La rincorsa di Londra alla Silicon Valley sta accelerando. Gli investitori internazionali guardano con sempre più interesse alle startup londinesi e, nel 2014, le nuove imprese hi tech hanno ottenuto un totale di 1,4 miliardi di dollari in venture capital, oltre il doppio rispetto all’anno precedente e 20 volte in più in confronto a soli quattro anni fa. Un bel risultato per la Silicon Valley europea anche se è ancora lontana dai livelli della gemella californiana, che ha raccolto 22 miliardi di dollari di finanziamento per le sue startup nel 2014. Un esempio di come Londra stia perseguendo bene le sue ambizioni globali è dato da Farfetch, la startup di e-commerce di lusso che riunisce oltre 300 tra le migliori boutique indipendenti di moda del mondo: negli ultimi giorni ha ricevuto un round di investimenti di tipo E da 86 milioni di dollari da DST Global, venture capital gestito da Yuri Milner, uno dei primi sostenitori di Facebook, Airbnb e Alibaba. Anche due precedenti investitori, il gruppo editoriale Condé Nast International e la società di private equity Vitruvian Partners, hanno immesso nuova liquidità nella società del portoghese José Neves, per un totale di 195 milioni di dollari. L’investimento ha permesso a Farfetch di ottenere una valutazione di un miliardo di dollari. Una vera rarità nel settore dell’e-commerce di lusso.
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È anche un chiaro segnale della fiducia che gli investitori ripongono nell’ecosistema della “Silicon Roundabout” di Londra. Già lo scorso gennaio, un’altra startup londinese, TransferWise, è stata valutata un miliardo di dollari, grazie all’investimento di 58 milioni di dollari da parte di Andreessen Horowitz, uno dei principali gruppi californiani di venture capital, tra i sostenitori di Facebook e Twitter.
Sempre a inizio anno, Shazam, l’applicazione di identificazione di tracce musicali, ha annunciato di essere stimata un miliardo di dollari, grazie all’investimento di 30 milioni di dollari da parte di anonimi.
Ma sarà davvero tutto oro quello che luccica? C’è chi, come l’analista indipendente Nick Bubb, stenta a credere alla valutazione di Farfetch, considerati i problemi di società simili che operano nel Regno Unito, come Asos e Boohoo.com. Persino Net-a-Porter, uno dei siti più famosi per il commercio online di moda di lusso, nel 2010, è stato valutato 550 milioni di dollari dopo la cessione delle quote al gruppo svizzero Richemont (anche se secondo i banchieri il suo attuale valore si aggirerebbe intorno a 3,4 miliardi di dollari).
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José Neves, fondatore e amministratore delegato di Farfetch, ha spiegato al Financial Times che la differenza rispetto ad altre startup tecnologiche sta nel fatto di avere una base più solida. “Siamo fondamentalmente una società di e-commerce – dice il ceo – e gli investitori ci valutano come un’azienda che vende, ha dei margini e un fatturato”.
L’idea è quella di una “cooperativa digitale del 21esimo secolo”, nella quale si riuniscono negozi di ogni genere e misura, da Bucarest a Mumbai, che grazie al portale possono aver accesso a un mercato globale e a una serie di servizi come il trasferimento di denaro, la gestione delle spedizioni, il marketing. Lo scorso anno sono state effettuati 300 milioni di dollari di vendite a 450 mila clienti di 180 Paesi. Le spese sostenute dal sito sono basse in quanto non ci sono costi di stoccaggio, a carico dei singoli rivenditori.
L’ultimo investimento permetterà a Farfetch di proseguire con l’espansione in nuovi mercati, come Germania, Corea del Sud, Spagna e America Latina. Nei piani di José Neves, con una lunga esperienza nel settore moda, non c’è l’offerta pubblica iniziale, ma vuol rafforzare la sua competitività con lo stesso business model e prepararsi ad affrontare in futuro anche giganti come Amazon ed eBay, qualora decidessero di approcciare il settore del lusso.