TRANSIZIONE ENERGETICA

Bioraffinerie e bioetanolo: ecco come Eni aiuta il Kenya nel suo percorso di decarbonizzazione

Eni sta sostenendo il Kenya nella riduzione della dipendenza dei combustibili fossili e nello sviluppo di energia decarbonizzata. Ecco i suoi progetti.

Pubblicato il 09 Dic 2021

Photo by Sergey Pesterev on Unsplash

Pochi sanno che il Kenya è uno dei paesi più avanzati dell’Africa sul fronte dell’impegno contro il cambiamento climatico. Il Paese è infatti uno dei firmatari dell’Accordo di Parigi e punta a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 32% entro la fine del 2030. Eni sta sostenendo il Kenya nella riduzione della dipendenza dei combustibili fossili da importazione e nello sviluppo di energia decarbonizzata.

L’impegno di Eni in Kenya

Il cane a sei zampe si è impegnato con il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta a raggiungere gli obiettivi ambientali previsti e a fornire alle comunità locali un accesso sostenibile alle risorse energetiche, riducendo contestualmente la dipendenza dai combustibili fossili di importazione. Eni è presente in Kenya dal 2013 e sta lavorando col governo a un progetto di sviluppo del settore agricolo per l’approvvigionamento delle bioraffinerie, la raccolta e la raffinazione dell’olio alimentare usato, e la realizzazione di un nuovo impianto di bioetanolo.

Enrico Tavolini, Managing Director di Eni Kenya, sottolinea: “Questo progetto, che richiederà circa cinque anni per poter essere attuato, è un esempio di partnership tra pubblico e privato. Fin dall’inizio, il governo ha lavorato al nostro fianco per raggiungere obiettivi comuni”. Angelo Mongioj, Business Development Manager in Green and Traditional Refining and Marketing, precisa: “Questo progetto è vincente tanto per il Kenya quanto per Eni in termini di sviluppo del business, oltre che di sviluppo di obiettivi sostenibili, opportunità di lavoro, crescita del Pil, riduzione delle emissioni e molto altro”. Fermo restando che “la transizione verso un combustibile a basse emissioni di carbonio deve avvenire in modo equo e corretto. Questo significa che la biomassa per la raffineria non deve entrare in competizione con la catena alimentare del Paese, soprattutto se si considera che il Kenya è all’84° posto su 170 Paesi in via di sviluppo in termini di sicurezza alimentare”, chiarisce Federico Grati, Responsabile dello sviluppo agricolo in Kenya.

Bioraffinerie e bioetanolo in Kenya

Nel dettaglio Eni, dopo aver identificato di concerto col Ministero dell’agricoltura del Kenya le aree più adatte alle colture di copertura e in rotazione con i cerali, sta aiutando gli agricoltori locali a coltivarle. Inoltre, sta costruendo una rete di hub per raccogliere e lavorare la biomassa e valutando con il governo locale l’introduzione di incentivi per la raccolta di olio alimentare usato.

Il progetto di Eni in Kenya prevede altresì la conversione di una raffineria di Mombasa in una bioraffineria in grado di produrre Hydrotreated Vegetable Oil (HVO) diesel e biocarburanti per l’aviazione. L’impianto potrebbe produrre fino a 250 mila tonnellate di biocarburante all’anno, diventando un modello di riferimento anche per altri Stati africani. Inoltre, il cane a sei zampe sta studiando lo sviluppo di un nuovo impianto di seconda generazione che raccolga i rifiuti agricoli per convertirli in bioetanolo: un combustibile che può essere miscelato alla benzina allo scopo di migliorarne prestazioni e qualità. Con il vantaggio di accelerare la decarbonizzazione del settore dei trasporti.

Il bioetanolo potrebbe anche essere utilizzato in altri modi, ad esempio come combustibile pulito per la cucina domestica al posto del carbone. L’impianto di seconda generazione potrebbe essere costruito nel Kenya occidentale, così da poter utilizzare i rifiuti agricoli degli zuccherifici. L’obiettivo di Eni è realizzare tre impianti al bioetanolo, con una capacità di 50 chilotonnellate l’anno. Sufficienti non solo a coprire la domanda locale, ma anche parte di quella estera, compresa quella dall’Europa.

La strategia di Eni in Africa

“L’Africa ha un potenziale agricolo fenomenale e in diversi Paesi del Continente stiamo creando agri-hub in grado di produrre in loco olio non alimentare e residui agricoli che possono essere utilizzati nelle nostre bioraffinerie: 150 mila ettari di terreno possono produrre 150 mila tonnellate di olio, creare 100 mila posti di lavoro e favorire in modo sostanziale la mobilità sostenibile”.

L’ha spiegato l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, alla conferenza ministeriale Italia-Africa, che si è svolta lo scorso 8 ottobre. In virtù di questa strategia, Eni ha avviato iniziative in Kenya, Angola, Repubblica del Congo e Benin. Il filo verde che le lega è sempre lo sviluppo della filiera dei biocarburanti. Una strategia esportata in Africa ma che affonda le sue radici in Italia, e precisamente a Porto Marghera (Venezia). Lì il cane a sei zampe, nel lontano 2014, aveva infatti convertito per la prima volta al mondo una raffineria tradizionale in un impianto per la produzione di biocarburanti. Nel 2019 aveva fatto lo stesso a Gela (Caltanissetta). Ora è il momento dell’Africa.

 

In collaborazione con Eni

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