L'ANALISI

Fintech 2019, ritornerà la competizione fra startup e leader dell’industria finanziaria?

L’open innovation spinge alla collaborazione, dopo una prima fase di contrapposizione. Ma gli incumbent stanno recuperando il gap tecnologico e le nuove imprese devono trovare un modo per riposizionarsi. In Italia il gap non è ancora chiuso e le fintech e insurtech sono nella parte iniziale della curva di crescita

Pubblicato il 26 Apr 2019

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Circa 10 anni fa sull’onda lunga dell’internet revolution è partito quello che oggi conosciamo come Fintech: la nascita di startup in grado di utilizzare nuove tecnologie digitali per offrire ai consumatori servizi finanziari in maniera immediata, digitale e vicina alle attese delle nuove generazioni di clienti, prima su tutte in quel periodo quella dei Millennials. Come sarà lo scenario Fintech 2019?

Fintech, come siamo partiti 10 anni fa

Il trend fintech in quel periodo era caratterizzato da una netta contrapposizione tra startup e player finanziari tradizionali, tutta la narrativa si incentrava sui concetti di disintermediazione, disruption, challenge, vedendo a livello internazionale un gruppo sempre crescente di giovani founder, vestiti con la propria t-shirt brandizzata, pronti a lanciare la sfida e conquistare il mondo dei servizi finanziari.

Disruption diventò quindi una buzzword sulla bocca di tutti, gli istituti finanziari corsero ai ripari avviando programmi pluriennali di trasformazione digitale per essere vicini ai propri clienti, creando innovation center interni in grado di contrastare questa minaccia e mettendo in campo tutto il peso specifico di uno dei settori più rilevanti dell’economia mondiale.

Si iniziava a parlare di user o customer centricity, i canali digitali assumevano un’importanza sempre maggiore nei confronti di quelli fisici tradizionali: il sistema finanziario iniziò quindi un percorso di trasformazione, in molti casi ricco di ostacoli e frizioni interne.

La prima onda di startup fintech e insurtech, tutte incentrate sull’innovazione dei canali distributivi e della UX iniziò rapidamente a saturare i mercati dei paesi maturi e esplodere su quelli emergenti; le prime startup fondate, da Lending Club a TransferWise, da Kabbage a Oscar, facendo leva sulla proprio vantaggio competitivo temporale, iniziarono a portare a scala le proprie soluzioni grazie agli investimenti raccolti da angels e venture capital e all’acquisizione di una grossa fetta dei clienti “first movers”, mentre per tutte le altre non restava che percorrere una strada alternativa, cioè quella di sviluppare modelli di offerta business to business o B2B2C insieme agli istituti finanziari tradizionali.

Il processo di trasformazione digitale del mercato finanziario

Dal 2015 ad oggi è stata sotterrata “l’ascia di guerra” e si è iniziato a parlare di open innovation, grazie anche al boom degli acceleratori e dei corporate venture capital, tutti pronti a supportare questa tendenza, avviando e valorizzando la collaborazione tra startup e player tradizionali.

Effettivamente tutti i dati degli ultimi anni confermano l’accelerazione del processo di trasformazione digitale del mercato finanziario, con buona pace dei clienti affezionati alla relazione fisica con la propria banca o assicurazione di fiducia. Non in ultimo un ruolo molto importante è giocato dalla spinta dei regolatori che con la PSD2 per il mondo dei pagamenti e account, MIFID II per tutto il settore investimenti, IDD per quello assicurativo, l’immancabile GDPR per tutte le iniziative che coinvolgono i clienti, da un lato cercano di uniformare e supportare il processo di trasformazione e dall’altro mettono in luce i punti deboli dei player tradizionali, rafforzando la necessità di collaborare e creare iniziative di open innovation.

Sembrerebbe dunque ad oggi che il periodo di collaborazione tra grandi imprese e startup sia destinato a durare nel tempo e che la risposta alla prima domanda sia un semplice e quasi scontato si. Ma all’orizzonte si iniziano a vedere alcuni segnali deboli che potrebbero prospettare un diverso futuro nei prossimi anni.

Fintech 2019: ritornerà la competizione fra startup e incumbent?

Il gruppo di 38 unicorn fintech e insurtech (startup con più di un billion di dollari di capitalizzazione), che nel frattempo ha visto anche qualche operazione di IPO, e più in generale tutto il drappello di startup nate negli ultimi anni si trova ad avere di fronte una nuova sfida competitiva.

