“Le banche sperano che non accadrà, ma accadrà. Anche se non alla velocità che spera chi sta investendo nel fintech”. Roberto Ferrari, general manager di CheBanca!, sintetizza così il sentiment sugli effetti dell’innovazione digitale che si respira in questo momento nel mondo del credito alle prese con sofferenze atroci. Ferrari è stato il protagonista di un webinar organizzato da EconomyUp per parlare del suo libro “L’era del fintech”, il primo in Italia che tenta di mettere ordine all’evoluzione tecnologica prima condotta e poi patita dalle banche.
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WEBINAR CON ROBERTO FERRARI
Tutto cominciò con le carte di credito, negli anni 50 del secolo scorso. E adesso migliaia di startup nel mondo aggrediscono un business consolidato (o almeno ritenuto tale). “World needs banking, not banks”, diceva già negli anni 90 Bill Gates. Questa prospettiva storica permette di leggere in maniera diversa le cronache di queste settimane. Guardando indietro ma soprattutto avanti. Un po’ più avanti di quanto non siano abituati di solito a fare i manager. Certo, non è facile pensare al futuro quando si deve lottare per la sopravvivenza. Ma la sopravvivenza non dipende solo dalla capacità di risolvere i problemi e arrivare, in qualche modo, a fine giornata. Condizione necessaria ma non sufficiente. Serve anche una forte determinazione a cambiare. Le banche, in Italia e non solo, si ritrovano strette fra sofferenze di antiche origini e sfide di nuova generazione, fra titoli tossici e fintech appunto. Disintossicarsi permetterà di sentirsi meglio per un momento ma non garantirà la forza per andare avanti in un mercato con nuovi competitor e nuove abitudini.
Le gare fra Italia e Germania fra chi sta messo peggio non possono aver alcun vincitore. Il macabro humour inglese, che si esprime con copertine di magazine dalla grafica old style, non fa ridere più nessuno e le analisi di quotidiani, pur sempre autorevoli, si fermano al presente, anzi al passato prossimo. Dire che in Italia ci sono più agenzie che pizzerie è una bella battuta che non aiuta a capire perché le pizzerie servono ancora e le agenzie un po’ meno. A che punto siamo lo spiega bene un editoriale di Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e soprattutto competente e cauto osservatore delle vicende economiche. Per ricordare come siamo arrivati a questo punto, invece, c’è la tagliente analisi dell’economista Fabio Sdogati, che senza peli sulla lingua accusa di malafede o ignoranza chi sostiene che il problema delle banche siano i cosiddetti “crediti incagliati”. E spiega perché.
Adesso arrivare a fine giornata significa tutelare i risparmiatori da una parte e fare in modo che il sistema non imploda, in Germania come in Italia. Non conviene a nessuno. Gli Stati Uniti ci sono riusciti anni fa perché c’è un governo americano, l’Europa deve faticare molto di più perché manca un vero governo europeo. Ma per sopravvivere alle banche, e a chi le guida, serve altro: il coraggio e lucidità necessari per imboccare con determinazione la strada dell’innovazione. Velocemente. Prima che la situazione sfugga di mano e non solo per qualche manager incapace, infedele o leggermente furbetto.
► VIDEO: INTERVISTA A ROBERTO FERRARI, GENERAL MANAGER DI CHEBANCA!
Che cosa le banche sperano che non accada? L’Europa è uno dei mercati ancora fortemente regolamentati. Ma non durerà a lungo. I cosiddetti GAFA (Google, Amazon, Facebook e Apple) sono già all’opera: dal 2008 in fintech sono stati investiti 45 miliardi di dollari. Nel primo semestre del 2016 sono già 6 miliardi. Chi è il primo investitore in startup fintech? Una banca? Una istituzione finanziaria? No, Google Ventures. Non abbiamo idea di quello che si abbatterà sul sistema tradizionale…
Non solo. Ci ricorda Ferrari nel suo libro che entro il gennaio 2018 è previsto il recepimento della direttiva europea che impone l’open banking, le banche dovranno aprirsi ….in gergo PSD2. Certo i governi italiani sono di solito molto tranquilli nell’accogliere le norme europee, magari le lobby bancarie riusciranno a prendere tempo rischiando qualche infrazione ma cambia poco. 2020, nulla sarà più come prima. Stiamo parlando di pochi anni. Forse ce ne vorrà qualcuno di più perché si consolidino i nuovi player. Ma a quel punto gli istituti di credito potranno contare poco sulla legacy, la tradizione, l’affidabilità, la notorietà. Soprattutto dopo il ripetersi di vicende come quelle, per restare in Italia, di MPS o Veneto Banca, o di DeutscheBank per guardare in casa altrui.
Il combinato disposto di norme europee restrittive in un mercato sempre più aperto e deregolamentato da una parte e l’avanzamento di nuovi player tecnonologici ed extrasettore dall’altra può diventare letale per il futuro di tante banche. Il rischio enorme che sta correndo il sistema è di concentrarsi sul rispetto delle regole, sulle ristrutturazioni e sulle pulizie in casa rinviando a un secondo momento l’innovazione profonda di processi, strutture e prodotti. Quando probabilmente sarà troppo tardi per poter reagire in maniera efficace all’effetto Amazon o all’effetto Whatsapp.
“Noi tendiamo sempre a sovrastimare i cambiamenti che avverranno nei prossimi due anni e a sottostimare quelli dei prossimi dieci”. Tocca oggi ai banchieri evitare questa cattiva abitudine. E comprendere che c’è un solo modo per stimare correttamente che cosa cambierà fra dieci anni: aprirsi prima che lo imponga una direttiva europea, fare appunto open innovation. La sopravvivenza non si conquista solo rispettando i parametri europei, licenziando qualche migliaia di dipendenti o ristabilendo comportamenti corretti.