di persone, compresa la parte di ricerca del Polito. Abbiamo già raccolto 700mila euro, abbiamo in programma un ulteriore aumento di capitale nel 2022 e contiamo di sbarcare all’AIM nel 2023.
A che cosa serve l’algoritmo di ARISK?
I rischi che possono minacciare la sopravvivenza di un’impresa sono diversi. ARISK ha messo a punto un algoritmo per calcolare il peso di questi rischi con una proiezione almeno triennale. Serve alle imprese, perché per l’imprenditore è un po’ l’applicazione tecnologica del socratico “conosci te stesso”. Ma serve anche a chi offre soldi alle imprese, non a caso l’attuale governo fa la differenza fra prestiti buoni e prestiti cattivi.
Qual è il mercato a cui guarda ARISK?
Abbiamo appena cominciato a commercializzare il prodotto. I nostri clienti sono le banche, le assicurazioni, le società che fanno consulenza per le banche, le associazioni professionali, ma anche singoli studi professionali o aziende. Il nostro modello prevede la vendita del servizio di valutazione del rischio sulla base dei dati finanziari dell’impresa comparati con simili e non solo. L’imprenditore può compilare un questionario che riguarda anche i rischi non finanziari, basti pensare alle catastrofi naturali, noi prendiamo in considerazione fino alla composizione del CDA. Questo è uno strumento che serve anche a modernizzare i sistemi di gestione delle piccole e medie imprese italiane e può aiutarle a fare il salto generazionale. Le PMI da 1 milione a 40 milioni, e le aziende che lavorano con loro, sono per noi un target importante.
Quali sono le prospettive di crescita di ARISK?
Pensiamo di poter crescere perché l’algoritmo può essere adattato a diverse situazioni. I rischi sono come le scarpe delle mogli, in quantità potenzialmente illimitata. Perché non monitorare il rischio idrogeologico o i rischi collegati al climate change? E la cybersecurity? E come trascurare il rischio sismico in un Paese come l’Italia? Man mano che allargheremo il nostro campo di azione, cresceranno le risorse.