Il concetto chiave è quello di gap tecnologico. I presupposti per la nascita e crescita di queste startup iniziano a venir meno, in quanto il percorso di evoluzione ha portato i grandi operatori finanziari a creare team interni in grado di utilizzare metodologie di sviluppo e gestione dei progetti evolute (Agile, DevOps), in grado di analizzare i bisogni della clientela e di definire la user experience e strategie di digital marketing.

La chiusura del gap tecnologico porta quindi attualmente a due distinti fenomeni: da un lato le startup non ancora nel ristretto club degli unicorn e le nuove entranti provano a differenziare la propria offerta, cercando di riaprire il gap tecnologico con i player finanziari tradizionali. Tutte pronte a creare soluzioni AI based, a far leva sul machine learning e a strizzare l’occhio al deep learning.

In alternativa è sempre buona regola utilizzare architetture in cloud e scrivere transazioni e dati su ledger costruiti tramite blockchain.

Il ciclo riparte dunque alimentato da una nuova serie di buzzword, con i founder fintech e insurtech questa volta polarizzati rigorosamente tra il dresscode hipster e quello nerd (il classico che non tramonta mai), oggi sin da subito supportati da mentor, advisor, angel all’interno dei propri “garage”, che puntano questa volta a trasformare anche il mondo dei servizi e prodotti finanziari oltre che quello dei canali distributivi. Il tutto in attesa che il gap tecnologico si richiuda, che i player finanziari o i tech giant, finora di fatto ancora alla finestra dell’arena competitiva, si riposizionino riconquistando il terreno perduto.

Dall’altro invece si rileva di nuovo un fenomeno che oggi è forse meno evidente: il riposizionarsi come competitor da parte di alcune di queste startup. Qual è il loro identikit? Sono molto più mature rispetto a quelle della prima wave fintech e insurtech ed hanno una finalità ben precisa: quella di entrare nel club dei player finanziari dalla porta principale, alla pari di HSBC, Barclays, Wells Fargo, BNP Paribas, Intesa Sanpaolo, offrendo nel prossimo futuro un vasto numero di servizi, non solo finanziari, che soddisfino i bisogni dei clienti dei giorni nostri.

E si perché negli ultimi 10 anni i millennial sono cresciuti, hanno messo su famiglia, iniziano ad essere decisori in ambito finanziario e sono destinati a ereditare il più grande trasferimento di ricchezza nella storia: 30 trilioni di dollari nel corso dei prossimi 30-40 anni (si stima che solo negli US, tra il 2030 e il 2045, il 10% della ricchezza totale passerà di mano ogni cinque anni).

Non in ultimo avanzano anche le generazioni dei futuri giovani adulti (GenZ) e giovanissimi (Generazione Alfa), che hanno «imparato dagli errori» delle precedenti generazioni digitali e iniziano a sviluppare un approccio più pragmatico ai temi finanziari e del risparmio, ponendo attenzione alla propria privacy e riducendo l’overspending e l’indebitamento finanziario.

Il nuovo posizionamento delle startup fintech

Da un lato cambia il modo di comunicare da parte dei founder di queste startup, che oggi si pongono alla pari di un CEO di un player finanziario tradizionale, valorizzando il differente posizionamento sul mercato delle proprie aziende rispetto al passato.

Alcuni esempi li possiamo trovare ad esempio nelle recenti dichiarazioni di Anne Boden, founder di Starling Bank, o di Nikolay Storonsky, founder di Revolut, più mature nei contenuti, molto più sottili nel differenziarsi rispetto ai player tradizionali, pronti anche a chiedere scusa degli errori fatti, perché la novità rispetto al comune immaginario è che queste startup non possono più provare, reiterare, sbagliare, ma che ormai sono giunte alla fatidica soglia in cui i clienti non son più disposti a perdonare loro errori di gioventù o a finanziare round record di crowdfunding sulla semplice promessa di un roseo futuro.

