Commentare i dati 2014 del Venture Capital Monitor non mi suscita alcuna emozione, almeno positiva. In momento in cui della tecnologia italiana parla tanta stampa estera (vedi l’hackeraggio di Hacking Team ora nota come Hacked Team), dopo il salvataggio della Grecia con più di 50 miliardi di euro di nostri soldi e l’accordo sul nucleare iraniano che dovrebbe portare 3 miliardi di euro di maggiori esportazioni al nostro Paese, commentare i neanche 78 milioni di euro investiti in tutto il venture capital italiano mi pare spreco di inchiostro digitale.
Giacché spreco, allora elaboro.
Analizzando i dati sono confortato dal fatto che mancano dal radar VEM gli investimenti fatti dagli informal private investors, tutti quei privati risparmiatori che sfruttando anche gli incentivi fiscali della legge sulle startup innovative, hanno portato a termine già nel 2014 importanti operazioni. Insomma, il mercato si sta allargando più velocemente della capacità di monitorarlo: non si deve per forza essere associati a qualche club di investitori o di business angel per investire in innovazione. Molti, ad esempio, sono i cosiddetti club deal di cui ho memoria e che non trovo negli elenchi del VEM.
Ciò ci porta a superare, ma è evidentemente una stima, l’importo di 100 milioni di euro investiti. Forse questi non portano una sonda su Plutone ma ci permettono di vedere un po’ più vicino il sole.
Aggiornati grossolanamente i dati, possiamo pensare al futuro. La strada maestra non mi pare quella dei fondi pubblici da più parti caldeggiata. Di questi ne abbiamo provati già vari, sempre con modesti risultati: finanziarie regionali con fondini, ministeri con fondetti per zone depresse, fondi di (af)fondi pubblici con velleità nazionali.
Finiti i fondi che drogavano le statistiche per qualche tempo, le startup si squagliavano. Almeno proviamo un’altra ricetta, così per provare almeno a non perseverare: la ricchezza d’Italia è nelle tasche dei suoi cittadini risparmiosi. Muoverne una piccola percentuale verso investimenti innovativi e produttivi farebbe molto più di qualsiasi (riaf)fondo pubblico. Usiamo quindi risorse pubbliche per la leva fiscale a favore di chi investe in startup e Pmi innovative: aumentiamo la detrazione dall’attuale 19% e riduciamo la tassa sul capital gain ora al 26%. In concittadini con cultura così sensibile al tema fiscale potremmo smuovere la montagna e vedere un giorno un VEM a cifra tonda, con nove zeri.
* Ceo di Genenta Science