L’eccitazione per i 200 milioni di euro messi in palio da ITAtech rischia di mandare allo sbaraglio i protagonisti del Venture Capital e della ricerca scientifica italiana. ITAtech è una piattaforma di investimento lanciata a dicembre 2016 per trasformare progetti di ricerca e di innovazioni tecnico-scientifiche pubbliche e private in nuove imprese ad alto contenuto tecnologico nata grazie a Cassa depositi e prestiti (Cdp) e Fondo Europeo per gli investimenti (FEI, del Gruppo BEI). La sua dotazione iniziale è appunto pari a 200 milioni di euro, messi a disposizione in parti uguali da Cdp e FEI, ed è aperta all’ingresso di ulteriori investitori.
Il timore è vedere il re nudo:
– la ricerca, se si misurerà finalmente nel Trasferimento della Tecnologia, verrà valutata oltre il paperificio. Vale a dire, non solo nel numero di pubblicazioni scientifiche (paper) che ci proiettano sempre nelle parti alte delle classifiche, ma anche per le ricadute commerciali, dove siamo inesorabilmente tra gli ultimi.
– I Venture Capital, che negli ultimi 15 anni solo in un paio di casi hanno fatto ritorni positivi, sono attrezzati per la nuova sfida del Trasferimento Tecnologico?
Ebbene, merita partire dalle differenze tra VC e TT. La confusione alla quale si assiste, soprattutto nel campo biotech, è un po’ scoraggiante.
Per punti:
– Il VC è più capital intensive del TT. Il TT è maggiormente people intensive. Senza capitali non c’è né l’uno né l’altro, ma per il TT serve un team più numeroso e con competenza ed esperienza più ampia.
– Il VC cerca imprenditori e/o manager. Il TT cerca innanzitutto tecnologie.
– Per sviluppare un’impresa (VC) serve network e mentoring ma se si vogliono sviluppare tecnologie (TT) servono:
♦ profili con esperienza industriale, che arrivano da anni in big biotech e big pharma;
♦ manager/imprenditori di start-up biotech che hanno raccolto capitali e magari fatto IPO;
♦ competenze di drug discovery, drug develompment e regulatory.
– Il TT deve avere più pazienza del VC: si occupa di mining più che di scouting, deve estrarre dalla scienza la tecnologia. Il VC pretende, correttamente, che siano le università o i centri di ricerca a proporre le tecnologie.
– Il TT spende giorni ogni trimestre nei laboratori, il VC ci passa qualche ora una volta al semestre.
– Il TT scrive i brevetti, il VC valuta i brevetti.
– Il TT investe in fasi pre-clininche per una prima Proof of Concept, il VC investe per portare il prodotto in clinica per dimostrare safety ed efficacy.
– Il TT è prima di tutto un servizio alla scienza, agli scienziati, ai ricercatori e alle università. Il VC è innanzitutto un servizio all’impresa, allo spin-off.
Nei fatti ad oggi non ci sono fondi di VC dedicati al biotech in Italia, li abbiamo su medtech ma è altra competenza. I VC italiani attivi gestiscono ora i capitali raccolti con il supporto del Fondo Italiano di Investimento (FII) e devono dimostrare non tanto di saperli spendere ma di farli tornare, moltiplicati. Ad oggi è presto per giudicare, ci vorrà qualche anno per costruire un track record.
Non basta quindi una SGR che fa Venture Capital per buttarsi nel Tech Transfer. Servono le competenze. Il veicolo è una pura commodity. Il team è il centro, il suo track record.
Per il TT serve quindi un’iniziativa dedicata in grado di dare valore alla scienza. E la scienza, la ricerca, devono riconosce le competenze tanto da affidarsi, con la giusta umiltà.
Il treno ITAtech passa una volta sola.
Ps: qualche cosa si muove su TT, basta vedere il miracolo di Bresso con l’Open Accelerator che ha poco da invidiare a Alexandria Center di NYC. Ho il piacere di frequentarli entrambi visto che IAB si riunisce a Bresso e Genenta ha un ufficio nell’incubatore di NY. Open Accelerator è una call internazionale per invitare i talenti a costruire le loro startup in Italia. Chi accede a programma parte con un seed fund fino a 100mila euro e avrà accesso all’Open Zone di Zambon, parco con oltre 20 aziende attive nelle life sciences. C’è tempo fino al 16 luglio.