Recente caso emblematico  anche l’operazione di acquisizione di MHB Bank in Germania da parte di Raisin, che rovescia l’attuale concetto di open innovation e della quale Tamaz Georgadze, CEO e co-fondatore di Raisin, dice: “In qualità di uno dei leader europei nel settore delle nuove tecnologie finanziarie, crediamo nel cambiamento sostenibile del sistema finanziario con l’obiettivo di rendere prioritarie le esigenze dei clienti e dei nostri partner. Insieme a MHB Bank possiamo continuare a sviluppare – e integrare in maniera semplice – i servizi che offriamo a clienti, banche partner e partner di distribuzione”.

Dall’altra parte cambia la strategia di sviluppo. Non basta più risolvere uno specifico problema per un ben determinato target di clienti. La tendenza è quella di convergere, sviluppando un catalogo multi-line di prodotti e servizi. In questa ottica va interpretato il percorso delle startup nate a vario titolo sul mondo degli investimenti, dai roboadvisor come Wealthfront, ai servizi di brokerage come Robinhood a quelli di personal finance come MoneyLion, tutte pronte a fornire un conto corrente, una serie di servizi transazionali, servizi di credito per aumentare la propria redditività e capacità di cross selling, stabilizzare i propri cashflow e bilanci. Partendo da punti diversi la convergenza rimane evidente anche per altre realtà come Revolut o Coinbase, ma gli esempi potrebbero continuare a lungo.

Fintech, che cosa sta succedendo in Italia?

Partiamo dalle buone notizie: il primo trimestre del 2019 si è chiuso con il segno positivo: sono 133 i milioni di euro raccolti da startup e scale up italiane (+392% rispetto allo stesso trimestre del 2018) tramite aumenti di capitale e crowdfunding. Due le startup fintech e insurtech all’interno di queste operazioni, MDOTM e YOLO, che rafforzano il panorama delle startup italiane nel settore finaziario.

A questo va aggiunta senza dubbio anche la conferma da parte del governo di un fondo da 1 miliardo di euro destinato alle startup.

L’Italia però è il paese delle contraddizioni, con l’indice DESI 2019 che offre un inclemente quadro di sintesi, relegandoci al 25mo posto complessivo tra i 28 paesi EU per connettività, human capital e digital skills, utilizzo delle tecnologie digitali da parte dei cittadini, delle PMI e dei pubblici servizi, ricerca e sviluppo ICT.

In un contesto come questo le fintech e insurtech made in italy si trovano ancora nella parte iniziale della di curva di crescita, concentrate nelle attività di acquisizione quote di mercato e scale up internazionale, con un chiaro posizionamento all’interno dell’alveo dell’apertura alla collaborazione verso gli operatori finanziari tradizionali.

Lo conferma Oval Money ad esempio. La founder Benedetta Arese Lucini ad EconomyUp ha dichiarato: “Alcune banche scelgono di fare tutto in house, altre invece preferisco lavorare con le startup, che sono più agili e possono farsi portatrici quell’esperienza digitale che loro non hanno. In questo senso vanno comprese le potenzialità delle partnership: mettersi insieme porta valore a entrambi”.

D’altronde il gap tecnologico da parte degli intermediari finanziari non sembra essere stato ancora chiuso nel nostro Paese; nonostante i numerosi investimenti il balance tra canale fisico e digitale è uno dei punti qualificanti del nostro sistema e sembra resistere più che altrove.

Emerge timidamente anche la tendenza di far convergere la propria offerta verso un catalogo multi-line di prodotti e servizi da parte delle principali startup fintech e insurtech italiane, con qualche primo passo da parte di Satispay ad esempio, che nella seconda parte del 2018 ha lanciato il proprio salvadanaio per offrire un servizio di risparmio ai propri clienti, e di Oval Money, diventata semplicemente Ovalche a inizio aprile ha annunciato Oval Pay, conto corrente e una carta di debito gratuita utile per completare l’attuale offerta di servizi di saving e investimento.

In un contesto come questo l’auspicio è dunque che il 2019 sia un anno di vera collaborazione tra banche e assicurazioni da un lato e startup fintech e insurtech dall’altro, in attesa che le tendenze internazionali influenzino anche il nostro paese, accelerando la velocità di cambiamento e i risultati sino ad oggi faticosamente raggiunti.

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Alberto Garuccio
Alberto Garuccio

Innovation Leader - Governance Manager di Reale Lab 1828, innovation hub internazionale di Reale Mutua basato a Torino. È stato Head of Innovation Discovery dell'Innovation Center di Intesa Sanpaolo. Svolge attività di mentoriship.

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