Il paradigma dell’open innovation, ormai diventato ben noto anche in Italia, è stato analizzato da vari esperti di innovation management. Nonostante queste interessantissime analisi, e le varie best practices di cui si sente e si legge quotidianamente, pochi si sono cimentati in discussioni inerenti al cosiddetto “passo successivo”. Ovvero si sente parlare molto poco di come queste varie best practices e casi di studio italiani, diventino dei processi ben strutturati e radicati nel contesto industriale. Purtroppo poche aziende hanno dei processi standardizzati riguardanti la pratica dell’innovazione aperta e ancora meno aziende utilizzano questi processi in maniera sistematica e come vera fonte di nuove idee, soluzioni o tecnologie. Abbiamo iniziato ad affrontare l’argomento nello scorso articolo quando abbiamo parlato di opportunismo e sistematicità all’approccio open.
Infatti, per quella che è la nostra esperienza, abbiamo spesso incontrato aziende che utilizzano l’open innovation in maniera prettamente opportunistica. Ad esempio, non appena si presenti l’opportunità di utilizzare uno strumento come una piattaforma di crowdsourcing per risolvere un problema urgente, si identifica il miglior provider, si crea il challenge, si trova il solver migliore, lo si premia e lì si conclude il progetto.
In genere queste pratiche, però, sono gestite in maniera altrettanto “casuale”, nel senso che non vi è un processo, non vi sono delle linee guida, non vi sono progetti o strumenti adeguati all’interno dell’azienda per garantire che l’approccio sia sempre lo stesso. Certamente non pretendiamo che un’azienda che si stia affacciando alla pratica dell’open innovation sia già in grado di standardizzare le modalità di lavoro e creare un processo adeguato, ma ci aspetteremmo che soprattutto quelle grandi realtà, o medio-grandi, siano comunque orientate alla gestione di progetti pilota per poi trasformarli in standard operativi, e metodologie di lavoro ben stabilite.
Come sappiamo innovare significa non semplicemente essere creativi, avere buone idee e generarne in quantità. Bensì significa utilizzare dei processi adeguati per far sì che l’idea, appunto, diventi un prodotto vendibile e commercializzabile. Ma proviamo a contestualizzare ciò nell’ambito del paradigma dell’open innovation. Parliamo quindi di creare uno standard lavorativo per far sì che l’innovazione si possa fare in maniera aperta, gestendo network e fonti esterne all’azienda e soprattutto sapendo molto bene cosa fare nei vari casi in cui si presentino le varie opportunità.
Prendiamo, ad esempio, il caso di una impresa di medie dimensioni che avendo sviluppato una tecnologia relativa ad un materiale innovativo, e non avendo conoscenze al di fuori del loro settore applicativo (il fashion), ha provato ad “aprirsi” e creare uno standard di lavoro per far sì che alcuni loro brevetti potessero essere utilizzati in altri ambiti industriali e in settori totalmente differenti da quello in cui l’azienda opera. Stiamo banalmente parlando di un processo di trasferimento tecnologico, ovvero di outlicensing di alcuni brevetti. Quello che l’azienda ha capito sin da subito, è che questo progetto pilota per provare a sfruttare i brevetti in altri settori industriali doveva diventare da subito uno standard lavorativo, per seguire la stessa metodologia di lavoro nel momento in cui si fosse presentata l’occasione di poter utilizzare ancora altri brevetti e monetizzare gli investimenti fatti in R&D.
In questo breve esempio l’azienda ha creato un processo ad hoc specifico per licenziare i propri brevetti non strategici ad altre aziende che avrebbero potuto sfruttarli in maniera più lucrativa e vantaggiosa. Molti esempi simili sono riportati nel libro del professor Chesbrough “Open Business Models: How to Thrive in the New Innovation Landscape”, dove si parla per lo più di grandi multinazionali, ma lo step successivo che vorremmo fare è appunto evidenziare l’importanza dei processi di open innovation all’interno delle anche di aziende di dimensioni più modeste.
Nell’esempio che abbiamo fatto l’azienda ha creato un processo ben definito, con funzioni, tasks e deliverables specifici per dare in licenza i propri brevetti. Questo processo ovviamente è stato inserito come “ausiliario” del processo di sviluppo prodotto e lancio sul mercato. Infatti, in genere, questa azienda lavora con due processi ben consolidati per lo sviluppo di nuovi prodotti e per il successivo lancio sul mercato. Ma quando hanno affrontato questo progetto di licenza brevettuale, si sono subito resi conto della strategicità di questa attività. Quando si affronta un processo di outlicensing bisogna valutare tutte le opportunità, capire quanto è strategico l’approccio, dare un valore al brevetto, capire la dimensione dell’opportunità e quali scenari si potrebbero presentare nel caso si proceda. Poi bisogna “progettare” il come debba avvenire questo trasferimento, di come debba essere gestito (la governance), e quali “punti di controllo” siano da stabilire nell’esecuzione delle attività. E infine, molto importante, il come monetizzare la cosa, ovvero il revenue model e la determinazione delle royalties.
Come si sarà intuito, quando si affronta un progetto del genere, nonostante possa sembrare banale licenziare uno o più brevetti, ci sono dei passaggi successivi che vanno strutturati per far sì che l’approccio sia consistente, il metodo di lavoro ben stabilito e soprattutto per evitare di trascurare qualche step importante. L’azienda nell’esempio non aveva considerato la parte relativa alla creazione di nuova proprietà intellettuale, ovvero nell’utilizzo del brevetto oggetto della trattativa, qualora fossero emerse altre soluzioni o applicazioni, come si sarebbe dovuto gestire questo nuovo IP, e di chi i diritti? Seguire il processo è importante, perché ci costringe a procedere per passaggi successivi, a considerare tutto quanto necessario, e soprattutto a non trascurare nulla che possa poi essere controproducente o avere i classici effetti indesiderati. I processi sono indice di maturità aziendale, assicurano che la ripetibilità delle attività, per chiunque le esegua, sia sempre di qualità, controllata adeguatamente, e che i risultati siano giustamente documentati.
Speriamo di aver adeguatamente sottolineato l’importanza della creazione dei processi relativi anche all’open innovation, e così di aver creato una consecutio con le riflessioni che abbiamo voluto iniziare nell’articolo precedente. Nei prossimi articoli vorremmo iniziare a discutere alcune metodologie specifiche sui vari metodi per aiutare le imprese italiane ad affrontare il “viaggio” nell’innovazione aperta nella maniera più efficace ed efficiente possibile.