business for good

Le imprese dopo Cop29: adesso non possono rinunciare alle energie rinnovabili



Indirizzo copiato

Non è rintracciabile nei risultati della Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici qualcosa che tocchi direttamente e in modo chiaro le imprese. Ma, partendo dagli esiti di COP29, queste possono agire per permettere ai Paesi più poveri di crescere in modo sostenibile. Vediamo come

Pubblicato il 25 nov 2024

Paolo Braguzzi

Attivista del business for good



COP29
COP29

Si è conclusa a Baku la COP29, 29ª Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), organizzata per discutere e negoziare azioni globali contro il cambiamento climatico. Gli esiti principali includono l’accordo su nuove misure per ridurre le emissioni di gas serra, il rafforzamento dei finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo e l’impegno a monitorare e rendicontare i progressi in modo più trasparente. Ma sono emerse diverse criticità riguardo proprio ai finanziamenti, ritenuti del tutto insoddisfacenti, e alle misure concrete da adottare. E alcuni temono che, con l’amministrazione Trump, le questioni climatiche finiscano in fondo alle agende dei governi. Ma le imprese cosa possono fare concretamente per evitare e ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici? Ecco un’analisi.

Mi ero riproposto di dedicare questo articolo alle implicazioni che gli esiti della COP29 avrebbero avuto sulle imprese, l’unico livello sul quale mi sento accreditato a scrivere. In realtà, viste le conclusioni della Conferenza, sembra difficile farlo, perché non è rintracciabile nei suoi risultati qualcosa che tocchi direttamente e in modo chiaro le imprese stesse. Come il Lettore più attento avrà avuto modo di sapere (perché quello disattento non è stato certo stimolato dalla bassa attenzione riservatale da parte dei media del nostro paese), il tema centrale di questa COP è stato la finanza, la cosiddetta finanza climatica per l’esattezza. In pratica, i fondi che i paesi più ricchi metteranno a disposizione dei paesi più poveri per il sostegno alla transizione energetica, e quindi per favorirne lo sviluppo sostenibile, e all’adattamento al cambiamento climatico, la cui mancanza avrebbe conseguenze catastrofiche in quei paesi per primi.

Non sta a me commentare l’accordo raggiunto a Cop29. Anche se sono tutti scontenti, mi permetto solo di dire che per fortuna la COP esiste, pur con tutte le sue contraddizioni e delusioni, perché almeno c’è un luogo dove ci si confronta e in cui si negozia (ringrazio per questa prospettiva Ferdinando Cotugno e il suo podcast).

Passo alle imprese: come parlarne se non sono state toccate? Bene, lo si può fare sulla base di come queste possono agire per contribuire a permettere ai paesi più poveri di crescere in modo sostenibile, che è l’intento a cui questa COP ha cercato di corrispondere. Ammettendo che quanto propongo sia elementare, ma non per questo scontato, e non riguardi tutte le imprese, ecco due spunti specifici che hanno a che fare con il modo in cui ci relazioniamo con questi paesi quando una parte dell’attività d’impresa avviene negli stessi. Il tutto nell’ottica dell’intera catena del valore e secondo il principio della Responsabilità Integrale, di cui ho già parlato qui.

Cop29: agire per il clima nei Paesi in via di sviluppo

I due spunti che propongo corrispondono a due casi che peraltro portano alle stesse conclusioni, salvo il diverso impatto che l’impresa può avere a seconda che:

  • nel primo caso abbia impianti propri in quei paesi;
  • nel secondo caso abbia affidato a imprese terze di quei paesi alcune fasi della propria produzione o semplicemente si approvvigioni dalle stesse.

In entrambi i casi quello che l’impresa può perseguire è il massimo utilizzo possibile, sino a renderlo esclusivo, di energia da fonti rinnovabili. Il che è facile da decidere se gli impianti sono propri, visto che l’energia solare è disponibile ovunque, e gli investimenti necessari per disporne abbordabili. Oppure può comportare degli investimenti più importanti qualora gli impianti non siano ancora interamente elettrificati (e per questo parlo di “massimo possibile”), il che ovviamente rappresenta comunque l’altro passo da compiere. Ovviamente questo approccio può essere ancora più problematico in alcuni settori “energy intensive”, ma se ci si prova in quello dell’acciaio, seppur in un paese decisamente avanzato come la Svezia (e per merito di un gruppo italiano), non vedo perché non possa accadere in altri settori meno critici. Non voglio sottovalutare la complessità di trasformazioni di questo tipo, ma almeno proporre alle imprese di porsi questa domanda: ”Dove vogliamo arrivare con l’utilizzo delle energie rinnovabili nei paesi in cui ci sono i nostri impianti di produzione?”. Sapendo che, a tendere, la risposta migliore è solo una: al 100%.

Le imprese dopo Cop29: essere d’esempio

L’uso di energie da fonti rinnovabili per i propri impianti produttivi collocati in paesi in via di sviluppo, comporta un beneficio diretto sulla riduzione delle emissioni dell’impresa, il che è “buono” di per sé. Ma un altro beneficio, che trascende l’impresa e che ha grande valore, è quello della dimostrazione che un’impresa interamente alimentata da energie rinnovabili sia possibile anche in paesi dove un modello di questo tipo non è ancora diffuso, il che si può trasformare in uno stimolo a livello locale che possa spingere altre imprese a fare lo stesso.

Decarbonizzare la catena di fornitura

Veniamo al secondo caso, quello in cui in questi paesi si è esternalizzata una parte del proprio processo produttivo o ci si approvvigiona di materiali, prodotti semi finiti o prodotti finiti. In questo caso ciò che va fatta valere è la possibilità di influenzare il proprio partner o fornitore verso la conversione alle energie rinnovabili (e alla elettrificazione per completare il cerchio). È vero che in casa d’altri non si decide, ma è anche vero che, come i singoli cittadini “votano” con il loro portafogli, per le imprese lo stesso vale con i budget di acquisto. Pur ammettendo che un impatto di questo tipo sia difficile da ottenere, e che comunque il successo non si realizzi “over night”, sono anche lapalissianamente convinto che nel momento in cui un impegno di questo tipo diventi centrale per l’impresa è più probabile che si concretizzi. Senza sottovalutare quanto si può fare aggregandosi ad altre imprese che si rivolgono alla stessa catena di fornitura, e quindi aumentando il proprio potere di influenza, oppure sostenendo il processo di conversione, ad esempio garantendo gli acquisti, fornendo know how, e nei casi di imprese terze “captive”, quindi di fatto dipendenti dalla nostra, persino partecipando ad eventuali investimenti.

Anche in questo caso la decarbonizzazione della propria catena di fornitura è un fatto buono di per sé, ma può diventare anche un interessante argomento di comunicazione. Pensate che bello sarebbe potere dire: “Questo prodotto è stato realizzato interamente con energia proveniente da fonti rinnovabili”. Cosa, peraltro e a maggior ragione, possibile anche se i propri fornitori o partner sono basati in paesi “ricchi”!

Avevo avvertito: avrei scritto qualcosa di elementare su Cop29, facciamo sì che diventi anche qualcosa di scontato?

Articoli correlati

Articolo 1 di 4