La chiamano finanza alternativa, ma ben presto potrebbe essere la strategia finanziaria principale, se mantiene il suo ritmo di crescita. Le forme e i canali di finanziamento che si differenziano rispetto al sistema bancario e al mercato finanziario tradizionale, come l’equity crowdfunding, il prestito peer-to-peer (social lending), reward e donation based crowdfunding (basato su ricompense o donazioni), l’invoice trading (compravendita di fatture) e titoli di debito, hanno portato nuova linfa all’economia e incentivato l’innovazione e, in Europa, sono cresciuti del 144 per cento in un anno. A dirlo è l’Università di Cambridge in una ricerca, “Moving Mainstream-The European Alternative Finance Benchmarking Report”, secondo la quale il mercato della finanza alternativa in Europa ha raggiunto il valore di quasi tre miliardi di euro in totale (passando da 1,2 miliardi di euro nel 2013 a 2,9 miliardi di euro nel 2014). Ma la corsa non accenna ad arrestarsi e potrebbe sfiorare il tetto dei sette miliardi di euro nel 2015.
Il Regno Unito da solo rappresenta il 74,3 per cento di questo mercato e, nel 2015, potrebbe registrare un volume di transazioni sulle piattaforme di finanza alternativa pari a 5,7 miliardi di euro. Nel resto d’Europa, il settore potrebbe arrivare a 1,3 miliardi di euro, nel corso di questo anno. L’Italia rimane ancora molto indietro, in decima posizione tra gli altri Paesi europei, contribuendo soltanto per lo 0,3 per cento a questo mercato.
La “debolezza protratta” dell’economia europea, come l’ha definita la Federazione bancaria europea, soprattutto in quegli Stati che hanno vissuto una crisi finanziaria più acuta, ha reso sempre più difficile l’accesso al credito e ha rischiato di paralizzare la microimpreditoria e la nascita di nuovi business. Nel 2013 il volume dei prestiti bancari alle piccole e medie imprese ha subito un calo di 232 milioni di euro, in particolare, i prestiti alle società non finanziarie sono diminuiti di 99 miliardi di euro in Spagna e di 50 miliardi di euro in Italia.
Contemporaneamente si è assistito alla proliferazione di metodi alternativi di sostegno alle piccole e medie imprese e alle startup che hanno avuto un grande impatto sull’economia europea, ma anche sull’apparato sociale. Il Cambridge Centre for Alternative Finance, all’interno della prestigiosa università inglese, ha voluto fotografare lo stato dell’arte del settore per capire anche le criticità e le esigenze per un futuro sviluppo integrato.
La ricerca, condotta insieme con EY e altri 14 associazioni nazionali e regionali di settore, è il risultato delle risposte a un questionario online somministrato a 255 piattaforme leader d’Europa, che rappresentano l’85-90 per cento della finanza alternativa online europea. Escludendo il Regno Unito, che merita considerazioni a parte, in Europa si è passati da un volume di transazioni online di 137 milioni di euro nel 2012 a 338 milioni di euro nel 2013, fino a 620 milioni di euro nel 2014, con un tasso medio di crescita del 115% in tre anni. Leader indiscusso di questo mercato è il Regno Unito, tra i primi Paesi ad aver adottato il social lending circa 10 anni fa, con un volume di transazioni online pari a 2,3 miliardi di euro nel 2014 e una crescita del 168 per cento anno dopo anno. Aiutato da un sistema regolatore favorevole e da politiche governative mirate, il mercato britannico dei finanziamenti basati su piattaforme online sta facendo da traino per gli altri Paesi europei. In particolare la Francia, la Germania, la Svezia, i Paesi Bassi e la Spagna hanno contribuito all’intero settore della finanza alternativa per un totale di 952 milioni di euro negli ultimi tre anni, pari a 6,7 volte in più del totale degli altri 21 Paesi d’Europa.
La Francia è, infatti, seconda della lista, con un volume di transazioni pari a 154 milioni di euro; segue la Germania (140 milioni di euro), la Svezia (107 milioni di euro), i Paesi Bassi (78 milioni di euro) e la Spagna (62 milioni di euro). L’Italia rimane al decimo posto con 8,2 milioni di euro, seguita da Polonia, Austria, Belgio, Danimarca, Repubblica Ceca e Slovacchia. Se si considera, invece, il volume pro capite, l’Estonia balza al secondo posto con 16 euro pro capite, dopo il Regno Unito (36 euro pro capite), mentre l’Italia è 17esima. Complessivamente, la finanza alternativa europea (escluso il Regno Unito) ha contribuito con 385 milioni di euro a finanziare l’insediamento e la crescita di circa 10 mila startup e piccole medie imprese europee, negli ultimi tre anni, con un aumento annuo del 75 per cento (66,33 milioni di euro nel 2012; 116,93 milioni di euro nel 2013; 201,43 milioni di euro nel 2014).
