Herno: «Il made in Italy ha bisogno delle startup per fare davvero innovazione»

«Fra una decina d’anni ci saranno cambiamenti tali nel modo di produrre e distribuire che le aziende non potranno ignorare. Le startup possono aiutarci ad andare verso il futuro» dice Claudio Marenzi, Ceo dell’azienda di Lesa che produce piumini, entrata da poco nella Fondazione Altagamma

Pubblicato il 11 Apr 2016

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Claudio Marenzi, Ceo Herno

“Vede, non è sempre facile innovare nel made in Italy. Ogni azienda ha la propria storia e deve fare i conti con la fetta di mercato in cui è inserita: se penso che il lanificio Reda, azienda del Made in Italy con 150 anni di storia, lo scorso anno ha adottato la startup Lanieri.com, primo ecommerce italiano di abiti su misura maschili, non posso che ammirarli perché tra qualche anno ci saranno cambiamenti tali nel modo di produrre e di vendere che le aziende non potranno ignorare. Ma quella di Herno è una storia diversa: noi vendiamo i nostri prodotti nei negozi multibrand, il 70% del nostro fatturato proviene da lì. Come faccio a puntare sull’ecommerce? Sarebbe concorrenza sleale verso i negozi che vendono i nostri prodotti e un cambiamento forte nella nostra storia, che su questo modello di business si è sempre basata. Certo, se venisse da me una startup in grado di trovare una soluzione l’accoglierei domani mattina. È questo ciò che le startup possono fare per il made in Italy: aiutarci ad andare verso il futuro”.

Claudio Marenzi, Ceo della Herno, ha l’esperienza e la saggezza dell’imprenditore ancorato alla tradizione, ma anche l’entusiasmo dell’imprenditore che si lascia contagiare dall’innovazione. Non a caso, proprio sotto la sua guida, l’azienda di famiglia che produce giacche, piumini e impermeabili, ha intrapreso un percorso innovativo basato su nuovi prodotti e nuovi tessuti ed è entrata nella Fondazione Altagamma: “un traguardo, un riconoscimento verso il nostro prodotto, finalmente entrato nella lista del bello e ben fatto italiano” dice.

La storia della Herno è mix di intuizione, caso e fortuna. L’azienda viene fondata nel 1948 a Lesa sulle rive del Lago Maggiore, da Giuseppe

Herno, l'interno dell'azienda

Marenzi, nonno dell’attuale presidente, e dalla moglie Alessandra Diana. È l’immediato dopoguerra e Giuseppe, rimasto senza lavoro dopo diversi anni di esperienza alla Siai-Marchetti, azienda che produce aeroplani durante la Seconda Guerra Mondiale, cerca un nuovo impiego in un’azienda di impermeabili. Nonostante non ci siano ricerche attive, viene assunto: il caso vuole, infatti, che per impermeabilizzare il cotone si impiega l’olio di ricino, lo stesso utilizzato come carburante per gli aerei militari, ed è proprio grazie alla sua esperienza pregressa che Marenzi riesce a procurare la materia prima perché l’azienda possa incrementare la produzione. Da quell’impiego all’opportunità di fondare una propria impresa il passo è breve: sul Lago Maggiore il clima è estremamente umido e piovoso e servono impermeabili ben fatti. È così che nasce Herno, “in un incrocio di opportunità, intuizione e inventiva, una storia che viene dall’acqua, quella del Lago Maggiore e quella del fiume Erno, che scorre vicino all’azienda e da cui viene il suo stesso nome” spiega Claudio Marenzi. Negli anni a seguire l’azienda cresce: diversifica i prodotti (agli impermeabili, capisaldi delle prime produzioni Herno, vengono affiancati i cappotti in cachemire e, nella collezione donna, vengono introdotti anche giacche, tailleur e abiti) e si apre ai mercati esteri (prima in Europa, poi in Giappone e in Usa).

Uno dei prodotti Herno

È il 2007 quando Claudio Marenzi prende in mano l’azienda di famiglia e con lui inizia un nuovo modo di pensare la manifattura. “Abbiamo ragionato sul concetto funzionale dei nostri prodotti e investito su tessuti nuovi, sempre più performanti, capaci di unire impermeabilità e traspirabilità; abbiamo unito alle lavorazioni classiche processi produttivi nuovi e macchinari particolarmente innovativi per la termo-nastratura e le cuciture a ultrasuoni” continua. “Non basta produrre un capospalla ben fatto per essere protagonisti sul mercato: l’alta tecnologia deve diventare il valore aggiunto di un concetto di urbanwear sartoriale che non trascura il passato” dice il Ceo di Herno.

Oggi l’azienda ha 155 dipendenti e un fatturato che nel 2015 ha sfiorato i 70 milioni di euro, in crescita del 16% circa sull’anno precedente, oltre il doppio rispetto ai 33 milioni registrati nel 2012. Una crescita legata sia all’apporto del mercato italiano, dove il trend positivo si mantiene costante, ma soprattutto dalla quota proveniente dall’estero, che registra il 65% dei ricavi. Le previsioni per il 2016 sono positive, con una stima di crescita nuovamente a doppia cifra.

Quello che ci manca è fare un passo verso il futuro, proprio come ha fatto Reda” conclude Marenzi.

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