C’era una volta il 2007, anno in cui venimmo a conoscenza del fatto che la famosa ‘banca universale’ e la celebrata ‘ingegneria finanziaria’ degli anni Novanta avevano prodotto profitti enormi per i propri azionisti e remunerazioni scandalose per i propri dirigenti (ovviamente tutto il personale bancario godeva, come si sa, di condizioni di lavoro privilegiate assai, tanto è vero che ogni mamma che si rispetti sognava per il figlio ‘il posto in banca’).
Ma venimmo anche a sapere che i loro bilanci erano in condizioni talmente disastrate che esse smisero addirittura di far credito l’una all’altra, sorella che affama (di credito) la sorella perché sorella sa bene che il bilancio della sorella è disastrato, e quindi non le estende credito. Lo chiamarono, e noi copiammo l’espressione, credit crunch, ovvero congelamento del credito.
Dal non dare a prestito a un’altra banca al non dare a prestito alle imprese dell’economia reale, il passo fu breve. In un convegno che facemmo al Mip Graduate School of Business il 14 febbraio 2008 la capo del reddito fisso di una banca di investimento italiana relazionò dicendo che “da settembre 2007 non sono riuscita a piazzare un euro di carta”. (No, non pensate male, la truffa non si estendeva e non si estende fino a inventare pezzature cartacee da un euro: ‘carta’ è espressione gergale per ‘obbligazioni’).
Quel che voglio dire è che chi oggi parla di ‘crediti inesigibili’ o è ignorante, e pensa che il problema sia la ditta XY che produce bulloni la quale ha preso a prestito e non sta ripagando il debito, oppure non è ignorante, e allora è in malafede: il problema dei bilanci delle banche europee sono i titoli-immondizia (troubled assets, nel linguaggio ben educato che nel 2008 usavano il presidente della Fed Ben Bernanke e il ministro del Tesoro Usa Hank Paulson: nel 2008-2009, non venerdì scorso!)
Quello dei troubled assets era il problema allora, quello è il problema oggi. Soltanto che allora era il problema di Europa e Usa, mentre oggi è soltanto un problema europeo. Come mai? Forse che gli dei falsi e bugiardi hanno preso di mira le banche europee? O che sia la ‘sfortuna’? No, nessuna delle due: dobbiamo cercare in posti assai più vicini a noi mortali, cioè tra i governi austeri e i loro austeri consiglieri economici. Mi spiego.
Quando la crisi del credito divenne evidente, governo, banca centrale e congresso degli Stati Uniti fecero qualcosa di assolutamente ovvio a chiunque non fosse in malafede:
1. Aumento della spesa pubblica finanziata in disavanzo, in modo da fornire al sistema quella domanda che famiglie e imprese non stavano più esprimendo ai livelli pre-2007;
2. Troubled assets relief progam (Tarp), cioè acquisto da parte della Fed di asset finanziari tossici (così li chiamammo, poiché appestavano l’intero portafoglio di gran parte delle banche), cioè crediti inesigibili o quasi (asset che la Fed si è poi rivenduta con notevoli profitti);
3. Quantitative easing, una misura ragionevole ed efficace quando accompagnata da espansione fiscale in disavanzo (cosa che non sta avvenendo in area euro);
4. Nazionalizzazione di intermediari (AIG, il più grande assicuratore privato al mondo) e consolidamento del settore bancario, promossa dal governo e da Fed ‘consentendo’ ad alcune banche di acquistare altre banche (per esempio JP Morgan dovette comperarsi Bear Stearns e Bank of America dovette prendersi Merrill Lynch);
5. Rifiuto di salvataggio di Lehman Brothers. Non so come altri chiamino questo scenario: io lo chiamo politica economica contro la recessione cum risanamento del settore bancario.
E in Europa, nel frattempo? Beh, tutti ricorderanno, spero, la scelta operata dai governi europei in favore della cosiddetta ‘austerità’. Una scelta che anni fa definii ‘fetida’, e oggi lo stato del settore bancario mi offre un’altra conferma che vidi giusto (forse l’espressione era troppo delicata, ma così sono io). In Europa si adottò una politica fiscale favorevole alla stagnazione e alla recessione; si adottò una politica monetaria favorevole alla stagnazione e alla recessione, tanto è vero che il quantitative easing europeo data dal marzo 2015; si fece passare la fola secondo cui le banche europee erano ‘sane’, e che quindi non abbisognavano di interventi di ricapitalizzazione e fusione, giustificando il tutto con dei cosiddetti ‘stress test’ che sapevamo già allora, e oggi ne abbiamo l’ennesima conferma, essere delle buffonate.
Morale? Bastava copià. Ovviamente, se si fosse voluto un risultato ‘americano’, cioè un tasso di disoccupazione al 5% mentre il nostro è al 10%, e problema bancario risolto. Ma gli austeri la sanno lunga, ed ecco dove siamo ancora oggi. #Congratulazioniausteri!