I business che ne hanno beneficiato sono aumentati del 133 per cento dal 2012, da poco più di mille nel 2012 a circa 5.801 nel 2014. Le 255 piattaforme di finanziamenti online dei 27 Stati europei prese come campione hanno erogato fondi per 4,6 miliardi di euro a privati, imprenditori, artisti, piccole e medie imprese, aziende sociali, progetti di energia rinnovabile, organizzazioni comunitarie e no-profit. Soltanto nel 2014, sottolinea l’Università di Cambridge, il sistema britannico di finanza alternativa ha messo a disposizione un miliardo di sterline di finanziamenti, ripartiti tra circa settemila piccole e medie imprese, pari al 2,4 per cento del totale dei prestiti bancari alle PMI. Il sistema ha anche attratto nuovi investitori, molti dei quali provenienti da settori diversi dalla finanza, che si avvalgono di queste piattaforme: nel 2014, al di fuori del Regno Unito, ci sono stati 1,5 milioni di donatori, sostenitori e investitori veri e propri, con un aumento medio del 91 per cento in tre anni.
Per quanto riguarda le forme di finanziamento, il prestito peer-to-peer a privati è quello più diffuso e valeva 274,62 milioni di euro nel 2014, segue il reward-based crowdfunding (120,33 milioni di euro), il prestito p2p alle imprese (93,1 milioni di euro) e l’equity crowdfunding (82,56 milioni di euro). Guardando i tassi di crescita, l’aumento più spedito è quello del social lending alle imprese (272 per cento in più tra il 2012 e il 2014), seguito dal reward-based crowdfunding (127 per cento), dall’equity crowdfunding (116 per cento) e dal prestito p2p ai privati (113 per cento). Il rapido incremento delle forme di finanza alternativa ha fatto emergere in tutti gli Stati la necessità di una giusta regolamentazione, che garantisca gli investitori e i beneficiari, ma che non ingessi la fluidità del sistema.
Il Regno Unito anche in questo è più avanti rispetto agli altri Stati europei, in quanto ha adottato regole specifiche per la finanza alternativa, anziché adattare norme obsolete e poco appropriate alle caratteristiche del settore. Nel 2011, è nato un organismo di regolamentazione britannico, il P2P Finance Association (P2PFA) che, tra le altre funzioni, cerca di preservare affidabilità e trasparenza del settore, promuovendo la discussione sulle buone pratiche da adottare.
Gli inglesi hanno anche un sistema normativo specifico per le piattaforme P2P e, tramite la British Business Bank e altri istituti parastatali, il governo ha incentivato i sistemi alternativi di finanziamento. Lo scorso anno è stata manifestata l’intenzione di includere anche il social lending tra lo status fiscale agevolato, l’Individual Savings Account (ISA), che, secondo Bruce Davis, direttore di UK Crowdfunding Association (UKCFA) e amministratore delegato di Abundance Generation, potrebbe trasformare la finanza alternativa nel Regno Unito nella tendenza dominante nel mondo dei finanziamenti. Sul piano normativo la strada è ancora lunga: soltanto il 18,42 per cento degli intervistati dalla ricerca di Cambridge dichiara che la normativa vigente nei loro Paesi è sufficiente ed adeguata, mentre il 21,05 per cento sostiene che sia eccessiva e troppo rigorosa. Il 14,74 per cento chiede l’adeguamento dei Paesi che ancora non hanno una regolamentazione e il 23,68 per cento considera troppo ingessanti le regole finora proposte.
In Francia e nei Paesi Bassi una buona percentuale (40 per cento) considera appropriate le norme proposte, mentre un numero considerevole di intervistati in Germania (58,06 per cento), in Spagna (52,94 per cento) e nei Paesi nordici (36,46 per cento) ritiene la regolamentazione del proprio Paese troppo rigida e denota profonde differenze rispetto al resto dell’Europa.